Il tuo compito

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Lewis tornò a casa e buttò lo zaino sul pavimento all'ingresso prima di ritirarsi nella sua stanza. Consapevole dello stomaco che chiedeva cibo, cercò tuttavia di rimanere sul letto il più a lungo possibile.

Per gustare le parole di Alice.

Per attutire quelle che sarebbero arrivate.

Un po' aveva mentito a Martin, ma non sapeva bene perché: suo padre non aveva ancora letto il finale. Aveva letto e criticato tutto il resto, ma non quello.

"Poggia i fogli lì, più tardi darò un'occhiata" aveva detto, senza alzare gli occhi dal portatile e, soprattutto, dal romanzo che stava scrivendo.

E Lewis era andato via, aveva raggiunto l'amico. Ripensandoci, Martin gli avrebbe detto che magari quella volta non sarebbe andata male, che quel finale sarebbe piaciuto a suo padre, che non doveva preoccuparsi.

Tutte parole vuote. Le aveva evitate.

Gli voleva bene, ma non capiva.

Alice invece aveva preso i fogli tra le mani.

***

«Alla fine sei riuscito a concluderlo. Sapevo che ce l'avresti fatta» aveva detto, guardando il titolo del romanzo che le aveva appena consegnato come se non lo conoscesse già.

«Be', è il minimo» aveva risposto lui, portandosi una mano alla nuca e guardando in un punto indefinito e vuoto.

«In realtà un sacco di gente non riesce ad arrivare alla fine neanche di un romanzo. Tu con questo nei hai completati dieci, senza parlare dei racconti.»

«Be', quando i tuoi ti danno la paghetta solo se scrivi una quantità specifica di parole a settimana tendi a sviluppare delle storie. Se no, la possibilità di vedere gli amici e fare con loro qualcosa di più di una passeggiata è infinitamente ridotta.»

Lei scosse la testa, facendo oscillare i capelli biondi e lisci. Sorrise. «Avresti potuto anche scrivere cose a caso, scene o qualunque altra cosa. Persino un diario.» Stavolta fu lei a distogliere lo sguardo, quando lui fissò il proprio nel suo. «Tu vuoi scrivere, anche se parli e ti comporti come se non fosse così. Fai il disinvolto, ti nascondi. Ma non puoi pensare che io ti creda. Non ci sono solo le parole... bisogna dare ascolto anche ai fatti.»

«I fatti sono le valutazioni settimanali dei miei genitori negli ultimi anni. Ed è andata molto male» fu la risposta di Lewis, secca e triste.

Lei mise il dattiloscritto nello zaino, poi lo guardò negli occhi. Decisa. «Tua madre è fantastica, dovresti ascoltarla ogni tanto. Invece consideri solo i pareri di tuo padre. So che vorresti che lui ti apprezzasse, ma hai mai considerato la possibilità che piacergli non sia un tuo compito, una tua responsabilità?»

Lui strinse la presa sulle bretelle dello zaino e accennò a cominciare a camminare.

Lei lo seguì.

Rimasero un po' in silenzio.

«Lewis, io penso davvero che tu possa farcela. Vorrei che anche tu ti permettessi di pensarlo. Se ci dovessero essere nei problemi, potremmo affrontarli insieme.»

«Vorresti una persona da aiutare? Non è il massimo, no?» chiese lui, risentito. Fissò il pavimento che scorreva, stupito dalla piega che quella conversazione stava prendendo. Non è mai stato così chiaro con lei. Mai. Forse però non voleva dire niente. In fondo aveva solo detto "una persona".

«Non una persona che sia costantemente da aiutare e che sia sempre inerte. Una normale, che non sia sempre allegra e realizzata. Una che ha problemi come tutti. E che voglia affrontarli. Anche i miei, quando serve, insieme a me. Vorrei una persona così al mio fianco» rispose lei, invece, guardandolo dritto negli occhi, per poi fermarlo e mettersi davanti a lui. Gli mise le mani sulle spalle. «Forse quello che devi fare è accettare il rischio di credere in quello che fai.»

Lui era diventato rosso fino alle orecchie, ormai roventi. Annuì, incrociando il suo sguardo solo per un secondo.

Lei aveva sorriso, poi era diventata seria. «Lo leggerò stanotte.»

Ispirazione, La città degli scrittoriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora