Capitolo due- Vuoi vedermi?

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L'ansia mi attanaglia lo stomaco come se vi fosse una mano, stretta in un pugno, che mi stringe forte fino a farmi mancare il respiro.

La verità è che ho desiderato, dentro di me, così tanto tempo di rivederlo, ma allo stesso tempo ne ho una paura fottuta.

Sarà cambiato?

Sarà pronto ad accettarmi nella sua vita?

Ed io, lo voglio ancora nella mia?

L'amore non passa da un giorno all'altro, e quello che provo per Thomas non si è dissipato per niente, ma so che la sua sola presenza è nociva per me. Mi porta sulle montagne russe, mi fa salire fino al picco della montagna e poi mi trascina di nuovo a terra, facendomi sbattere il corpo contro il terreno freddo.

Le sue mani sono sporche di sangue, ha ucciso persino suo padre. Se lo meritava, non posso negarlo, ma questo non cambia il fatto che è un assassino. Un criminale che è in grado di strapparmi il cuore dal petto e darlo in pasto ai leoni, che comunque sarebbero più delicati di quanto lo sarebbe lui.

Con le mani tremanti e lo stomaco in subbuglio, faccio la cosa più stupida che potessi fare: lo chiamo.

Da quando se n'è andato, ho provato a chiamarlo qualche volta, ma ovviamente il suo numero non era attivo. Ma ora che è tornato, e che ci ha tenuto a farmelo sapere, magari mi risponderà.

Estraggo il cellulare, che per poco non cade a terra, dalla tasca dei jeans e cerco il suo nome tra i contatti della rubrica. Faccio un respiro profondo e faccio partire la chiamata.

Mi alzo dal letto ed inizio a camminare avanti e indietro nella stanza con fare nervoso.

Squilla.

Squilla.

«Sirenetta.» La sua voce. La sua voce decisa, profonda ed estremamente suadente mi fa barcollare. Mi aggrappo, con la mano, al bordo del letto, per non cadere a terra.

Non mi aspettavo che mi rispondesse, ed ora non so neanche cosa dire.

Ma non sentivo la sua voce da un anno, e non posso negare che anche il solo sentirlo pronunciare quelle parole mi ha recato brividi in tutto il corpo. Sento degli aghi, nella colonna vertebrale, che mi infilzano e mi lacerano la pelle, mentre mi sposto i capelli umidi di sudore dalla fronte.

«Thomas», sussurro, perché la mia voce è venuta a mancare nel momento esatto in cui ho letto il biglietto che ha deciso di lasciarmi.

Dovrei essere furiosa, eppure, non riesco ad essere niente.

Sono cambiata in questo tempo, sono diventata più forte e sicura di me, ma quando si tratta di Thomas, la mia volontà si piega in ginocchio, di fronte al suo essere così seducente.

«Hai trovato il mio biglietto, bambina?»

Mi siedo nel letto, conscia che a breve potrei cadere a terra. «Si», borbotto. «Cosa...cosa vuoi?»

Avrei una miriade di domande da fare, ma è chiaro che se Thomas ha lasciato quel biglietto, evidentemente, è lui che vuole qualcosa da me.

«So che sei tornata», dice soltanto. La sua voce è sempre decisa, non lo tradisce mai. Mentre io sto morendo, consumata da sensazioni che mi devastano.

«E tu quando sei tornato? E perché hai deciso di venire a casa mia?» Ora il mio tono è meno calmo. Stringo i pugni e cerco di trattenermi, perché la rabbia sta prendendo il posto dello stupore.

Lo sento sospirare. «Volevo solo che mi chiamassi, e sapevo che l'avresti fatto. Ti conosco, Ariel», fa una breve pausa, «sono tornato poco fa, non so per quanto tempo rimarrò», ammette. Non è mai stato così gracile, così disposto a rispondere alle mie domande. Qualcosa mi fa pensare che anche lui sia cambiato.

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