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 'Se proprio vuoi diventare un eroe...'

Lo sguardo di chi è consapevole di essere superiore.

'Perchè non ti butti dal tetto della scuola...'

L' espressione intrisa d' odio.

'sperando di rinascere con un quirk?'

La schiena, perfettamente coperta dalla divisa alla coreana, mi venne rivolta per l' ennesima volta come promemoria di quale dovesse essere il mio posto.

Si allontanò  lasciandomi lì, con lo sguardo perso nel vuoto e il respiro ansante, mentre una morsa mi opprimeva il petto. Un filo spinato si avviluppò sul mio cuore,  si conficcò nella mia carne fino a risalire nella gola arida annidandosi al suo interno e dandomi la netta impressione di non riuscire a respirare, nonostante le stoccate d' aria si faccessero sempre più profonde. Le lacrime sgorgavano senza esitazione lasciando un appena percettibile scia di umido dolore sul mio viso ripiegato in una smorfia sofferente, come se mi stessero infliggendo chissà quale tortura. Le labbra accartocciate su se stesse che non smettevano di tremare convulsamente, iniziando una tacita sfida con le mie mani altrettanto abili nel non fermarsi neanche un istante.

Strinsi lo zaino tra le braccia esili come se avessi potuto ficcarmelo nel petto per schiacciare il tarlo che mi stava rosicchiando dall' interno.

Oramai vi erano  due costanti nella mia vita, fuse e amalgamatesi tra loro per  creare la massa informe che pulsava incessante contro la cassa toracica.

Amore.

Dolore.

In che modo sono connessi vi starete chiedendo...

Non sono necessarie chilometriche spiegazioni filosofiche.

Ma prima lasciate che mi corregga.

Kacchan.

Amore.

Dolore.

Una sorta di gerarchia, dove lui ovviamente non poteva che occupare il vertice.

Tutto ciò che sono , tutto ciò che tanto odia, lui ne è stato inconsapevolmente l' artefice.

Quando capii che quel che provavo nei suoi confronti non si limitava a una sconfinata ammirazione fu troppo tardi.... Il mio intero corpo era già stato infettato da quella patologia sconosciuta quanto letale. 

Una malattia invisibile, impossibile da diagnosticare, che si sviluppa timidamente. All' inizio i sintomi sono lievi, quasi impercettibili, facilmente trascurabili. Un accenno di tachicardia, un formicolio sulla spina dorsale, movimenti leggermente più frettolosi. 

Ma poi i mesi sono trascorsi e quei piccoli segnali si sono trasformati in qualcosa di ben più difficile da gestire. 
 Il cuore si contrae, si ripiega su stesso, si agita fino a dolere, in quel che sembra essere a tutti gli effetti un infarto. I brividi diventano scosse, elettricità pura che viaggia lungo la tua spina dorsale facendoti annichilire, le parole che si mescolano tra loro perdendo di significato, mentre le sinapsi nella tuo cervello si rifiutano di funzionare a dovere lasciandoti preda di pensieri sconnessi.

Ebbene quello è lo stadio finale, quando oramai l' organo vitale affluisce al corpo sangue malato, contaminandone ogni centimetro. Da quel momento, non si ha più scampo. Ogni qual volta i vostri sguardi si incontreranno, che sia per secondi o per minuti, morirai.

Non importa quante volte la mia bocca si aprisse nel tentativo di incanalare quanta più aria possibile, l' ossigeno rimaneva rarefatto. Non importa quanto impregnassi le maniche della divisa, quelle gocce continuavano beffarde a cadere dai miei occhi. Non importa quanto disperatamente ci tentassi, quanto cercassi di imprimere nella mia mente il suo disprezzo, senza alcun remore essa  continuava a proiettare la sua immagine in maniera quasi idilliaca, raffigurandolo come qualcuno ai piedi del quale bisogna prostrarsi fino a farsi scorticare le ginocchia.

E mentre mi distruggevo nel vano tentativo di estirpare quella pianta parassita che  aveva insediato le sue radici ovunque, capii che le fiabe sono solo menzogne.

Non ci sono fiori, non ci sono sorrisi, non c'è delicatezza nella violenza di questo sentimento, che ti deruba di tutto ciò che credevi di essere, ti divora e ti rigetta per poi masticarti nuovamente in un supplizio eterno. Ma del resto rispecchia perfettamente colui al quale è rivolto.

Se ti innamori di Kacchan con la delicatezza del battito d' ali di una farfalla gli offrirai solo l' occasione di spezzartele e godere nel farlo.

Per una persona come lui non si può che provare qualcosa di altrettanto prepotente e irruento.

"Ehi, stai bene?" Mi voltai di scatto verso la fonte di quella voce che pareva essere intinta di preoccupazione. Nonostante il velo depositatosi  sui miei occhi rendesse l' immagine  evanescente non mi fu necessario mettere a fuoco per intuire l' identità di chi stranamente si stava dimostrando interessato alle mie condizioni. E come avrei potuto dimenticare uno dei quattro ragazzi che venivano a farmi visita tutte le notti, tormentando persino il mio sonno.

Harumi Nakamura, rientrava nella ristretta cerchia di coloro che avevano il privilegio di definirsi 'amici' del biondo esplosivo. La prima cosa che notai di lui furono i suoi capelli, abbastanza lunghi da ricadergli morbidamente sulle spalle. Alla luce del sole i fili neri  divenivano tanto lucidi da tingersi di  sfumature bluastre, ben intonate con le iridi cerulee che spiccavano sulla pelle diafana. Delle volte lo  guardavo di sottecchi, per quanto le percosse di Kacchan me lo permettessero, e da quel po' che ebbi modo di sbirciare intuii subito vi fosse qualcosa di diverso in lui. Non  sghignazzava quando un calcio ben assestato mi faceva balzare in aria e non pareva divertito dalle prese in giro del mio amico d' infanzia, a differenza degli altri due scagnozzi che si godevano la scena compiaciuti. 

"C-cosa?" Lo fissai sbigottito, credendo fosse impossibile si stesse rivolgendo a me. Tuttavia per quanto stentassi a crederci non vi era nessun altro nell' aula. Lui sembrò intuire il mio sgomento perché si affrettò a darmi spiegazioni.

"Non dar retta a ciò che ti ha detto quello stronzo. Tu meriti di vivere" sorrise mestamente, mentre la parte finale della frase si ridusse ad un sussurro udibile a malapena "forse anche più di tutti gli altri..." non mi lasciò nemmeno il tempo di rispondere . Si allontanò con la stessa rapidità con cui era arrivato, scomparendo nel dedalo di corridoi e rendendomi impossibile ritrovarlo. 

Tentai di analizzare la situazione attingendo ai residui di razionalità ancora in mio possesso. Forse  per una persona comune questo sarebbe stato un semplice atto di gentilezza, ma non nel mio caso. Sapevo dovesse esserci qualcosa sotto. Perché nessuno e sottolineo nessuno si avvicinava a me, che fosse per il timore di Kacchan o di infangare la propria reputazione. Quindi come mai uno come lui aveva addirittura tentato di darmi conforto?

Una persona che non era mia madre mi aveva appena chiesto come mi sentissi, fino a poco fa mi sarebbe sembrata solo un utopia.  Senza tener conto dell' insulto rivolto a Kacchan, il che implicava che tra i due non scorreva buon sangue come pensavo. Ma cosa aveva spinto Harumi a rivolgermi la parola? Forse avevano discusso? Che fosse per ripicca? Non aveva modi migliori per vendicarsi del mio bullo se non stringere amicizia con la sua vittima?

Sfregai le palpebre trascinando su di esse le lacrime incastrate tra le ciglia, mentre mi sforzavo di dare un senso quel che è appena avvenuto, avendo come unica compagnia un pulsante martellare sulle tempie.







Angolo demenza.

Sinceramente? non so cosa ne verrà fuori.

Ragazzi io vi avverto, ho tredici anni e un esperienza di scrittura che si limita a qualche bozza, quindi perdonate eventuali errori e magari segnalatemeli così aggiusto. Ci saranno piccole parti tratte dal manga, ma pochissime dato che la storia è ambientata alle medie. Spero questo capitolo vi sia piaciuto, so che è un po' noiosetto ma  avevo bisogno di rendere chiari i sentimenti di Izuku prima di partire con la storia vera e propria. Inoltre ci saranno scene di autolesionismo che segnerò con un asterisco all' inizio e alla fine cosi potete saltarle. 

Detto questo, vi ringrazio della lettura <3

Our fairy tale||BakudekuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora