Due

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Un probabile arresto cardiaco.
A soli diciassette anni.

Il lutto è di per sé un dolore atroce;
perdere un genitore è un destino da cui non possiamo scappare: sappiamo che, prima o poi, dovrà succedere, ma la consapevolezza non rende il fatto meno doloroso.
D'altronde però, la perdita di un figlio è qualcosa che va contro natura. È una cosa che non deve succedere, che non ti aspetti succeda, perciò il solo pensiero di aver rischiato di perdere Manuel, ad Anita fa mancare il fiato.

Ed il fatto che qualunque cosa lui abbia sia ancora ignota, e che dunque sia tutt'altro che fuori pericolo, le rende difficile tornare a respirare regolarmente.

Solo che è per lui che in questo momento non deve cedere, ed è per l'istinto che ha sempre avuto di proteggerlo che sceglie di non dirgli nulla, almeno per ora.

Avrebbe portato il peso della preoccupazione da sola.

Così dopo che la Lisandri si è congedata, Anita fa un respiro profondo, indossa il sorriso più finto che riesce a tirar fuori, ed entra in stanza.

«Allora?»
«Tutto bene. Prima di dimetterti devono fare qualche altro accertamento, quindi per stanotte rimani qui. Domani mattina ti porto qualche vestito pulito»
«Ma domani non lavori?»
«Passo prima di andà a lavoro e ti lascio la sacca sul tavolo, poi ci vediamo di sera quando finisco»

Lo stringe forte in un abbraccio, improvviso ma delicato, sente l'odore dei suoi capelli e della sua tuta da ginnastica sudata sopravvissuta a quella mattina.

«Ah ma', non sto mica a morì»

Chiude gli occhi Anita e nonostante in quel momento l'unico suo istinto sia quello di piangere, si fa forza ed incassa il colpo. Poi si stacca dal minore e lo guarda in faccia.

«Embè? Devi essere per forza in fin di vita per potermi abbracciare come facevi quando eri piccolo? Non te scollavi mai»

Vede l'espressione infastidita  - seppur in maniera dolce - del figlio, ed allora si alza ad afferrare la propria borsa.

«Ti lascio riposare, ingrato, ci vediamo domani» si avvia verso l'uscita, sulla quale poi urla «e fatte 'na doccia che puzzi»
«Puzzerai te!»

* * *

È mattina quando Manuel apre gli occhi ed intravede il proprio borsone ricolmo di vestiti poggiato sul tavolino; allora si alza, prende un cambio da indossare una volta dopo essersi lavato ed esce dalla stanza in seguito ad un Buongiorno, Giù.

Ma gli sto a parlà davvero? Sto posto me sta a rincoglionì de brutto.

Tornato in camera però, nota una terza figura;

«Buongiorno, pagliaccia - scandisce bene quella parola - niente costume oggi?»

La mamma di Giulio infatti, che Manuel ora sa si chiami Piera, siede sul letto del ragazzo coi suoi vestiti ordinari e non con il costume da clown.
«No, oggi è una giornata speciale»
«Perché?»
«Oggi sono 250 giorni che siamo qui»
«Ammazza, che ve danno 'n premio?»
«Niente premio, purtroppo» Piera abbassa le testa «tutto questo non ha lati positivi»

Dopo qualche istante di silenzio la donna riprende a parlare:
«Ti va di giocare a qualcosa insieme a noi?»
«E a che giochiamo? Ad "un, due, tre, stella"? Lui sicuro non ha problemi a farse sgamà, immobile com'è»

«Ma a casa tua ride qualcuno quando dici ste stronzate?»
«Ma te fai i cazzi tua Ulisse? Che vuoi mo'?»

Difatti l'uomo è appena entrato nella stanza trasportando una carrozzina, sentendo ogni parola.

We found love in a hopeless placeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora