Un patto con la Rurith

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"Chi sei tu?" le chiese. Aveva i capelli scuri ma l'iride degli occhi era rosa, un colore che non gli era mai capitato di vedere in nessuna creatura.
"Io sono la Rurith," rispose lei, ancora appoggiata al fianco di Vulca "forse hai già sentito parlare di me, sono la padrona di queste terre, e dono la Sovranità agli uomini".
"Non ne ho mai sentito parlare. Vengo da molto lontano, e mi sono perso, coi miei fratelli". Rispose lui, giustificandosi.
"Abito sulle alture all'orizzonte, scomparse dietro alle nuvole e al sole che muore. Sono del clan degli Eoriu". Concluse.

"Sì, vieni da molto lontano", convenne, "ma devi essere un possente guerriero per essere riuscito ad arrivare fin qui senza acqua e né cibo e per essere riuscito a sfuggire alla carica di Vulca". Gli disse con occhi maliziosi.
"Io e i miei fratelli, anch'essi possenti cacciatori, non mangiamo o beviamo da due giorni, e ho ormai compreso che queste terre devono essere stregate, perché non esiste foresta sulla faccia di Art che non abbia selvaggina, oltre a quel bestione" affermò indicando Vulca, "oppure bacche o radici commestibili. Mi serve quindi un po' dell'acqua di quel pozzo e qualcuno di questi frutti per rifocillarmi e sfamare i miei fratelli feriti, così da poter ricominciare a cercare la via del clan, che fino a ora non siamo riusciti a trovare". Quindi attese una risposta di lei che non tardò.

Dopo averlo guardato per un po' in silenzio cominciò a spiegare: "queste terre sono incolte e sterili da molti anni ormai. Non crescono più frutti, e l'acqua è presente solo in forma di gelo, perché di notte la temperatura scende molto e impedisce ai vegetali di maturare e di crescere. Quindi non vi troverai niente da mangiare, e questi che vedi qui sono solo per il popolo oscuro che mi serve, e chi li dovesse assaggiare non potrebbe più tornarsene indietro, ma rimarrebbe per sempre intrappolato, qui con me". A quelle parole Reo si sentì abbattuto.

"Ma non è sempre stato così," continuò ella. "Un tempo era la terra più fertile su cui potesse posare lo sguardo uno degli esseri viventi di Art, e nei ruscelli non scorreva l'acqua, ma il latte. Creature d'ogni genere abbondavano nel sottobosco e le spighe di grano nascevano incolte e spontanee senza bisogno di cure. Le cose sono cambiate da quando mio marito, il re ormai anziano, è caduto malato e non fa che starsene inerte a letto, senza che nulla riesca a rinvigorirlo. Tutto dipende da lui, che quando era giovane e in salute, con la sua forza vitale proteggeva questo regno dal gelo e dalla carestia. Ma ora tutto è perduto perché una forza malvagia si è abbattuta su tutte queste terre e il freddo inverno sta per posarsi sulla vegetazione priva di vita e allora niente potrò fare perché si risvegli".

"Qual è questa forza malvagia?" chiese Reo, "noi Eoriun siamo possenti guerrieri". La donna lo fissò. "Il mio sposo proteggeva questi luoghi dalle brame di oscure presenze, ma da quando è caduto malato più niente si è opposto a quelle. Prima i mostri non riuscivano neppure ad avvicinarsi a queste fronde, ma ora... Lyrin un terribile essere dalla testa di cervo e artigli al posto degli arti da molte settimane preme ormai ai confini del bosco e giorno dopo giorno guadagna terreno al suo interno. Quando sarà arrivato fin questa radura, che è il cuore della foresta, riuscirà a impadronirsi di tutto il mio regno e a uccidermi".

"E credi che se riuscissi a sconfiggerlo la terra ritornerebbe a dare frutti e l'acqua a scorrere dalle sue sorgenti?"
"Questo è poco ma sicuro. Tuttavia non so quante possibilità tu possa avere: è un essere molto potente e si serve di armi magiche".
"Io posso tentare, ma non fino a quando i miei fratelli, affamati e feriti, giacciono inermi in questi boschi. Essendo la loro ultima speranza se dovessi perire nel tentativo avrei condannato anche loro. E quindi sono costretto a lasciarti, perché devo cercare il modo per ritrovare la strada di casa e di portarli in salvo. Dovrai riuscire a scacciare il mostro da sola". Concluse.

