La mia dolce Luna

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Il silenzio lui ricerca; molte sono le storie e poche le verità. Nella sua lunga vita mai ha amato e mai amerà, perché tra tutte le sfortune la sua è stata quella di incontrare la follia. Il tormento di una vita non vissuta sarà il suo fardello e mai pace troverà; il Grande Padre si prende gioco di lui e in sogno egli sente le sue risate. Infondo è davvero cattivo, ma forse un giorno cambierà. 

"Di tutte le cose che odio in questo mondo, tu sei quella che detesto di meno". Sussurrò tra se e se un giovane Lebland mentre la Luna risplendeva sulle verdi valli notturne, ai piedi della montagna del Rosso. Non vi era un motivo del suo arrivo, solo una passeggiata nella profondità dei suoi pensieri. Fermo ai piedi di un precipizio osservava la Luna. "So che puoi sentirmi anche se sei lontana dalla realtà. Probabilmente neanche il Grande Padre può raggiungerti, e io di questo ne sono molto felice." Strinse le ginocchia a se e appoggiò la testa sul tronco di un albero caduto. Era solito fermarsi a contemplare la dea bianca, l'unica persona che ascoltava il suo freddo cuore. "Quando ero ancora un infante sentivo il grandioso Ramses intonarti delle melodie di amore, e ad essere sincero non ho mai sopportato la tua pura luce che si risplendeva sulla sua candida pelle. Perché ascoltavi i suoi canti? Cosa aveva di speciale?..." La voce di Lebland non esprimeva emozioni, era fredda come l'inverno e leggera come il vento. Con il passare degli anni il suo essere così distaccato lo ha reso sempre più inumano; la sua pelle divenne pallida e i suoi occhi neri come la pece. Era soltanto un'uomo pelle e d'ossa molto alto, sicuramente pericolo ma solo. "Tra tutti i canti intonati dall'angelo che tanto odio, c'è uno che voglio dedicarti come segno di pace." Raccolse un respiro profondo e poco prima di iniziare fu costretto a fermarsi. 

Qualcosa attirò la sua attenzione sul fondo del precipizio, erano urla e chiamate di aiuto disperate. Si notava chiaramente una luce rossa soffusa che oscillava nel buio della foresta; probabilmente una lanterna che a breve si sarebbe spenta. Lebland si alzò lentamente spostando in avanti la lunga tunica rossa che portava con onore, si avvicinò sull'orlo dell'oblio e con estrema leggiadra si lasciò cadere illuminato dalla Luna. La morte non poteva accoglierlo perché ancora era immortale; anche se presto, le cose cambieranno. Il suo obbiettivo non era sicuramente quello di aiutare l'uomo in pericolo ma piuttosto capire cosa lo spaventasse così tanto. Si sposò tra gli alberi come una lepre e al suo passaggio lasciò scie di foglie autunnali svolazzare senza traccia della sua presenza; con un balzo raggiunse la cima di un albero per godersi una vista migliore. Lo sciagurato stava correndo nella sua direzione; indossava abiti pesanti formati da innumerevoli pellicce di orso, si intravedeva un fodero vuoto e tra le sue braccia un sacco di juta che stringeva come un tesoro prezioso. Alle sue spalle un branco lupi stava per raggiungerlo e avrebbero fatto un delizioso banchetto con la sua grassa carne. L'uomo inciampò e rotolò rovinosamente a terra finendo prono e indifeso. "A volte si è cacciatori e molte volte si finisce per essere delle stupide prede indifese". Commentò Lebland osservando l'orribile destino che stava per incombere sull'uomo. "Ti prego". Singhiozzò. "Aiutami! prendi questo sacco" tossì così forte da sembrare anche lui un'animale. Lebland lo guardò quasi disgustato, trovava piangere una massima forma di codardia. "Dovevi correre non prendere a parlare...guarda cosa hai combinato". L'uomo venne azzannato alle gambe dai lupi e trascinato per qualche metro nella terra. Altri lupi lo accerchiarono pronti a banchettare. Lebland non si sarebbe mai fermato per guardare un tale massacro, seppur cattivo egli viveva con delle indoli solide che gli permettevano di rimanere ancorato alla realtà. Tutta via i pianti di un neonato sorpreso pure l'uomo che divorò il cuore di un angelo, erano soffocati dal corpo dell'umano che si rannicchiava per proteggerlo. Uno dei lupi gli morse il collo così forte da spezzargli l'osso che rimbombò nella foresta; cominciarono a mordere i vestiti per farsi strada e arrivare alla dolce carne, e una volta raggiunta la nuda pelle e aver mangiato l'antipasto lo strascinarono lontano; forse per dei cuccioli, forse per conservarlo per pasti futuri. I lupi di questo periodo si fecero molto più intelligenti a causa della scarsità di cibo. Per qualche motivo però, non si resero conto dell'infante in fasce che piangeva solitario. Per Lebland era come difficile andarsene, riconosceva in lui una solenne fortuna. Si fece quasi per voltarsi quando un raggio lunare penetrò nella foresta illuminando il sacco, la Luna stava cercando finalmente di parlare a Lebland; i suoi occhi si sgranarono inebriati dalla sensazione di essere scelto dalla più belle delle cose. Camminò lento verso l'indifesa creature e la sollevò con una delicatezza mai posseduta. "La Luna ha vegliato su di te come ha fatto con me" si guardarono negli occhi e per la prima volta trovò qualcuno che non si spaventò per il suo aspetto. Era una bambina, ancora piccola; dalla cima del cappuccio scendeva un solo ciuffo biondo che risaltava gli occhi color nocciola. "Se proteggere questa bambina mi porterà da te, non posso fare altro che accettare. Perché a differenza del mio rivale io non voglio raggiungere il grande padre. Sappi però che non proverò mai nulla per questo essere, sarà soltanto un oggetto per il mio bene finale." La bambina afferrò il suo indice e da quel momento, è come se si fosse legato a quel mortale; il Grande padre non disse nulla, ma Lebland sapeva  che in quell'instante perse la sua immortalità. "Sarai un grande fardello ma rispetterò te come ho rispettato la Luna".

L'uomo si allontanò silenzioso nella foresta. La sua tunica strisciava e un fodero nascosto oscillava. Da quel momento sparì nell'oscurità del mondo e di lui più niente si seppe. Adam lo cercò per due lunghi secoli, ma nulla trovò. Finche un giorno dei demoni antichi non aprirono bocca. 



















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