Prologo: L'omicidio.

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L'aureola di sangue aumentava sempre di più, sotto il corpo senza vita di mia madre. Colorando di un rosso vivo il pavimento piastrellato, polveroso e vecchio della cucina bianca lucida.
I miei occhi le percorrevano il volto, mentre ero in ginocchiata davanti a lei con le lacrime agli occhi, dopo averle sfilato il coltello dal corpo.

Erano 27 coltellate, le ho viste, le ho contate. Avevo visto il momento in cui dopo averle
sgozzato la gola, il sangue è uscito a schizzi quasi come una fontana.

Eppure quando con le sue mani cercava di fare pressione, io non ho fatto nulla per aiutarla. Sono rimasta li, inerme, impalata a guardarla.

È caduta in ginocchio, per poi perdere del tutto conoscenza e ricadere con le spalle al
suolo. Eppure non ero triste che sia arrivata la sua
fine, so solamente che lo meritasse.

E allora perché le lacrime non si frenavano? Perché quel dolore alle tempie non voleva arrestarsi, e quel battito cardiaco smettere di battere così forte?

Perché lei era mia madre. Oppure avevo desiderato che lo fosse.

Una madre non avrebbe fatto entrare il nonno in camera di sua figlia a soli 11 anni, lasciando che le sue mani la toccassero senza consenso.

Lei non voleva avere problemi con lui. Lei non voleva trovarsi senza un tetto sulla testa, e l'unica soluzione era  vendermi a quella maledetta canaglia.

Ogni mattina dopo aver passato con lui notte, percorrevo la  cucina con gli occhi vuoti e i segni che che mi lasciava sulle braccia, con lei che mi voltava il volto dall'altra parte. Fingeva di essere cieca, ma invece vedeva e io lo sapevo, lo sapevo.

Non penso che chiunque si lasciasse chiamare madre, lascerebbe che sua figlia venisse stuprata da suo nonno...

Guardai il coltello insanguinato, mentre
lo rigiravo tra le mani, annusando il profumo del suo sangue maledettamente simile a quello della libertà.

Io sarai stata migliore di lei.

Queste, sono le parole che mi ripetevo
alzandomi e lasciando andare una dei tanti dolori della mia vita.
Sentii le sirene della polizia avvicinarsi. Una
scarica di adrenalina mi percorse la schiena, sapevo cosa stava per accadere.

Coricai lo zaino in spalla e alzai il cappuccio
della mia felpa nera, troppo grande per il
mio corpo esile, cercando di nascondere i miei lunghi capelli neri.

Infilai il coltello nella sacca anteriore dello zainetto, consapevole che
quell'arma sarebbe stata l'incastro perfetto per quest'omicidio.

Dopo averlo toccato, stretto e annusato, tutte queste azioni erano state registrate con i residui delle mie impronte.

Prima di andarmene, voltai il volto nella sua direzione e diedi un'ultima occhiata al corpo inerme di
una donna troppo giovane.

Capelli corvino ormai imbrattati di rosso sparsi sul pavimento, i suoi occhi scuri senza briciolo di vitalità e
umanità, erano rivolti al soffitto, ammirando un punto perso.
La pelle candida che al chiarore della luna, splendeva
avvolta nella sua camicia da notte bianca.
Un altro dettaglio che non avrei mai dimenticato anche se avessi voluto, quella maledetta vestaglia che usava ogni volta che si prostituiva. In casa. Con me.

Non mi accorsi di singhiozzare fin quando accovacciandomi sulle ginocchia non le spostai dei capelli dalla fronte bagnata di sangue.

Ero accusata dell'omicidio di Amanda.

Amanda Johnson era mia madre.

"Buon viaggio madre, ci vedremo all'inferno."



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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 10, 2023 ⏰

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