"Non troverai mai la strada per uscire da qui", protestò lei, "infatti ti sei addentrato troppo all'interno e ho paura che, se doveste tentare ancora di trovare la strada per le vostre alture, morireste entro breve. Però posso proporti un accordo. Porta da me i tuoi fratelli e sfamatevi e dissetatevi con questi frutti e l'acqua del pozzo, poi affronteremo insieme il mostro che minaccia questi luoghi e per il resto della vostra esistenza passata con noi verrete trattati come principi tra i principi".

Reo rimase in silenzio per molto tempo, combattuto su quel che avrebbe dovuto fare. Tuttavia la proposta non sembrava soddisfarlo. "Non posso farlo. Sono infatti sicuro che i miei fratelli vogliano tornare indietro e che preferirebbero morire che vivere esiliati e intrappolati qui, e anche io la penso così. Quindi purtroppo me ne andrò, e insieme a loro troveremo il modo di tornare alle terre del nostro clan".

Quando già Reo si era girato per uscire dalla radura e tornare da dove era venuto sentì che la bella Rurith gli parlava di nuovo, non dandosi per vinta. "Aspetta" disse "voglio farti un'altra proposta".
"Parla". Le concesse, volgendo ancora lo sguardo su di lei.
"Per ovviare ad ogni accadimento, come quello in cui mi trovo ora, ho nascosto molto tempo fa alcune risorse. Acqua e cibo, semi e selvaggina non stregati, in modo che se un giorno un evento imprevisto avesse spazzato via tutto quel che vedi in queste terre, avrei avuto la possibilità di rimediare e, eliminata la causa della malattia, di ricreare il mio paradiso. Io sono disposta a concedervi parte di quelle risorse per rimettere in piedi i tuoi fratelli e a farvi guidare fuori da qui, sulla strada per le vostre alture, dal possente Vulca che voi volevate cacciare e che è l'unica creatura rimastami fedele. Lo farò se tu mi prometterai che quando avrai portato in salvo i tuoi fratelli tornerai indietro per sconfiggere l'essere malvagio che vuole distruggere il mio regno".

Lui soppesò la proposta e poi le chiese: "e se dopo aver promesso non dovessi tornare, come farai?"
"Mi fiderò". Rispose semplicemente Rurith.
"Allora accetto". Disse Reo.

Dunque quella strana ragazza dai capelli scuri e dalle pupille rosa consegnò al guerriero tutto quel che gli aveva promesso. Poi, dopo averlo fatto salire sul dorso di Vulca, che con suo sollievo si dimostrò docile all'ordine della padrona, partì a ritrovare i familiari. Con stupore Teote e Neone poterono rivederlo dopo neppure un'ora da cui aveva lasciato la bella radura. Non disse niente della ragazza dalle pupille rosa e prima di rispondere alle domande sul fatto che era tornato in groppa alla bestia poderosa, senza indugio disse ai fratelli di cibarsi dei frutti e dell'acqua non stregati che la Rurith aveva loro concesso, intimando loro di non toccare altro cibo se non quello che aveva portato lui, per quanto fosse improbabile che ne avrebbero trovato altro.

Poi fece capire ai due che se non si fossero dimostrati ostili con la bestia questa avrebbe mostrato loro la strada per uscire dalla strana foresta. Subito dopo fece in modo che i due salissero in groppa al cinghiale e, seguendoli correndo, ordinò all'animale di partire alla volta delle alture sparite all'orizzonte, senza aspettare che il sole calasse del tutto. Corsero per due giorni interi, fermandosi solo raramente per cibarsi dei frutti che la donna aveva dato a Reo, con il grande cinghiale che non dava segno di stanchezza. Reo, dal canto suo, sentiva da un momento all'altro le forze che stavano per venirgli meno, ma il pensiero di portare in salvo i suoi fratelli era così pressante da spingerlo avanti nonostante tutto.

Era già da molte ore che erano usciti dal bosco di Rurith e già i tre riconoscevano la strada percorsa in direzione opposta solo qualche giorno prima. All'orizzonte ricomparivano finalmente le antiche alture.

Quando furono arrivati ai confini esterni delle terre degli Eoriu Vulca fermò la sua corsa e rifiutò di proseguire oltre, ma già Teote riusciva a correre con lui e insieme si occuparono del fratello, visto che erano ormai entrati nelle terre del clan. Arrivati a casa furono accolti con sgomento dai compagni che ai loro racconti rimanevano increduli. Reo che era tornato sano e salvo alla terra della sua gente aveva smesso di pensare alla promessa fatta a Rurith, eppure non riusciva a dimenticare quei suoi strani occhi.

Prima di partire la ragazza gli aveva donato un oggetto, una cavigliera d'argento che portava ella stessa al piede e che emetteva un dolce suono dai campanellini che vi erano appesi. Questo si chiama Rurith Udi e ti servirà per farti riconoscere da Vulca una volta che ritornerai. Gli aveva detto. Così anche se al confine dovessi trovare delle forze malvagie che non vorranno permetterti di entrare lui verrà e ti porterà di nuovo da me, in questa radura. Quindi ricordati di non perderlo.

La sua raccomandazione era ancora viva dentro di lui, e infatti non si era mai separato da quel ninnolo. Anche se non poteva fidarsi di lei e ormai era in salvo, decise che doveva tenere fede alla promessa, visto che la donna aveva tenuto fede alla sua parte di accordo. Quindi alla fine sarebbe ripartito. Passati che furono due giorni, in modo da essersi completamente ripreso dalle recenti fatiche, presa la sua lancia, e stavolta più cibo e acqua e partì di nuovo verso la foresta al di là dell'orizzonte. Non disse nulla ai fratelli o ad altri membri del clan, che si accorsero della sua sparizione e che potevano solo supporre che avesse voluto tornare indietro per qualche oscuro motivo. Entro il terzo giorno di cammino era nuovamente ai confini del regno di Rurith e, come ella gli aveva promesso, il grande Vulca si era fatto trovare al richiamo del Rurith Udi e lo aveva fatto subito montare in groppa. In meno di un'ora lo aveva riportato alla luminosa radura, che quella volta però era avvolta dai raggi del mattino.

"Eccomi Rurith, sono tornato," esordì rivolto alla bella ragazza col gomito appoggiato ai bordi del pozzo, non appena il grande cinghiale lo lasciò scendere in mezzo alla radura erbosa. "Non sono stupita perché avevo piena fiducia. Piuttosto mi sembri tu molto sorpreso, che avessi sottovalutato la forza di una promessa?"
"Forse." ammise, "ero già nelle terre del Clan quando mi sono reso conto di non potermi tirare indietro, e qualcosa mi dice che avevi già indovinato che avrei esitato, ma poi sarei tornato per risolvere la mia promessa".
Lei sorrise. "Non per niente sono la Rurith. Come stanno i tuoi fratelli, gli audaci Teote e Neone?" "Ebbene si sono ripresi egregiamente, anche se non ti avevo mai rivelato i loro nomi e neppure il mio. Non dubito che tu conosca già pure quello. Però non ho detto loro del fatto che sarei partito di nuovo, e immagino che ora tutto il clan sia in agitazione".
"Hai fatto molto male credo", disse, "se per caso oggi dovessi soccombere la tua gente non saprebbe mai del tuo atto eroico".
"Se per caso dovessi soccombere non me ne importerebbe nulla, ma se dovessi uscirne vittorioso allora tornerò per raccontare tutto quanto. Non indugiamo comunque" disse poi risoluto, "guidami in quello che sono venuto a fare, dov'è adesso il temibile Lyrin? Se Vulca può portarmi da lui il resto lo farò da solo".

A quelle parole però, Rurith si era adombrata.
"A dispetto del tuo coraggio" esordì, "in questi ultimi due giorni che mi hanno trovato indebolita, priva anche dell'aiuto di Vulca, Lyrin ha fatto grandi passi avanti nella sua conquista. Odi questi suoni?" Gli chiese.
"Si, sembrano echi di alberi caduti e sento la terra che trema, una cosa che non mi era mai successo di provare".
"Ebbene Lyrin si è già molto addentrato in questo luogo, e avanza molto più velocemente di quanto mi fossi aspettata. Credo che si sia reso conto della mia difficoltà e si sia fatto più audace. Sta facendo sfoggio della sua forma migliore. Mi aspetto che arrivi in questa radura entro un'ora e allora tutto quanto sarà suo e io dovrò scomparire. Purtroppo è forse troppo tardi anche per quel che mi hai promesso". Concluse con voce appena sussurrata.
"Non tutto è perduto se il guerriero è ancora in vita. In fondo sono un cacciatore, e questo mostro non ha forse la testa di un cervo? Non mi sono scordato la mia lancia, con cui ho abbattuto un enorme numero di prede".
"Non ne dubito" gli rispose, "ma forse questa volta quel che cacciamo non si considera una preda, e con quella lancia dalla punta d'osso non andrai lontano". Così dicendo afferrò un oggetto appoggiato sulla base di un tronco reciso al suo fianco. Era una cintura con attaccato un lungo fodero piatto che aveva in cima un'impugnatura. La ragazza ne cinse la vita di Reo, fermandola con una fibbia di metallo e sistemandogliela poi in modo che potesse agilmente afferrare l'impugnatura con la mano destra.

"Cos'è questo?" Le chiese Reo, estraendo il più lungo coltello che avesse mai visto, più del suo braccio. Era di un metallo brillante e privo di impurità, per quell'epoca ancora sconosciuto, lo stesso che aveva notato al dito di lei quando si era avvicinata per allacciargli la cintura, solo che l'anello aveva strane incisioni che quel lungo coltello non aveva. Nonostante l'aspetto interessante non poteva essere utile nei più pratici lavori quotidiani.

"Questa è una spada e un giorno ogni guerriero ne userà una in battaglia per combattere i nemici". Gli rispose. "E' stata ricavata da un metallo scovato nella terra da quelli del popolo oscuro, e mio fratello Clivo Juno che vive solo, in fondo a una grotta, la forgiò per chi fosse diventato il mio sposo. Ma ora il suo padrone non la può più usare".
"Vuoi che combatta Lyrin con questa?"
"Sì, troverai che è molto leggera e si adatterà perfettamente al tuo braccio. Ma soprattutto è un'arma magica e senza questa non avresti possibilità contro di lui".
"Se questo è il tuo consiglio non posso fare a meno di obbedire, tuttavia preferisco tenere la mia fedele Ila a portata di mano". Detto ciò aveva afferrato la lancia dalla punta d'osso e se l'era fissata sulla schiena.

Intanto i rumori inquietanti che provenivano dalle fronde intorno a loro si erano fatti sempre più forti. La bella Rurith si era girata di scatto ad uno di questi e si era appiattita contro i bordi del pozzo tappandosi le orecchie con le mani. Quindi Reo, dopo qualche maneggio, aveva rinfoderato la sua nuova spada e si era deciso ad andare in cerca del suo cervo.
Montò sul dorso di Vulca e disse a Rurith di augurargli buona fortuna.
"Tutto dipende da te ora," gli disse, "ma non sottovalutare mai Lyrin e ricorda che non potrò aiutarti".

Reo partì sul suo grande destriero ripensando alle ultime parole pronunciate da lei. Aveva avuto ragione, perché dopo solo poche centinaia di metri nella direzione dell'assordante rumore si imbatté in uno spettacolo straordinario. Lui e il suo destriero furono entrambi catapultati fuori dal vago sentiero e atterrarono pesantemente - per fortuna il grande cinghiale a diversi metri di distanza - tra bassi cespugli. Quando si rimisero in piedi videro quel che li aveva fermati. Una tempesta di rami roteanti e di strani insetti, con piccole ali ma come poi vide dalle fattezze quasi umane, si abbattevano e si avvinghiavano contro un essere alto almeno due metri, dalle lunghe corna di cervo, che con gli artigli da rapace afferrava e sradicava la vegetazione che gli fermava il passo.

Tutte le forze del bosco erano impegnate a fermarlo. Tuttavia non ci riuscivano e passo dopo passo, colpo dopo colpo, l'essere mostruoso avanzava verso la radura di Rurith. Quando vide che si era liberato dell'ultimo ramo che ancora lo avvinghiava e che stava per continuare nella sua opera di distruzione, Reo gli si parò davanti a spada sguainata. Anche quello che doveva essere Lyrin aveva addosso molto di quel metallo lucente, in forma di corazza. Si chiese come avrebbe fatto a sconfiggere un mostro così spaventoso.

La canzone degli EoriuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora