Uno, due, tre rintocchi. Uno, due, tre battiti. Uno, due, tre respiri. Poi, tirò. Lei ci stava provando, si stava impegnando. Era questo quello che faceva più male. Tentare e sbagliare. Sforzarsi e fallire. Desiderare di vincere, ma perdere.
Diaspro si guardò intorno e vide solo perfezione, una perfezione minuziosa, quasi fastidiosa. Lanci perfetti, mire perfette, corpi perfetti... eppure lei si sentiva immersa solo in una grande confusione. Una confusione creata da tutti quei movimenti precisi e sincronizzati, dalle divise tutte uguali, dagli esercizi ripetitivi, da un mondo che non era il suo.
Fece ancora tre respiri e improvvisamente sentì la bocca asciutta. Non voleva guardare. Non voleva scoprire di aver commesso un altro errore.
Uno, due, tre rintocchi. Uno, due, tre battiti. Uno, due, tre respiri. Poi, spostò gli occhi sul suo coltello. Il suo coltello... in quindici anni di vita non avrebbe mai pensato di poter osservare un coltello e definirlo effettivamente suo, come se si trattasse di un oggetto comune, che si è soliti portare in giro. In quindici anni di vita non avrebbe mai pensato di guardare un coltello e desiderare, con tutta se stessa, che solo lei potesse vederlo. In quindici anni di vita non avrebbe mai pensato di dover lanciare un coltello. Invece si era sbagliata.
Viveva alla Centrale 1 da che ne aveva memoria, ma fino ai suoi quindici anni era stata tenuta in disparte, perciò quel mondo le era quasi del tutto sconosciuto. Successivamente era stata catapultata in una vita che non le apparteneva, in una vita che non desiderava. Una vita composta da duri allenamenti fisici e mentali, che miravano a preparare lei e i suoi compagni al futuro da Conservatori. Da quel momento in poi, per i cinque anni successivi, lei aveva desiderato di poter tornare ad essere solo Diaspro. Diaspro. E non la "sfigata", la "debole", la "femminuccia" della situazione. Non c'erano molte donne nel movimento. Anzi, a dir la verità, non ce n'erano proprio. Diaspro, infatti, era cresciuta in un luogo dominato solo da figure maschili. Un luogo che vedeva la donna come impotente e non adatta alla vita che conducevano i Conservatori. Proprio per questo alla centrale non erano ammesse.
Anche Diaspro, d'altro canto, non avrebbe dovuto trovarsi lì. Le era stato concesso di rimanere solo perché l'unica persona che poteva occuparsi di lei era il padre, uno degli scienziati più rinomati alla Centrale 1. Era stato proprio lui a convincere tutti che sarebbe stata una buona idea farla allenare con la squadra di novizi della sua età. Diaspro, però, non era convinta di quest'idea del padre. Agli allenamenti non veniva mai presa seriamente, ma costantemente sminuita e lei, piano piano, aveva cominciato a stancarsi di quella situazione.
Mentre Diaspro osservava il suo coltello, che aveva raggiunto al pelo il braccio del bersaglio, qualcuno le si avvicinò.
"Sei un disastro" disse lui. Lui era un ammasso di testosterone compresso in un metro e ottanta di quella che Diaspro considerava pura antipatia. Dylan Herris, così si chiamava il ragazzo. Agli occhi di qualsiasi donna, Diaspro lo sapeva, probabilmente sarebbe risultato perfetto. Lei quella perfezione non riusciva a vederla. Piuttosto lo trovava solo un ragazzino arrogante, molto cresciuto fisicamente, ma decisamente indietro mentalmente.
Era arrivato alla Centrale 1 all'età di sedici anni, quando il padre ne era diventato il comandante e, da allora, era entrato nella squadra di novizi insieme al gemello.
Diaspro strinse i pugni e sentì il calore riempirle le vene. Sentì le ossa bruciare, i muscoli divennero cenere e le articolazioni si sciolsero. Il desiderio di prendere a pugni quel ragazzino imbottito di steroidi infuocava ogni centimetro del suo essere. Decise di rimanere calma, limitandosi a lanciargli un'occhiata truce, cercando di esprimere tutto il disprezzo che provava per lui.
"Forza Didi, non te la prendere, le tue scarse doti ormai sono note. Io a dodici anni tiravo meglio".
"Chiamami ancora Didi e ti prometto che con te non sbaglierò mira." Diaspro era fatta così. Aveva sempre la risposta in canna, ma spesso ostentava una sicurezza che, in realtà, non aveva. Si era sempre considerata una ragazza ingamba, ma da quando era stata costretta a far parte della squadra dei novizi, aveva smesso di sentirsi tale. Dava il meglio di se, ma tutto sembrava uscirle nel modo sbagliato, come se ci fosse una forza a lei invisibile, che la tirava nella direzione opposta rispetto agli altri. Questo non le piaceva. Odio. odio. odio. Era l'unica emozione che riusciva a provare per ciò che stava vivendo. Non le piaceva il posto in cui era, non le piacevano le persone che la circondavano, non le piaceva la persona che stava diventando. Insicura, rancorosa, arrabbiata...
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DIASPRO
FantasySeptaria, un mondo diviso fra Gemme ed esseri umani. Un mondo che nasconde molto più di ciò che la protagonista, inizialmente, riesce a vedere. Un mondo che da una parte non le appartiene, ma dall'altra è completamente ai suoi piedi.