Era strano come il buio rendesse tutto così surreale. Il bosco, avvolto nelle tenebre, sembrava un groviglio di alberi senza fine. Le foglie, i rami, il vento. Più Dante correva più sentiva qualcosa graffiargli i vestiti e il viso. Non c'era tempo per evitarli, gran parte delle volte nemmeno se ne accorgeva. Doveva solo correre, nient'altro. Davanti a lui, la flebile figura dell'uomo che l'aveva salvato, avvolto in una veste sui toni dell'azzurro, che si confondeva fin troppo col paesaggio circostante.
<<Non riesco a starvi dietro, vi prego rallentate!>>
Dante faticava a respirare. Una fitta al fianco, gli rendeva difficile persino inalare l'aria. L'uomo non rispose, ne accennò a rallentare. Dante non poté farci nulla. Si sforzo di stargli dietro come poteva, senza di lui sarebbe stato perduto.
Poi si fermò di colpo. Dante dovette stare attento a non andargli a finire contro, fermandosi poco dietro di lui.<<Dovrebbe essere qui, da qualche parte>>.
Si stava guardando intorno, come se stesse cercando qualcosa. La sua voce suonava quasi irreale, come un eco. Era come se arrivasse da lontano, mentre, era evidente che provenisse da lui. Era una strana sensazione ma, Dante, scelse di non darci troppo peso. Il bosco, in quel punto, sembrava aprirsi a qualche leggero spiraglio, lasciando trapassare deboli fili di luce tra i rami degli alberi. In quel momento, Dante, poté distinguere meglio i lineamenti del suo salvatore. Erano... familiari? Non avrebbe saputo dirlo con certezza.<<Chi siete? Vi siete perso anche voi qui? Anche se sembra conosciate questo posto molto meglio di me...>>
Dante aveva ancora il fiatone, parlare gli era difficile. Se il suo interlocutore non avesse voluto rispondere, probabilmente non sarebbe stato in grado di insistere troppo su quella domanda. Ma aveva bisogno di saperlo, o meglio, gli sarebbe piaciuto, aveva un viso davvero familiare ma il suo nome, per qualche ragione, gli sfuggiva.
L'uomo vestito di azzurro si voltò verso Dante. La poca luce che trapelava tra i rami, rifletteva sui suoi occhi scuri, donando ad essi dei meravigliosi riflessi ambrati. Questi ultimi erano fissi su Dante, come se lo stesse analizzando, cercando di capire se fosse, in qualche modo, degno di sapere il suo nome. La scarsa luce, inoltre, contribuiva a rendere il suo aspetto, per quanto fosse possibile, quasi irreale, come se Dante, guardandolo, fosse in grado di distinguere, più o meno chiaramente, le figure degli alberi e della vegetazione alle sue spalle.<<Voi... Siete umano?>>
Quelle parole uscirono dalla bocca di Dante prima ancora che potesse pensarci, talmente la figura del suo interlocutore lo ammaliava. Non era un senso di paura ciò che provava, bensì un senso di meraviglia e stupore, dato dalla consapevolezza sempre maggiore di trovarsi di fronte a qualcosa di irreale, di onirico quasi.
<<Lo sono stato>>.
Rispose l'uomo di rimando, il quale, non sembrava per nulla offeso dalla domanda di Dante, soltanto appariva un po' rattristato, ricordare i tempi in cui era ancora vivo, non doveva essere piacevole.
<<I miei genitori erano lombardi, mantovani per la precisione. In vita sono stato un poeta, oh ma, ormai, è passato davvero troppo tempo da quando ho scritto l'Eneide... Il mio capolavoro, forse ne avete sentito parlare>>.L'espressione sul viso di Dante mutò completamente. Fece qualche passo in dietro.
<<l'Eneide? Voi siete forse... Virgilio?>>
Non era possibile, quell'uomo era morto da parecchio tempo. Dante era sbigottito, sbigottito a dir poco. E stava lì, muto come un pesce, a fissarlo con occhi spalancati, incapace di proferire parola dinanzi a colui che era stato, ed è ancora dopo la sua morte, uno dei suoi più grandi ispiratori. Ma, ben presto, questa piacevole sorpresa lasciò spazio ad un altro genere di emozione. Dante venne preso da una strana inquietudine. Se quell'uomo era davvero chi diceva di essere, perché lo stava vedendo? Stava parlando davvero con un morto?
<<Io... Sono forse...>>
<<Morto? No, non siete morto>>.
Il tono di Virgilio era calmo, docile, senza nemmeno un'ombra di impazienza nella voce, per quanto assurdi potessero apparire ai suoi occhi i dubbi di quel povero mortale.
<<E allora perché sono qui? Intendo, a parlare con voi? Perché posso vedervi? Cos'è questo posto?>>
Dante aveva così tante domande. Sentiva il panico prendere il sopravvento, la testa quasi gli girava. Doveva darsi un contegno. Virgilio lo guardava come si guarda un bambino che scopre qualcosa di incredibilmente elementare per chiunque tranne che per lui, con una pazienza paragonabile quasi a quella di un genitore.<<Capirete tutto a tempo debito. Sappiate solo che non siete morto. Siete qui per il volere di qualcuno più grande di me e voi messi insieme. La vostra anima si era perduta ma, le vostre richieste d'aiuto, sono state ascoltate>>.
Mentre parlava, Virgilio, ricominciò a camminare. Aveva ripreso a cercare qualcosa, come stava facendo prima che Dante iniziasse quella conversazione poco fa.
<<Dove stiamo andando?>>
Chiese Dante notando lo strano atteggiamento del suo interlocutore.
<<Pensavo sarebbe stato più facile ma, a quanto pare, dovremmo prendere una strada alternativa... Ci siamo, eccoci arrivati>>.Davanti a loro, un'enorme porta dall'aspetto estremamente antico, si stagliava imponente tra i rami degli alberi. Aveva l'aspetto di una vera e propria opera d'arte dal gusto piuttosto cupo ma, decisamente suggestiva. Essa era incorniciata all'interno da un'arcata, altrettanto imponente e affascinante, finemente decorata con eleganti bassorilievi raffiguranti soggetti indefinibili e rovinati dal tempo. L'unica cosa decifrabile era la scritta incisa lungo tutta l'arcata. Dante ne lesse le prime parole.
<<Per me si va nella città dolente... Cosa diavolo vuol dire? Dove mi state portando?>>
Virgilio aveva lo sguardo basso. Sembrava... Dispiaciuto?
Alzò il viso, poi, verso Dante, gli occhi ambrati erano velati da un sottile strato di rammarico.
<<Vi chiedo perdono per quello che vedrete da qui in poi. Non c'è altro modo>>.
Dante non riusciva a sostenere il suo sguardo.
<<Cosa intendete?>>
Aveva quasi paura di fare questa domanda, non era sicuro di voler davvero sentire una risposta. Virgilio sospirò, avvicinandosi a lui. Dante ebbe, inizialmente, l'impulso di indietreggiare, come se intimorito, seppur non ve ne fosse motivo. Ma non lo fece, non voleva suscitare in lui dubbi o dimostrare di avere poca fiducia nei suoi confronti, gli aveva salvato la vita, d'altronde.<<Non so che concezione di inferno abbiate di questi tempi ma, questo... Questo inferno è molto più crudele di qualsiasi cosa vi possiate immaginare>>.
Dante sussultò
<<Inferno?>>
<<Esatto, questa è la porta che conduce all'inferno>>.
<<Siete sicuro che non ci sia altro modo?>>
Virgilio distolse lo sguardo. Era chiaro che quella conversazione si stesse rivelando troppo pesante anche per uno come lui.
<<Perdonatemi>>.
Detto questo, il poeta, tese la mano verso Dante, alzando nuovamente lo sguardo verso di lui, uno sguardo rammaricato ma determinato. Sapeva di avere una missione, non importava cosa avrebbe dovuto fare, avrebbe salvato l'anima dell'uomo davanti a lui a qualunque costo. I due stettero a guardarsi per qualche secondo. Poi Dante allungò la propria mano verso quella di Virgilio, afferrandola in una presa incerta. Il poeta la strinse nella sua, facendo provare a Dante, uno strano senso di sicurezza di cui, in quel momento, necessitava particolarmente.<<Siete pronto?>>
Chiese Virgilio rivolgendo lo sguardo verso l'enorme arcata
<<Lo sono>>.
Rispose Dante dopo qualche secondo, voltandosi nella medesima direzione. Non sapeva a cosa stava per andare in contro, cosa avrebbe visto una volta giunto all'inferno, in gironi in cui nemmeno la sua attuale guida era mai stata. Ma non sarebbe stato da solo. La sola presenza di Virgilio gli era di conforto, almeno per quanto bastava per dargli il coraggio sufficiente ad oltrepassare l'ingresso del portone.<<Allora seguitemi>>.
E detto questo, i due, avanzarono attraverso l'arcata dell'inferno.
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Tuo Dante (Dante x Virgilio)
RomanceIl giorno in cui sei morto, il mondo ha perso la sua poesia