La partenza fissata per domani mi ha preso tutte le giornate delle ultime settimane, passate alla ricerca di una stanza che potessi con qualche mio risparmio permettermi, il viaggio, le valigie, i vestiti e ancora non ne parlo effettivamente con mio padre. L'ha capito. Sa che cambierà tutto, sa non sarò più il figlio di cui vantarsi perché sarò quello che lo ha abbandonato, ma spera ancora che san Gennaro mi riporti sulla retta via e non nella selva oscura.
"Papà, ascoltami"
Sono minuti che lo rincorro per i corridoi di casa. Cerco le parole giuste per dirgli che sì me ne andrò, per pochi mesi, per inseguire un sogno e non una cattiva strada, per fare carriera e non la malavita.
"Ciro che vuò? Te ne i? E vai. Io non ti trattengo. Ma dovrai farcela con le tue forze, io non posso aiutarti, non ora che ce stamm arripiglienn ca pizzeria"
"Nun vogl nient papà, voglio che ti fermi e mi guardi"
Mentre infila la camicia, pronto alla solita giornata di fatica che lo aspetta, si ferma e si siede sul letto.
Ammira la foto di mamma, quasi come voglia parlarle, ma alla fine cede al mio sguardo.
"Oh papà, non sto lontanissimo, torno. Lo faccio per me lo sai. Nun pozz morì ca."
"E pecchè io si? Io pozz murì ca?"
"No papà ma che dic, ma tu hai la tua pizzeria"
"è pure tua, sarà tua un giorno."
Io lo vedo quel velo di disprezzo e di abbandono che sta provando in questo momento.
Il punto è che lui non lo vede, ma io si, vedo il mio futuro. Me lo sento addosso come l'umidità di questi vicoli, come i raggi del sole di Mergellina, come la farina di semola che usiamo per stendere e alla fine ti si appiccica addosso fino a quando non ti strofini sotto la doccia. Mi sento addosso la pressione che mi schiaccia, quella che si appesantisce dalle aspettative degli altri di vederti diventare chi non vuoi essere, come se ti vedessero gia al posto tuo, deciso alla nascita, marchiato nell'anima. Io non sono quello, non voglio essere chi non sono, non voglio far diventare le mie giornate uguali a quelle di mio padre solo perché s'adda fa o s'adda pensa a famigl, io sono Ciro e pertanto i miei desideri devono essere rispettati come quelli di tutti. Lasciarli e guardare avanti non è un abbandono. Vedermi andare via è sicuramente un atto di coraggio, ma soprattutto è segno che io la forza di cambiare ce l'ho e lo devo solo a loro che mi hanno cresciuto impavido e coraggioso tanto da trasferirsi in una nuova città per costruirmi un pezzo di vita nuovo.
"Cì, ma mo che vai a fa la?" Gennaro e la sua infinita curiosità, prima di bere un altro sorso di birra, mi guarda con gli occhi di chi sa che mentre il suo mondo si è fermato al mio ho dato l'accelleratore.
"Gennà, vac a faticà. Qua non mi piaceva più lo sai. Tra papà e lo zio, semp burdell, io voglio fare quello anche altro e non infornare solo pizze."
"Si ma po ti fai i soldi e torni a Napoli?"
Conosco Gennaro da quando eravamo scugnizzi di 6 anni alla prima elementare, fino al quinto superiore siamo stati inseparabili. Sua mamma e mio padre a giorni alterni ci preparavano il pranzo, la sera usciamo sempre insieme ad altre persone, la sua fidanzata lo tiene per il collo e non gli fa fare cazzate, meno male mi vien da dire, e ora seduti su questa panchina mi guarda anche lui con lo sguardo di chi si sente abbandonato.
"Ovvio Gennà. Apro un mio ristorante, stellato, in riva al mare. Vi ospito tutte le sante sere. Cannavacciuolo verrà a cena da me quando fa vecchio e mio padre non deve pensare più a nulla perché ci penserò io."
Tante luci per riflettersi sul mare. Bicchieri colorati e piatti bianchi. Odore di mare e di cose buone. La pasta che va calata, il sughetto col pesce che fermo in padella emana un odore sublime di misto a tutti gli altri mi fanno sentire bene, mi fanno sentire a casa.
Annamaria e Rosa mi fissano mentre preparo la valigia con quattro maglie e un jeans, Vito è intento a giocare con Mario e nonna sta facendo quello che la distrae sempre da tutto: frigge.
"Ma pozz venì a te truvà?"
"Rosa certo che potete venire, non appena piglio casa, la venite a vedere."
E di nuovo abbandono. Prendo casa uguale abbandono. Abbandono uguale te ne vai e non torni più.
Il grande problema di chi lascia il sud per andare a lavorare nel centro-nord è quello che non sai se la via per casa la ritroverai ancora oppure la dimenticherai dopo un po'.
"Ciro finita la scuola vengo pure io. Quindi trovati un posto grande. Evè Mario o zì, andiamo tutti a Roma."
Mario ride e balla, nei suoi cinque anni non gli importa se lo zio se ne va, purchè resti qualcuno a giocare con lui. E dovrebbe sempre essere così. Quando ho compiuto sei anni mamma si è ammalata, non capivo molto di quello che mi diceva ma per anni entrava ed usciva dall'ospedale e io con mio padre e i miei fratelli molto più piccoli non facevamo altro che seguirla. Quando ho compiuto nove anni ci disse di aspettare Rosa, di imparare a cambiarle il pannolino ed Annamaria si dimostrò subito entusiasta di diventare una piccola donnina, fu solo quando se ne andò sul serio che ci rendemmo conto di avere a che fare con una bambina di nemmeno sei mesi da crescere h24 con l'aiuto della nonna. Mario è felice, noi siam dovuti crescere e abbiam dovuto crescere qualcuno.
"Cirò a nonna ma non ti porti nulla da mangiare? E se ti viene fame?"
"A nò non vado mica a morirmi di fame, troverò un supermercato e farò la spesa, statt tranquill."
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Un'amore come un Babà
RomanceMi chiamo Ciro e sono uno chef. Non uno qualunque, ho guadagnato la mia prima stella michelin. Vengo dai sobborghi di Napoli e vabbè non posso mica regalarvi mezza storia. Lei è Giulietta, oh no no non quella di Romeo, è colei che mi ha cucinato a...