L'inizio

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Est modus in rebus

"C'è una giusta misura nelle cose"

Orazio

Aveva appena terminato la sua opera. Era soddisfatto del suo lavoro, era riuscito anche questa volta a portare a termine la sua vendetta.

Da anni era sulla bocca di tutti e nessuno riusciva a prenderlo semplicemente perché lui non esisteva.

Aveva cinque anni quando i suoi familiari, in cerca di soldi, avevano deciso di venderlo a quella feccia umana. Un trafficante di essere umani che ogni due settimane organizzava spedizioni dalla Libia all'Italia.

Li aveva costretti ad attendere due notti in una microscopica gabbia nascosta dentro un'abitazione distrutta vicina alla spiaggia, tutti lì, ammassati, donne, bambini e uomini che faticavano perfino a respirare. Si era messo ad urlare che c'erano in giro dei giornalisti italiani e che non avrebbero dovuto fare nessun tipo di rumore altrimenti sarebbero stati costretti a sopportare le peggiori torture.

Lui era lì, a soli cinque anni, in mezzo a quel calvario a chiedersi perché; cosa aveva mai fatto ai suoi genitori per meritare tutto questo? Erano poveri, è vero, ma lo erano anche tutti i suoi amici e lui aveva già abbastanza forza per aiutare la mamma a raccogliere l'acqua dal fiume, tagliare i rami per il fuoco, quindi perché tutto questo?

Non riusciva a trovare risposte mentre la rabbia prendeva il posto della paura.

Dopo due giorni trascorsi in mezzo al mare, sopra una barca che sembrava una zattera, al largo delle coste Libiche una gigantesca nave li aveva affiancati, provocando onde altissime che per poco non facevano ribaltare quella carretta.

Non riusciva a capire l'entusiasmo di quelli intorno a lui.

Cosa c'era di positivo in una nave piena di gente incappucciata, con le mascherine davanti alla bocca che strillavano a tutti di stare fermi?

Era terrorizzato da queste persone ma una donna lo aveva rassicurato "sono venuti a salvarci, ci porteranno in Italia e ci faranno stare bene!"

Non le credeva, lui stava bene a casa con la sua famiglia.

Salito a bordo della nave, una donna con modi gentili lo visitò, li regalò dei vestiti asciutti e li diede una bottiglia d'acqua.

Lui non aveva sete, aveva fame, non ricordava nemmeno più da quanti giorni non metteva qualcosa nello stomaco. Le sue timide richieste rimasero inascoltate. Quella donna si preoccupava solo di capire dove fossero i suoi genitori, lui non riusciva a spiegarsi e lei non riusciva a capire.

Arrivati in Italia, scoprì successivamente che si trovava in Sicilia al porto di Augusta, venne nuovamente visitato e senza troppe spiegazioni, inutili visto che non capiva nemmeno una parola di italiano, fu trasferito insieme agli altri bambini, una decina in tutto, in un casolare nelle campagne siciliane, in località Noto .

Questo casolare era praticamente un rudere ed era circondato da una recinzione altissima con filo spinato.

Non aveva mai visto un carcere ma negli anni scoprì che quel posto era molto simile.

Scesi dal pullman che li aveva portati fino lì, i bambini vennero tutti messi in fila e numerati.

Lui aveva il numero 530.

Guardandosi intorno si rese conto di essere il più piccolo, in quel gruppo c'erano ragazzi molto più grandi di lui che protestavano con violenza contro quel tipo di sistemazione.

Non avevano tutti i torti; quella catapecchia dentro era messa pure peggio.

C'erano cinque stanze enormi piene di lettini accatastati uno sull'altro e un unico bagno per quasi duecento persone. Una puzza nauseante. Li tornavano sempre alla mente le parole di quella giovane donna sulla barca "sono venuti a salvarci, ci faranno stare bene" evidentemente anche lei non sapeva cosa l'aspettava.

530Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora