Napoli, novembre 1933
A Ricciardi piace pensare, forse per via di qualche meccanismo autopunitivo di cui è solo parzialmente cosciente, che l'unica finestra dalla quale possa guardare il mondo esterno sia quella della sua stanza, affacciata sul vicolo; o meglio, sulla finestra opposta dalla quale può scorgere, attraverso il velo sottile della tenda e la condensa del vetro, la figura esile di Enrica.
Vi guarda spesso, da quella finestra; poiché, avendo una sola finestra in stanza, non v'è poi modo di cambiare vista così facilmente. Soprattutto al mattino e alla sera, quando fin troppi pensieri gli si addensano in testa, frutto delle poche ore di sonno che ha strappato alla notte o che si appresta a tentare di strapparle tra le emicranie e le visioni di spettri che hanno affollato la sua giornata.
Per aprirsi una nuova vista sul mondo dovrebbe buttar giù un muro, o magari cambiar casa. O dovrebbero portargliela via, quella finestra, costringerlo a trovarne un'altra.
È un singolo quadrato di cielo in cui si concede di sognare un futuro, di fingersi normale, di non vedere gli occhi spenti dei morti che lo scrutano dall'ombra, ricordandogli che lui, un futuro, non ce lo può avere, e normale non è mai stato.
È certo, come è certo di sentire il sole tiepido filtrare dal vetro ogni mattina, che sia quella, l'unica imposta da non chiudere mai. Che sia quella, l'unica luce a cui può permettere di raggiungerlo. A distanza, oltre un vetro, irraggiungibile. Qualcosa da guardare solo da lontano.
Se non che quella mattina livida di novembre, sebbene la finestra sia ancora lì, spalancata, coi vetri limpidi e con Enrica appena oltre la tenda, la luce è venuta a mancare lo stesso. S'è accorto solo allora, con l'ingenuità di un bambino che ancora non sa come funziona il mondo, che della finestra non può farsene nulla, senza il sole fuori. Il buio è arrivato all'improvviso, come una nuvola che copre l'ultimo sangue del tramonto, tirando giù con anticipo la coperta della notte.
Ma, così come non lo è la notte, neanche quel buio è inaspettato. Perché, in fondo al cuore, Ricciardi sapeva che prima o poi sarebbe accaduto, così come sa che ogni giorno il sole tramonta e non se ne sorprende; ma non per questo il buio appare meno nero e fitto.
Mentre cammina a passo più svelto del solito verso casa, i vicoli di Napoli non gli sono mai sembrati così bui, così poco accoglienti. Sa già che, non appena la luce riflessa dal mare del Golfo e dalle facciate calde delle case svanisce, emergono i derelitti rannicchiati sugli scaloni delle chiese, e gli scugnizzi vestiti di stracci in cerca di una borsa facile o di un tozzo di pane, e i bastardini rognosi raggomitolati negli androni; e, anche chi, in divisa nera, s'impegna a prendere a bastonate tutti gli altri col favore del buio, per ristabilire un presunto ordine che non è mai davvero esistito.
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La finestra senza sole
FanfictionNapoli, 1933. Il dottor Modo, come suo solito, non si cura di nascondere l'astio verso il regime e finisce per essere arrestato dai fascisti, in attesa di essere mandato al confino - o peggio. Il commissario Ricciardi, recluso nella sua solitudine v...