stelle cadenti nel bosco

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vaghiamo alla ceca, nascosti nel buio, dove nessuno può vederci. a tratti corriamo, a tratti camminiamo, non sappiamo dove stiamo andando eppure non siamo affatto spaventati. hai detto che mi volevi portare in un posto speciale questa sera ma dopo neanche venti minuti hai ammesso di non ricordare la strada.
come quando eravamo piccoli: dispersi tra la natura, solo io e te.
«qui va bene» dici, sedendoti sull'erba umida di rugiada, le ginocchia raccolte vicino al petto cinte dalle braccia.
ti imito ed alzo lo sguardo verso il cielo. qui, lontano da caotico caos della città pieno di luci artificiali, si vedono le stelle. tanti piccoli puntini luminosi che dipingono disegni nel cielo, costellazioni.
«perché siamo qui?» chiedo, in un sussurro. non voglio sovrastare parole più nuove, dette dalle gocce e le foglie che cadono, dal cinguettio degli uccelli e il fruscio del fiume. sembra che anche loro stiano sussurrando, raccontandosi storie nel loro linguaggio unico, troppo delicato per essere compreso da noi umani.
«da qui si vedono le stelle cadenti» poche e semplici parole, ma bastano a farmi ricordare che giorno è oggi: il 10 agosto, la notte di san lorenzo, come ho fatto a dimenticarmene.
sorrido: hai deciso di portarci me qui, a vedere le stelle, me e nessun altro. le mie guance si tingono di un leggero rosso. non posso vederlo, ma ne sono sicura: sento il calore che mi invade tutta la faccia ed istintivamente porto una mano come a volermi nascondere, come quando a tredici anni ho dato il primo bacio, anche se so che tu non puoi vedermi e, anche se fosse, non diresti nulla.
«vuoi... vuoi ascoltare un po' di musica?» mi chiedi voltandoti verso di me, sento lo sguardo dei tuoi occhi marroni cercarmi in mezzo al l'oscurità.
«no, continuiamo ad ascoltare le piante e gli animali raccontarsi le storie, anche se non possiamo capirli».
questa è una cosa nostra: da bambini dicevamo sempre che i rumori del bosco non sono altro che le parole degli alberi e dei fiori, degli insetti e degli animali. avevamo cinque anni, ma anche ora che ne abbiamo venti lo ripetiamo ogni volta, come se fossimo ancora quei due bambini che si nascondevano nel bosco quando i loro genitori li sgridavano per le marachelle che combinavano. e forse, in fondo, quei due bambini vivono ancora dentro di noi, imprigionati dalle responsabilità e i canoni di essere adulti.
«secondo te cosa significa quel fruscio di foglie?» chiedo, mentre mi sdraio sul prato per osservare meglio il cielo. mi sento come sovrastata da quella infinita distesa blu scuro. per fortuna ci sono le stelle: la loro luce mi rassicura.
«secondo me sono due alberi che confessano l'amore l'uno per l'altro» rispondi. sempre molto romantico, come ai vecchi tempi, non sei cambiato di una virgola.
«al quanto poetico» commento, continuando ad osservare il cielo, nella speranza di vedere almeno una stella cadente. sono anni che non riesco a vederne neanche una: trasferirsi in città ha i suoi difetti.
«mi sei mancato, comunque»
«oh, a cosa devo l'onore di questa affermazione così sentimentale?» mi prendi leggermente in giro, scherzosamente.
«dai, smettila di fare il cretino, sono seria» sbuffo, ma in realtà le mie labbra sono incurvate in sorriso a trentadue denti.
«anche tu sei mancata, molto» si avvicina leggermente, le nostre mani si sfiorano, timidamente.
ed ecco che torna a regnare il silenzio, solo il brusio della natura che ci circonda. chissà se stanno parlando di noi, le piante, chiedendosi cosa ci facciano due umani nel bel mezzo del bosco nel cuore della notte.
cerco di trovare il grande carro e il piccolo carro, le uniche costellazioni che conosco. per quanto abbia provato ad appassionarmi all'astronomia, solo per farti contento, proprio non capisco nulla.
«guarda, lì c'è la costellazione di cassiopea» indichi delle stelle, che però per me non hanno alcun senso, sono solo puntini luminosi su uno sfondo buio.
«sai che non capisco nulla delle costellazioni» ti ricordo, come se non mi conoscessi anche meglio di me stessa. allora, mi prendi il braccio e, alzandolo verso il cielo, fai scorrere la mia mano lungo quella che penso sia la costellazione da quel nome strano mai sentito prima.
«è strana, sembra una doppia v» affermo, inclinando leggermente la testa di lato per osservare meglio le stelle che mi stai facendo indicare.
«beh, sì, ci somiglia, però rappresenta la regina di etiopia cassiopea, da cui prende il nome, seduta sul suo trono. la leggenda narra che la regina riteneva che fosse, insieme a sua figlia andromeda, la donna più bella del mondo e che nessun'altra donna potesse superarla in bellezza. la nereide amfitrite, moglie di poseidone, chiese al marito di intervenire per punire tutta questa arroganza della regina. poseidone allora mandò il mostro marino ceto per distruggere l'intera etiopia. il re cefeo, marito di cassiopea, dunque si rivolse ad un oracolo che gli disse che l'unica soluzione per placare l'ira divina era offrire in sacrificio sua figlia andromeda. il re non ebbe altra scelta: incatenò andromeda sulle coste del regno e la abbandonò alla sua tragica sorte. ma il destino fu generoso con la principessa: a salvarla giunse perseo con il suo cavallo alato pegaso, di ritorno dalla battaglia con medusa, che riuscì a sconfiggere ceto salvando così andromeda. il re cefeo quindi concesse la figlia in sposa all'eroe. gli dei decisero di donare un posto tra le stelle a tutti i protagonisti della vicenda, cassiopea fu però condannata a ruotare per l'eternità intorno al polo nord, a causa della sua superbia. questa collocazione nella volta celeste la costringe periodicamente ad assumere una posizione capovolta, posizione poco dignitosa data come punizione a chi pecca di vanità» ascolto ogni singola parola che esce dalle tue labbra come incantata dalla tua voce, che racconta e spiega spigliatamente. a scuola non ho mai prestato attenzione alle noiose spiegazioni dei professori e venivo sempre da te a chiederti di spiegarmi le cose che non capivo e tu prontamente iniziavi a raccontare per filo e per segno, come fosse una storia, ogni argomento. riesci sempre a rendere poetica qualsiasi cosa, anche quelle stupide formule matematiche che ancora non riesco a capire.
«scusami, come al solito mi sono dilungato troppo» mormori, vedendo che non avevo spiccicato parola dopo il tuo racconto. anche se non posso vederti, sono sicura tu abbia appena abbassato lo sguardo, dispiaciuto.
«certo che no! adoro quando mi racconti così le cose, mi piace il tuo modo di spiegare, è poetico» esclamo, voltandomi per cercarti nascosto nel buio. vorrei poter incrociare il tuo sguardo e sorriderti rassicurante, ma non vedo nulla.
«dunque, quali altre costellazioni vedi, caro?» dico, facendo finalmente intrecciare le nostre mani, l'erba bagnata e i fiori che ci sfiorano la pelle facendoci il solletico.
«penso che alle costellazioni potremo pensarci più tardi: iniziano a vedersi le stelle cadenti» rispondi, indicano il cielo per farmi notare una meteora che proprio in questo momento attraversa il cielo davanti ai nostri occhi.
«esprimi un desiderio!» esclamo a voce troppo alta, come una bambina, stringendo ancora di più la tua mano nella mia e socchiudendo gli occhi.
"voglio passare tutte le notti così, per il resto della mia vita" è il primo pensiero che si compone nella mia mente. non desidero altro.

𝐂𝖾𝗆𝖾𝗍𝖾𝗋𝗒 𝐃𝗋𝗂𝗏𝖾 𖦹 𝗌𝗁𝗈𝗋𝗍 𝗌𝗍𝗈𝗋𝗂𝖾𝗌Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora