𝒪𝒯𝒯𝒪

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LAETITIA

𝒫𝒶𝓈𝓈𝒶𝓇𝑜𝓃𝑜 tredici giorni da quella sera e ogni giorno seguiva lo stesso rituale. Al mattino mi svegliavo, mangiavo, dedicavo il pomeriggio allo studio, riservavo venti minuti per rispondere agli amici, riprendevo a studiare, cenavo e infine andavo a letto. Questa routine si ripeteva incessantemente. Nel frattempo, osservavo la mia famiglia riprendersi e godere di buona salute, ridere e scherzare.

Io, invece li osservavo impassibile, con un vuoto nel petto che ignoravo. Il medico aveva predetto che entro una settimana saremmo tutti guariti e sarei potuta ritornare a scuola. Tuttavia, erano trascorsi tredici giorni e i test continuavano a dare esito positivo. Benché mi sentissi bene, la frustrazione di non poter uscire era il tormento peggiore. Desideravo ardentemente tornare a scuola e riabbracciare gli amici, soprattutto perché più mi assentavo, più si accumulavano i compiti da recuperare. Non era neanche colpa mia, ma ai professori non importava. A loro non interessava mai davvero degli studenti, non si preoccupavano di come stessero. Non si curavano né della salute fisica né di quella mentale degli alunni. La loro unica priorità era concludere il ciclo di lezioni, senza preoccuparsi della persona di fronte a loro. Con il passare del tempo, imparai a non fidarmi degli adulti, soprattutto dei professori. Erano le ultime persone su cui poter contare veramente. Ti rispettavano solo se eri estroverso e carismatico; i voti poi, venivano di conseguenza. Invece, se eri timido o mostravi difficoltà relazionali, eri considerato un fallito e non avevi valore. Anche se ti sforzavi al massimo, non ottenevi mai i voti che meritavi. Purtroppo, appartenevo al secondo gruppo.

Ero esausta, ogni giorno combattevo una guerra interna con i miei pensieri, che mi tormentavano e prendevano di mira. Resistere al desiderio di lasciarmi andare e non svegliarmi più era un'ardua battaglia, ma un barlume di ragione mi consigliava di smetterla di pensarla in quel modo. Il 25 febbraio mi recai per il solito test della settimana. Mi sedetti sulle panchine e attesi ansiosa il risultato. Informai i miei amici della mia posizione e loro promisero di organizzare una serata al Boundaries se il risultato fosse stato negativo. Speravo sinceramente in un esito favorevole, con tutto me stessa. La mia vita stava precipitando nel caos e sentivo di non poter fare nulla per evitarlo. La dottoressa, avvolta in indumenti protettivi dalla testa ai piedi, uscì dal tendone con dei documenti in mano, sembrava un abitante di Mount Weather di "The 100".
-Signora Martin?- Mi ero stancata persino di frasi così banali, l'avevo sentita almeno venti volte.
-Per favore...- implorò mia madre, esausta dalla situazione.

La dottoressa sorrise dietro la mascherina. -Non si preoccupi, non credo che tornerà più qui dopo stasera. I risultati sono negativi per tutti, complimenti, ce l'avete fatta!-
Non riuscivo a credere alle parole della donna finché non presi il foglio tra le mani.
"Laetita Martin, negativa".
Piansi, senza comprendere appieno il motivo: forse per lo stress accumulato, la gioia o altro. Tuttavia, le lacrime mi inondarono al vedere quella parola tanto desiderata accanto al mio nome.
Comunicai il risultato al gruppo e tutti esultarono, promettendo di festeggiare insieme. Finalmente sarei potuta tornare a scuola, riunirmi con gli amici e magari affrontare una conversazione diretta con lui.

Lui.
Un'ombra oscura attraversò il mio pensiero. Il suo stupido messaggio mi tornò in mente, alcune frasi ancora risuonavano nella mia testa. Scacciai immediatamente quel pensiero; ero negativa e sarei ritornata alla mia vita precedente. Avrei ripreso a vivere o forse solo a sopravvivere, date le circostanze in cui mi trovavo.

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-Lo sai che ti farà stare male, vero?-La ragazza si fermò nella sua camminata e si strinse nelle spalle.
-Cosa vuoi ancora da me, Laetitia?-Inalai un po' di fumo e mi diedi un momento per trattenere la risata che stava per sfuggirmi.
-Solo darti un consiglio da amica.-Si voltò bruscamente verso di me e mi fulminò con lo sguardo... qualcosa mi fece pensare che forse era arrabbiata con me.
-Amica? Hai anche il coraggio di definirti amica dopo avermi presa per il culo per tutto questo tempo?- Alzai le spalle. -Inizialmente sì, quelle erano le mie intenzioni, ma poi ho capito che in fondo non sei così male. Posso persino giurartelo se non mi credi.-
Il tono sarcastico la irritò ancor di più e avanzò di qualche passo, cercando di intimidirmi. Era notevolmente più alta di me e poteva quasi essere spaventosa, ma il suo look da membro di una band rock fallita mi divertiva.

Baby, I'm yours Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora