capitolo 1

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(Ho deciso di riscrivere la storia visto che non mi convinceva la prima stesura, quindi, molto probabilmente, avrò aggiunto o tolto alcune scene)

Nel corso dei miei diciassette anni di vita ho imparato due cose. La prima. la vita è una merda, un dono che ci è stato dato da un essere annoiato e apparentemente sadico, chiamato dai miei genitori Dio. Non riesco mai a comprendere il senso di essere chiamato dono, un processo in cui nasci solo per puro egoismo dei tuoi genitori. Dare alla luce una prole per continuare l'albero genealogico e per farsi compiangere, ritrovandosi sotto terra con una misera foto attaccata su un pezzo di pietra. Passiamo la maggior parte della vita a studiare per diventare qualcuno, solo per morire con più rimpianti che rimorsi. Per me non è un dono, ma una sofferenza inutile. Pessimista? Io mi definirei realista.

La seconda? E' che chiunque avesse inventato la frase che nella vita i soldi non fanno la felicità, è solo un povero sfigato che sapeva solo sparare cazzate. Pensai, addentando con rabbia e disprezzo il panino che stavo ormai torturando da qualche minuto e fissando il lusso sfrenato che emanavano gli studenti che si trovavano nella mensa della scuola in quel momento. Frequentare una delle scuole più prestigiose del Canada piena di figli di papà quando si è poveri, faceva proprio schifo. Per questo preferivo sempre starmene per le mie, anche perché nessuno mi avrebbe mai considerata lì. Ormai ero abituata alle solite occhiatacce sprezzanti che mi rivolgevano o alle risatine che sentivo ogni volta che passavo vicino a un gruppo di ragazze. Mi potevo considerare una ragazza semplice, con dei semplici capelli lunghi e biondi, dei semplici occhi azzurri e con dei semplicissimi vestiti che avevo comprato in un'anonima boutique, ero seduta con un semplice panino al mio solito semplice tavolo in mensa e fissavo con semplice disinteresse il semplice panorama che avevo davanti a me. Chissà cosa vedevano loro, cose che la mia semplicità non avrebbe mai visto. Addentai un altro pezzo del panino. Avevo la pelle chiara e liscia, con un paio di lentiggini sparse qua e là. Non ero particolarmente alta, nemmeno bassa, e avevo un aspetto che potrei descrivere come "ordinario". Mi piaceva indossare abiti larghi, confortevoli, preferivo rimanere anonima, nascosta da tutta quella gente, che a differenza mia passavano ore e ore a perfezionarsi e apparire impeccabili alla sola vista. Non ero esattamente invidiosa della loro ricchezza, alla fine i soldi non erano neanche loro, non volevo perdere tempo a pensare a cose del genere quando avevo un obiettivo da raggiungere, e questa scuola mi avrebbe dato una grossa spinta per compierlo: dovevo assolutamente entrare alla McGill, una delle più prestigiose scuole di medicina a livello mondiale ed eccellenza assoluta nella ricerca e nelle scienze neurologiche. Non avrei mai permesso a delle occhiatacce e a dei commenti spregevoli di rovinare i miei piani. Decisi di concentrarmi a mangiare quel panino piuttosto che a rimuginare. Vicino al mio tavolo, dove ero seduta da sola come sempre, c'è n'era un'altro in cui delle ragazze stavano parlando tra di loro e decisi di origliare per noia prima di lasciare il tavolo e allontanarmi.

«L'ho visto stamattina e ogni giorno che passa, diventa sempre più attraente»

«Avete visto che ha cambiato acconciatura? sta benissimo con i capelli mossi»

«ho sentito dire che suo padre è un uomo molto importante in Corea»

«io invece ho sentito che...»

Me lo dovevo aspettare. Alla fine ormai non si faceva altro che parlare di lui, Ye-Jun Han, il nuovo studente arrivato qualche mese fa e che da quel momento ha fatto impazzire tutte le ragazze della scuola. Non facevano altro che parlare di lui, sentivo quel nome ormai dappertutto: in classe, nei bagni, in palestra, in giardino e anche in mensa. Non ero una di quelle ragazze a cui importava ascoltare i petegolezzi o qualcosa del genere ma era impossibile non sapere nulla di Ye-Jun Han. Metà coreano e canadese, il suo quadro familiare era sconosciuto persino alle più pettegole della scuola, si sapeva solo che suo padre era capo di un conglomerato e che la sua famiglia era molto potente in Corea. L'avevo visto solo una volta in tutti questi mesi, da lontano. Non che mi interessasse, ho da sempre odiato tutti gli studenti di quella scuola e lui non faceva eccezione. Quelle persone che ti guardano dall'alto verso il basso come se tu fossi il nulla più totale, come se li potessi contagiare al solo tocco o sguardo, come se dovessi metterti ai loro piedi. Mio padre lo ha fatto da ormai quasi tutta la sua vita e mi ero promessa che non avrei mai fatto come lui. All'improvviso sentì che in mensa calò il silenzio, cosa mai successa in tutti questi anni che ho frequentato questa scuola. Stavo ancora guardando il mio panino che era sul tavolo, quando decisi di guardare girarmi e guardare dietro di me. Cos'è successo che tutti hanno smesso di parlare? Pensai. Mi girai, sollevai appena lo sguardo e sentii subito una stretta al petto. Erano tutti girati verso di me. Li vedevo: occhi che mi trapassavano da ogni angolo della stanza. Non dicevano nulla, o forse sussurravano, ma quei sussurri erano troppo deboli per distinguerli. Il mio cuore iniziò a battere forte, e la testa cominciò a girarmi. Perché mi stanno guardando? Sentivo il sangue pulsare nelle orecchie. Cercai di convincermi che mi stavo solo immaginando tutto, che non erano davvero tutti concentrati su di me... Eppure, ogni volta che mi guardavo intorno, quegli occhi non si staccavano. Forse ho qualcosa addosso, pensai, sfiorando nervosamente i vestiti con le mani. Forse è per questo che mi guardano. Ma non trovai nulla di strano. Eppure, il loro sguardo mi trapassava lo stesso. Il mio respiro divenne più veloce e affannoso, mentre il mondo intorno a me sembrava restringersi, sempre più opprimente. Non può essere. Non stanno guardando me. Cercai di convincermi, abbassando di nuovo lo sguardo sul mio panino ormai freddo. Forse era solo frutto della mia immaginazione, una delle mie solite paranoie. Nessuno mi aveva mai notata prima, quindi era impossibile che tutto d'un tratto fossero concentrati su di me. Sto solo esagerando. Ma il silenzio intorno a me era troppo reale, troppo intenso. Alla fine, non potevo più ignorarlo. Lentamente, quasi con riluttanza, alzai lo sguardo e mi girai verso il resto della mensa. Fu in quel momento che lo vidi. Ye-Jun Han era lì, seduto sul mio tavolo. I suoi capelli neri e mossi cadevano casualmente, quasi con una perfezione disarmante, e i suoi occhi scuri erano fissi su di me, così intensi che mi sembrava di non riuscire a respirare. Era alto, anche seduto lo si poteva intuire, e il suo volto... sembrava scolpito direttamente da un artista. Perfetto, pensai, mentre il mio stomaco si contorceva. Lineamenti netti, pelle liscia, quasi troppo perfetto per essere reale. Sembrava il tipo di persona che non dovrebbe mai sedersi a un tavolo come il mio, figuriamoci guardarmi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 31 ⏰

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