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Lisa camminava per i corridoi ormai deserti. Tutti gli alunni erano già nelle loro classi. Lei, invece, era in ritardo, come sempre. Ma non appena vide suo zio Paolo in fondo al corridoio, in attesa del suo arrivo, un leggero sollievo la pervase. Appena Paolo scorse il suo piccolo viso pallido, con due occhiaie scure sotto gli occhi grandi e marroni, simili a quelli di un cerbiatto, le sorrise.

Un sorriso malinconico, forse anche un po' speranzoso.
Paolo era un professore di psicologia, e non solo. Era stato lui a fondare quell'istituto, con l'aiuto di molti colleghi e amici, e lo aveva fatto soprattutto per Lisa, la sua nipote preferita. Lei soffriva di una depressione legata alla sua dislessia, diagnosticata solo all'inizio delle superiori. Era sempre stata abituata a ricevere voti bassi, accompagnati da quel nodo costante allo stomaco, la paura di una bocciatura sempre in agguato.

Lisa non avrebbe mai dimenticato la delusione negli occhi di sua madre, una violinista di grande talento, né la disperazione sul volto del suo plurilaureato padre. E come dimenticare il disprezzo di sua sorella maggiore, Lola, brillante studentessa universitaria? Non si sentiva mai abbastanza.
Era uno dei dolori più crudeli, una ferita aperta che non riusciva a rimarginarsi.

Le risuonavano ancora nella mente gli insulti ricevuti nel corso degli anni. Sentiva la fitta allo stomaco che le divorava l'anima ogni volta che incrociava quegli sguardi indiscreti.
Si sentiva spoglia, esposta, vulnerabile. Ed è per questo che preferiva arrivare sempre tardi, come se il ritardo potesse proteggerla da tutto quel giudizio. Ogni giorno, ogni anno, era la stessa storia.

I professori ne erano al corrente e, per questo motivo, non le segnavano mai il ritardo nel registro elettronico. Paolo, il suo caro zio, l'aspettava sempre prima di iniziare l'appello o la lezione. Era una tradizione ormai consolidata, e benché fosse insolita, funzionava alla perfezione.

Lisa odiava camminare nei corridoi affollati, con tutte quelle persone pronte a giudicarla per ogni singola cosa: una parola, un passo, perfino un respiro potevano diventare motivo di scherno.

La cosa peggiore era che lei non sapeva difendersi. Lasciava che le parole la attraversassero come acqua che scivola via dalle mani, e insieme a quell'acqua, scendevano le sue lacrime, salate e silenziose.
Nessuno pensava che Lisa avesse una voce, a parte Mari, la sua migliore amica originaria del Ghana, che soffriva di ADHD. Mari, con la sua distrazione cronica e il cuore grande, la difendeva sempre, come un avvocato esperto, pronta a fronteggiare gli insulti con la sua allegria contagiosa e la sua energia inesauribile.

Lisa iniziò a correre verso lo zio, che la stava aspettando davanti alla porta della classe 3B. Ma, vedendolo lì, un'onda di preoccupazione la travolse. Se gli altri l'avessero vista arrivare con il professore, avrebbero potuto insospettirsi. Nessuno era a conoscenza che Lisa era sua nipote, e temeva che scoprire quel legame l'avrebbe esposta a giudizi ancora più severi. La sola idea di essere vista in quella situazione la faceva sentire vulnerabile e terribilmente in imbarazzo.

Con questi pensieri in testa, rallentò il passo, forzando un sorriso debole mentre si avvicinava. Il volto dello zio era illuminato da un’espressione calorosa, e nonostante l'età, i suoi occhi brillavano di affetto. I capelli, ormai leggermente imbiancati, tradivano solo in parte il castano scuro che ancora dominava la sua chioma corta e ordinata.
Lo zio Paolo era di una bellezza imbarazzante. Era impossibile non svenire ai suoi occhi grigi pieni di luce accecante.

<<Assomigli davvero tanto a Paolo>> disse una sera la madre di Lisa, seduta a capotavola, durante una delle loro cene quotidiane; lussuose e costose. Lisa guardò con un occhio curioso il viso della madre occupata a tagliare la carne.

<<Cosa intendi?>> Chiese speranzosa di soddisfare la sua curiosità. Sua madre alzò il capo, sorridendo con dolcezza.

<<Sei bellissima, proprio come lui.>>
Già, lei era bellissima, ma nessuno l'aveva mai vista quella bellezza. Se solo avessi ereditato gli occhi della mamma, pensava alcune volte quando scrutava la madre.
<<Buongiorno, Lisa>>, disse Paolo, avvolgendola in un abbraccio affettuoso per confortarla. Lisa si staccò velocemente, volgendo lo sguardo altrove.

The legend of the golden eyeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora