I - These boots are made for walking

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Alex

These boots are made for wlakin'
And that's just what they'll do
One of these days these boots
Are gonna walk all over you.

Ciò che mi fece svegliare dal mio 'sonno momentaneo' - perché dire svenimento sarebbe un brutto colpo per la mia autostima, nonché reputazione - fù la fastidiosa sensazione di umido che mi mangiava le ossa e la pelle che tirava per il troppo fango che la incrostava.
Molto lentaamente mi rimisi a sedere, combattendo contro il nauseante senso di vertigini che la mia testa mi stava gentilmente regalando. Ero eccessivamente stordita per quello che era accaduto poco prima e, guardandomi intorno, cercai di capire dove cazzo fossi finita nel bel mezzo della notte.
Vidi solo alberi, alberi e ancora alberi, seguiti da una distesa troppo vasta di prati secchi e bruciati. La luna già splendeva alta nel cielo, ofuscando la già fioca luce delle stelle, le uniche fonti di luce che quel posto desolato offriva.

Chiusi gli occhi e mi massaggiai le tempie con forse troppa insistenza, cercando di chiamare a raccolta tutti i ricordi che la mia mente 'generosamente' mi lasciava raggiungere.
Mi giunse tutto a spezzoni troppo confusi, flashback lanciati i bagliori sfuocati, troppo veloci e difficili da decifrare.

Una stanza buia. Io che provo a calmare qualcuno, un uomo, in piedi davanti a me, la rabbia chiaramente dipinta sul suo volto e troppo riconoscibile dalle vene esposte sul collo taurino.
"Sei solo una puttana!" Seguito da un "Se lo dici tu." Poi un pugno. Cado a terra, schizzando in una pozza del mio stesso sangue, troppo copioso per provenire da un banale taglietto.

Effettivamente, odore di sangue c'era, denso e ferroso nelle mie narici, ancora troppo fresco, da risultare nauseante e pontenzialmente pericoloso. Alzai le mani tremanti a causa dello sforzo che compiere quella singola azione mi costava e le vidi tinte di un inquietante sfumatura rubino, lucido della luce della luna.
Respirai a fondo, mantenendo la calma e decisa a sopravvivere a quella serata e iniziai a toccarmi leggermente il corpo in cerca di un taglio, un abrasione o, nei peggiori dei casi, un foro.
Ferite di varie grandezze si propagavano per tutta la lunghezza del mio corpo, alcune gravi, altre non, ma nessuna delle minori poteva aver causato tutta quella perdita di sangue.
Proprio mentre cominciavo a convincermi che magari tutto quel sangue non fosse mio, trovai uno squarcio preoccupante, profondo almeno un dito e spesso una nocca. Non mi sembrava che avesse preso vene o arterie importanti, ma il fatto che fossi ancora cosciente o, per lo meno, viva era a dir poco incredibile, il che significava che mi rimaneva poco tempo, o sarei morta lì in quel campo e nessuno lo avrebbe mai saputo.

Camminai per quelle che mi sembrarono ore, o meglio saltellai, finchè non arrivai sul ciglio di una stradina sterrata nascosta dagli alberi.
La seguii per una manciata di minuti dopo aver meticolosamente deciso la direzione da prendere - lanciai una moneta - ed arrivai ad un piccolo casolare di mattoni ben nascosto ad occhi indiscreti, protetta da un recinto rudimentale e affiancata da una capannina fatiscente che probabilmente era adibita a stalla, e pensai che non potesse esistere rifugio migliore per quella notte, almeno nella condizione in cui ero.
Una volta dentro, un tanfo acre di sterco ed uno stallone pezzato mi accolsero con il cicolio stridulo della porta, ed io mi guardai intorno, cercando quello che già sapevo avrei trovato: un kit per le emergenze mediche degli animali da fattoria.
Lo aprii e ci trovai delle bende, una siringa di sedativo per cavalli, disinfettante e delle forbici; insomma, non il massimo ma sempre meglio di niente, no?!

Nascondendomi in un angolo buio della stamberga presi a medicare grossolanamente tutte le ferite che riuscivo a raggiungere. Tagliai la stoffa dei pantaloni nel punto in cui una chiazza marrone si allargava sul tessuto blu e, stringendo i denti, buttai quasi tutto il disinfettante sul taglio infettato, che prese a schiumare e spurgare pus bianco e fatiscente. Dovetti usare tutto il rotolo di garza per creare una fasciatura che fosse anche solo un minimo resistente e impedisse il sanguinamento.

Quando fui in condizioni decenti - termine a dir poco generoso date le condizioni in cui in realtà ancora mi trovavo - presi a girovagare per quella casupola. I vestiti erano ancora appiccicati al mio corpo dal sudore, dai vari strati di fango secco e dal mio sangue, e pensai a quanto sarebbe stato bello potermi cambiare.

Per grandissima botta di culo trovai una tuta da lavoro appesa ad un chiedo e, una volta indossata, lavai i miei ormai stracci nell'abbeveratoio del cavallo che - incredibile, seconda botta di culo in una sera! - non siera ancora sbizzarito o messo a nitrire.

Mi acccoccolai grossolanamente sulla pila di paglia frettolosamente accatastata in un angolo polveroso della stalla rudimentale e mi ci sdraiai sopra, sperando che sarei riuscita a riposare almeno un poco per recuperare un minimo di forze per cercare la strada per tornare a casa mia. Con gli arti ancora intorpiditi dalle botte prese, chiusi gli occchi e la mia mente corse a tutta velocità a ricordi macabri e scene sanguinolente di tortura che, contrariamente a quanto potreste pensare, mi fecero addormentare ad una velocità impressionante, concedendomi un po' di tregua dopo quella lunga e difficile giornata.

Dopo tutto, siamo tutti un po' sadici, chi più chi meno, e alcuni hanno bisogno di scavare un po' più a fondo dentro di loro.

Ma non io. No, io sapevo di esserlo, e non cercavo nemmeno di nasconderlo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 19, 2023 ⏰

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