VII.1 Gli uomini non piangono

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Venne fuori che Alexander non aveva mai sbagliato i conti, non era mai stato negato per la burocrazia e non aveva nessun problema di calcolo.

Le frodi di Lady Woods si erano dipanate per tutta Londra, facendo girare e rigirare sterline nei conti di famiglia che non apparivano nei documenti ufficiali.

Sapere di aver avuto ragione su sua madre per tutto quel tempo non fu di grande consolazione, considerando le privazioni che quella ragione comportava. Nessuno nel circondario sembrava avere un lavoro da offrire a uno come lui, che non aveva esperienza diretta in nessun ambito lavorativo e mancava di particolari doti fisiche. 

Il signor Johnson, dopo tante insistenze e promesse, accettò di far lavorare Harvey un'ora in più attaccando al turno in anticipo e lui disse a Sarah, Lizzie e Alexander che gli aveva concesso di cenare al lavoro, allungandogli un pezzo di pane prima del turno. 

Quest'ultima informazione era una bugia, ma loro non l'avrebbero mai saputo, e in questo modo restava più cibo per tutti perché lui si limitava al pranzo e saltava la cena.

La fame negli ultimi giorni si era fatta più insistente, ma si guardava bene dall'esplicitarlo, altrimenti gli altri avrebbero capito e l'avrebbero spinto a smettere.

Era difficile, ma senza queste accortezze non avrebbero potuto tenere Alexander con loro e lui si sarebbe dovuto ridurre alla strada, intanto che il processo a sua madre che teneva loro congelati i beni proseguiva.

Harvey era seduto sul letto che ormai era di Alexander e teneva Lisbeth in grembo, raccontandole la storia di quella principessa che si punse il dito con il fuso di un arcolaio e dormì per cento anni, mentre Sarah rifaceva il letto matrimoniale dopo aver sbattuto fuori le coperte su cui Harvey dormiva sul pavimento.

«Si addormentarono anche i cavalli nelle scuderie, i cani nel cortile, le colombe sul tetto, le mosche sulle pareti; sì, anche il fuoco che divampava nel focolare si fermò e si addormentò…» raccontò Harvey, mentre Lisbeth lo ascoltava rapita e immobile.

Alexander era seduto al tavolo, chino su un quadernino rilegato in pelle, ma ogni tanto alzava la testa e osservava Harvey e Lizzie, ascoltando il racconto. Ogni volta che alzava lo sguardo verso di loro sembrava che le spalle gli si alleggerissero da un peso.

Accanto al quadernino stava lo schizzo dell'ennesimo ritratto a Sarah, che Harvey aveva tentato di ignorare tutto il giorno, con scarso successo e grande risentimento.

«Cosa scrivete tutto il tempo, là sopra?» chiese Sarah a bassa voce, che finito di rassettare si stava lasciando cadere sdraiata sul letto.

Negli ultimi tempi il ragazzo aveva preso a scrivere sul suo quaderno con il carboncino che usava per disegnare, perché l'inchiostro era diventato un bene troppo costoso per lui. Aveva sempre le mani annerite come un minatore e riempiva tutta la casa di polvere nera che si attaccava alla pelle e ai vestiti, ma ai Connor non aveva mai dato fastidio.

Chiuse il quaderno di fretta, buttandolo sulla credenza in uno sbuffo nero di carbone. Guardò ancora verso Harvey, che gesticolava raccontando del figlio di re che brandiva la spada tagliando i rovi che gli precludevano l'accesso al castello e fece un sorrisino.

«Niente» rispose, laconico.

«Non stavate scrivendo niente? E che stavate facendo allora?»

Alex sospirò, mettendosi più comodo sullo sgabello. «Signorina Connor, sapete che vi considero di famiglia, ma vi consiglio di non continuare oltre questa discussione.»

Sarah alzò le spalle. «Vi vedo sempre scrivere, scrivere, scrivere e sono solo curiosa. Scrivete un romanzo, forse? O raccontate le vostre memorie, magari?»

Vita e Amori di Harvey ConnorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora