Sangue Miller

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"Tic-tac...Tic-tac" Max ascoltava il ticchettio dell'orologio e osservava attentamente le sue lancette che sembravano non muoversi mai, usava le braccia incrociate sul banco come cuscino, stava scomposto con la schiena indirizzata verso il muro e le gambe dall'altra parte del banco. Sapeva benissimo che il professore poteva vederlo, era un magro spilungone elegante dietro la cattedra esattamente davanti al suo posto, eppure continuava a sonnecchiare disinvolto come se nulla potesse toccarlo. Non vedeva l'ora che la lezione finisse per tornare a casa e passare tutto il pomeriggio a giocare ai videogiochi, non aveva intenzione di sfogliare una sola pagina di un libro o di sentir solo parlare di studio per quel weekend. Quando finalmente la campana suonò, Max sollevò la testa di scatto, come un cane che sente il suono del campanello all'ingresso "Aspettate ragazzi" Disse il professore mentre ancora girava le pagine del suo volume cercando di tenere a bada quel branco di ragazzini pubescenti che non volevano fare altro che fuggire "Devo assegnarvi i compiti per questo fine settimana" "No!" esclamò Max terrorizzato dall'idea di non poter giocare "Lei per questa volta ha deciso di non assegnarci nulla." Disse poi con tono fermo e sicuro, come se stesse correggendo l'insegnante per uno sbaglio. Il prof lo guardò intontito per qualche secondo dietro i suoi piccoli occhiali tondi che si appoggiavano su un lungo naso sottile "Per questa volta niente compiti, ragazzi." disse poi. Tutti i compagni guardarono Max sbalorditi, nei loro sguardi c'era ammirazione ma allo stesso tempo un briciolo di invidia. Max riusciva a sentire tutti gli occhi su di sé, fece un ghigno compiaciuto come se potesse sentire ogni singolo pensiero dei suoi compagni e lasciò la classe senza dare spiegazioni a nessuno, dentro di sé benediceva suo padre per avergli insegnato ad entrare nella mente delle persone e si sentiva il ragazzo più fortunato al mondo perchè da generazioni tutta la sua famiglia sapeva farlo e con il tempo sarebbe diventato sempre più abile e forte. Grazie a questo suo potere segreto poteva dormire in classe senza essere disturbato da nessuno, si faceva mettere voti alti senza fare il minimo sforzo e tutti quelli che lo conoscevano lo amavano. Si chiedeva spesso come mai la sua famiglia avesse questo dono e per lui era un po' sospetto il fatto che non ci fosse alcun prezzo da pagare per tutto quel potere ma preferiva non pensarci troppo e godersi ciò che aveva.

Fuori il sole era coperto dalle prime nuvole grigie dell'autunno e un vento gelido spostava le foglie secche supine sull'asfalto facendogli andare la polvere dentro i grandi occhi nocciola, Max coprì i suoi riccioli neri con il cappuccio morbido della sua felpa rossa e tenendo le braccia conserte per il freddo camminava tenendo lo sguardo basso e calciando una pietruzza come fosse un pallone. Dopo una camminata non molto lunga Max era a pochi passi dall'ingresso di casa, già da quella distanza sentiva il pianto fastidioso della sua sorellina, la piccola Eve non faceva altro che piangere tutto il giorno e Max si era sempre chiesto perchè i suoi genitori non si prendessero per nulla cura di lei e la lasciassero urlare. Già da quando era appena nata Max aveva notato che non la prendevano mai in braccio se non era strettamente necessario e dopo tre anni dalla sua nascita Eve cercava sempre le attenzioni della mamma e del papà ma loro non la degnavano neanche di uno sguardo. Max sapeva che a lui non era stato rivolto lo stesso trattamento, amava sua madre e suo padre lo accontentava sempre pur di far sì che Max non si sottraesse mai a un allenamento per i suoi poteri, voleva che lui crescesse sano è forte perchè "Sei l'erede!" continuava a ripetergli. Vedendo i suoi con un atteggiamento costantemente intollerante nei confronti di Eve tendeva a imitarli e non le prestava molta attenzione, non sopportava il suo pianto e le sue urla ma sapeva che quella bambina aveva tanto bisogno d'affetto e provava pena nei suoi confronti anche se non riusciva a vederla come un membro della sua famiglia a causa dei suoi.

Arrivato a casa aprì il cancelletto ed entra nel suo giardino, osservò la sua bicicletta rossa fiammeggiante, uno degli ultimi regali di suo padre, il vento la aveva buttata per terra ma non aveva voglia di rialzarla, le urla di Eve che si sentivano fino alla fine della strada lo avevano già innervosito. "Sono a casa!" Disse aprendo la porta "Mamma, Eve piange! C'è qualcuno?" Si tolse le scarpe provando un certo sollievo poggiando i piedi sul pavimento freddo "Mamma? Papà?" Era strano non sentire la voce di uno dei due o il suono della televisione accesa, mosse qualche passo verso il soggiorno ma improvvisamente il suo piede affondò in qualcosa di liquido e caldo facendo schizzare qualche goccia viscida sui suoi i jeans. Aveva capito che non era acqua, lievemente disgustato abbassò lo sguardo, era un liquido rosso, scuro e denso e la pozza si espandeva fino al soggiorno. Un brivido di paura gli attraversò la spina dorsale, mentre camminava le sue narici furono invase da un fastidioso odore metallico e aveva già idea di cosa potesse essere quella strana pozza ma non voleva ammetterlo a se stesso. Arrivato in soggiorno i suoi occhi si ritrovarono davanti un corpo sfigurato, era il corpo di una donna ma non c'era più il volto, la sua testa era come implosa. Max capì che si trattava della sua mamma quando vide che dietro a tutto quel cumulo di carne pestata c'erano i riccioli neri identici ai suoi. Poco distante dal cadavere c'era Eve, seduta per terra e ricoperta di sangue, aveva il volto paonazzo per lo sforzo e la bocca spalancata, lo sguardo terrorizzato. Accanto a lei c'era Trevor, suo padre, lui aveva un'aria tranquilla, impassibile, come se non vedesse ciò che aveva davanti e tutte le pareti erano macchiate da quel rosso inconfondibile e puzzolente. Max si era come pietrificato, aveva gli occhi spalancati come due finestre in piena estate e il viso bianco come la carta, non riusciva a muoversi, non riusciva a emettere un filo di fiato, ogni parte del suo corpo gli suggeriva chiaramente di urlare, di buttarsi per terra e dare sfogo al dolore che si stava velocemente facendo spazio dentro di lui ma non ci riusciva, era immobile. Con un lieve tremore mosse le labbra "Papà.." Disse balbettando "Che cosa hai fatto?" Eve aveva smesso di piangere, Max parlava con un tono di voce quasi impercettibile ma il silenzio spettrale che era piombato in quella stanza faceva sentire ogni piccolo rumore "Ciao, Max, non mi saluti neanche?" Disse Trevor con tono ironico e calmo "Mamma è...morta." Disse Max "Che hai fatto?" continuò mantenendosi sempre come una statua "Io non ho fatto nulla, Max, è stata Eve." Max finalmente sbatté le palpebre e ricominciò a muoversi, la sua espressione divenne inorridita e arrabbiata, guardò negli occhi Trevor e vide immediatamente quell'ombra di follia che per tredici anni non aveva mai notato "Smettila. Non cercare di prendermi in giro. Eve ha solo tre anni." Non aveva neanche realizzato bene cosa fosse successo, tutto era estremamente assurdo come un incubo da cui voleva solamente svegliarsi "Non sto mentendo, è stata tua sorella."

Il gene del maleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora