Capitolo 13

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Era circa mezzanotte quando Lucio raggiunse suo nipote Riccardo, nel parcheggio della cappella di St-Sèbastien. Da lì si sarebbero inoltrati nel cuore della foresta di Moulinet.

"Zio" fece Riccardo mentre lo abbracciava. Erano quasi della stessa altezza, il nipote però aveva una decina di chili di massa muscolare in più. Lucio era sempre stato di fisico nervoso, come suo fratello Guglielmo.

"Ti trovo in splendida forma, ragazzo".
"Dici?! Ultimamente mi sento uno straccio".
"Problemi?" Domandò sinceramente interessato. Lo vedeva di rado ma gli voleva un gran bene. In forte sintonia da sempre poiché molto simili caratterialmente. Si sarebbe detto: più figlio di suo zio che del padre.
"Non meno di te". Rispose ironico e insieme scoppiarono a ridere. Fianco a fianco.

Chi non era a conoscenza dell'esistenza dei licaoni-quindi la quasi totalità delle persone- li avrebbe scambiati per fratelli o cugini. Anagraficamente parlando passavano per coetanei.

"Questa corsa insieme ci farà bene, anzi penso che dovremmo farlo più spesso. Non vorrei che ora che tuo padre ti ha piazzato a fare il burocrate, tu mi perda il lato ribelle. Non posso essere la sola pecora nera della famiglia.

"Mi sa che hai proprio ragione. Sto diventando un noioso rompipalle attaccato alla scrivania. Proprio come lui". Fece allusivo.
Lucio scosse la testa mimando un gesto di disapprovazione ricco d'ironia.
Intanto a passo svelto, i due, in meno di mezz'ora avevano raggiunto un punto fitto della vegetazione. Lontano dai sentieri di trekking.

"Da quanto non ti trasformi?" Chiese Lucio, mentre si calava i jeans.
"Un anno circa".
"Un anno? Ma non va bene affatto! Mi stai diventando peggio, di tuo padre". Era sconcertato per davvero.
"Ho lasciato vivere l'uomo".
"Stai uccidendo l'animale".
"Potrei dire l'inverso di te". Ribattè lievemente polemico Riccardo.
Ormai erano entrambi nudi, avevano sistemato le loro cose in un borsone nero occultato fra i cespugli.
"A te l'onore di marcare". Invitò il nipote a urinare nei pressi del borsone, per poterlo ritrovare più tardi con semplicità.

Non se lo fece dire due volte e prese a fare pipì verso il tronco di una quercia che sovrastava il punto esatto.
Si fissarono intensamente, da quel momento in poi sarebbero stati lupi.

Nelle leggende popolari, nei film e nelle serie tv erano chiamati "licantropi", "lupi mannari". Ma loro onoravano il più antico di loro -riconosciuto dalla storia- il re Licaone di Arcadia. Un omaggio della specie verso colui che era stato infangato dai miti e dalle dicerie.

Eppure nelle leggende tramandate un fondo di verità persisteva. Ad esempio la loro trasformazione per volere del fato o come meglio dire, del destino, avveniva pari-pari come nei film horror.
Il dolore della mutazione però non era replicabile nemmeno per finzione.

Un dolore indicibile e soprattutto insopportabile per qualsiasi essere umano, era il prezzo da pagare per essere liberi...diventare solo istinto e natura.

Le ossa che si spezzavano per allungarsi e deformarsi, il pelo irsuto che squarciava la pelle, le zanne che laceravano le gengive...tutto questo serviva per oltrepassare la soglia.Vivere tutt'uno con il creato, essere figli primordiali, se non divini, di madre natura. Forse impossibile da spiegare.

Solo pochi eletti, in quel momento, avrebbero colto la bellezza di quei due lupi troppo umani.
Lucio era ricoperto da una pelliccia nero corvino, il grugno leggermente più tozzo, così come la coda.
Alternava la corsa a quattro zampe a falcate bipedi.
Il nipote invece aveva il manto leggermente più chiaro, mentre il grugno era lungo e affusolato.
Prediligeva la corsa bipede.

Il lupo della guerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora