1. Il controllo del signor Meyer

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Mentre era seduto alla scrivania imponente, sentì squillare il suo iPhone.

Si chiese chi diavolo potesse essere.

Ogni chiamata passava dal centralino e i pochi che avevano il suo numero erano salvati in rubrica.

Rispose, scocciato.

"Franz Meyer?" chiese una voce di donna che aveva già sentito da qualche parte.

"Sì, chi è lei?" tuonò infastidito.

"Adelaide, quell'Adelaide".

Cazzo, pensò.

"Ho bisogno di un favore" continuò la voce al telefono.

"Mi hanno licenziata, ma prima che tu me lo chieda, no, non ho bisogno di un lavoro, ne ho già un altro".

La interruppe bruscamente. "E quindi? I nostri debiti sono saldati" tagliò corto.

"Farò la domestica a tempo pieno, e mi hanno sfrattato dall'appartamento, e non posso portare con me mia figlia. Ho pensato che sarebbe potuta stare da te, ovviamente non avrai più bisogno di pagare una donna delle pulizie, farà tutto lei".

La ascoltò scioccato.

"Mi stai vendendo tua figlia? Non ho intenzione di farle da babysitter" sibilò al telefono.

"Nessun babysitter, se la cava da sola. La cosa va a tuo vantaggio, non te ne accorgerai nemmeno e avrai la casa pulita, gratuitamente".

"Non se ne parla" tuonò.

"Mi costringi ad aprire bocca, allora" lo minacciò.

"Quanti soldi vuoi per levarti di torno?" chiese piccato.

Mai fidarsi di qualcuno che non fosse Markus.

"Non voglio soldi, ho bisogno che tu dia un posto dove dormire a mia figlia. O così, o manderò una segnalazione anonima" lo ricattò Adelaide.
Non era questione di soldi, era sulla lista nera di ogni agenzia immobiliare in città, sapevano benissimo che non pagava quasi mai l'affitto, quindi non le avrebbero mai dato in locazione nessuna casa.

Franz era con le spalle al muro, non poteva permettersi uno scandalo del genere, l'azienda aveva preso il volo e c'erano molti nuovi clienti che si fidavano di lui.

Acconsentì, con la promessa di tenere acqua in bocca con la ragazzina.

Scosse la testa chiudendo la telefonata e ripensò ai quattro anni appena trascorsi.

Sembrava passata una vita da quella prima volta in cui era entrato in quel palazzone di vetri in qualità di CEO.

Era quasi un'altra persona.

All'epoca era un venticinquenne pieno di frustrazione e con la voglia di far vedere al mondo che non era un disastro, che non era una disgrazia, che era in grado di dirigere un'azienda.

Oggi, alla soglia dei ventotto anni, era un uomo d'affari stimato e sicuro di sé. Il patrimonio era raddoppiato. Sotto al suo cognome giravano milioni, ogni giorno, per un fatturato di trecento milioni l'anno. Un record, uno degli uomini più ricchi del paese.

Un autocontrollo di ferro, mai un passo falso, mai una parola di troppo, bastava un'occhiata per mettere a tacere qualche impertinente.

Non si sarebbe più abbandonato a certi scatti di rabbia giovanili; quando i sentimenti riaffacciavano, minacciando di fargli perdere il controllo, si recava in palestra: qualche pugno al saccone da boxe e passava.

Due volte a settimana si sfogava al club, usare manette e frustini era eccitante e gli permetteva di comandare, di nuovo.

Il ragazzino fragile e un po' instabile sembrava scomparso nel nulla dopo il discorso che gli aveva fatto quel poliziotto.

Dei genitori non ne aveva più sentito parlare.
Del padre sapeva solo che se la stava spassando al caldo in qualche paradiso fiscale.
Della madre non sapeva nulla, ma non aveva reclamato nessun patrimonio o mantenimento, quindi, a rigor di logica, sicuro aveva seguito il marito. Franz scosse la testa. Lei lo sapeva perfettamente che Hermann la tradiva in continuazione. Le sue scappatelle erano sotto gli occhi di tutti e spesso se le portava anche a casa, facendo zozzerie mentre la moglie era nelle altre stanze. Da bambino se l'era chiesto spesso come mai casa sua fosse sempre piena di donne belle, giovani e avvenenti. Poi, appena era entrato nella pubertà, aveva capito. Il suo lato da playboy gli diceva che, probabilmente, lui avrebbe fatto lo stesso; però aveva anche un lato umano e, porca miseria, poteva anche evitare di portarle a casa facendole vedere a moglie e figlio piccolo.

Nonostante ciò Josephine l'aveva sempre scusato e rispettato, sfogando, piuttosto, la sua rabbia su Franz, come se fosse il capro espiatorio delle marachelle di quell'uomo. Franz era proprio il segno tangibile, il prodotto concreto dei comportamenti del marito. E lei ce l'aveva avuto perennemente sotto gli occhi... aveva dovuto persino fare finta che quel bambino dagli occhi e i capelli scuri fosse il frutto del suo ventre e dell'amore di quella coppia.

Quella telefonata gli aveva fatto tornare a galla sentimenti che non sapeva di provare più, assopiti sotto la corazza dura di uomo d'affari inscalfibile, tutto d'un pezzo e senza crepe che avrebbero potuto offrire ai suoi rivali delle occasioni per screditarlo.

Era fiero dell'uomo che era.

Adesso, pensò, quando entrava alle aste o alle serate di gala, si limitavano a stringergli la mano, un po' timorosi.

Un po' lo temevano, un po' lo ammiravano.

Nessuno aveva sospettato che dietro la bomba a orologeria ci fosse stato il suo zampino, lo avevano reputato troppo ingenuo all'epoca e sorrideva di questo.

Avevano sussurrato che non ci sarebbe riuscito, che uno che non era capace a tenere le mani ferme se provocato, non avrebbe saputo controllare le redini di un'azienda di quella portata.

Si sbagliavano, pensò.

Ora volevano essere lui.

Era il più ricco in quelle stupide occasioni mondane, e il più giovane.


Spazio autrice

È un capitolo un po' più corto che serve per introdurre meglio il personaggio passati i quattro anni dal prologo.
Inoltre, chi sarà la figlia di Adelaide?

Ps: guardate la foto a inizio capitolo, Franz me lo immagino così🔥

Mi hai incatenato il cuore (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora