Pressioni

7 1 1
                                    

Julia tornò a casa sconvolta quel pomeriggio, uno strano uomo folle l'aveva aggredita, Eve Miller l'aveva salvata e lei l'aveva lasciata da sola, poteva anche essere morta e sarebbe stata solo colpa sua. Stava impalata all'ingresso di casa come se non sapesse se proseguire o riaprire la porta e tornare indietro a quel vicolo. Il suo aspetto non era mai stato tanto in disordine, quel filo di trucco che si era messa era colato, era pallida e intontita e i suoi capelli lisci perfetti erano spettinati e un po' arruffati. Il suo soffice  maglioncino bianco, i suoi jeans a zampa, tutti i suoi vestiti erano sgualciti. Una donna elegante, con un lungo vestito stretto, nero e a collo alto si avvicinò a lei, aveva i suoi stessi capelli neri legati in un piccolo chignon dietro la nuca e immobilizzati dalla lacca. "Hai un aspetto orribile, amore. Non ti sarai mica fatta vedere da Clay in questo modo." Julia rimase in silenzio con lo sguardo ancora indeciso "Mamma..." Disse lei cercando di mantenere un contegno, lei si accorse che qualcosa in Julia non andava e rimase ad ascoltarla "Tu e Clay non vi siete lasciati, vero?" Chiese preoccupata. Julia iniziò a piangere frustrata, non sopportava il modo in cui sua madre metteva sempre in mezzo Clay, non sopportava il modo in cui era costretta a stare con lui perché le loro famiglie erano alleate in affari e perché lui era un buon partito "Un uomo in un vicolo vicino scuola..." Lei non riusciva a parlare e sua madre aspettava il verdetto finale con un nodo strettissimo allo stomaco "Ti ha violentata?" Chiese lei preoccupata "No, cazzo! Fammi parlare!" Rispose Julia innervosendosi "Un uomo nel vicolo era come impazzito, ha cercato di aggredirmi ma una mia compagna di classe si è messa in mezzo e io sono scappata. L'ho lasciata da sola con quel tizio e adesso non lo so potrebbe essersi fatta male, potrebbe essere morta." Disse tutto ad un fiato, non menzionò minimamente il cadavere nel cassonetto, come se non ci fosse mai stato "Hai fatto bene a scappare, amore mio." "Ma l'ho lasciata da sola, lei era lì per salvarmi." "L'importante è che tu stia bene, adesso chiameremo la polizia e vedrai che avremo notizie della tua amica." "Lei non è mia amica." Sottolineò fermamente Julia ma sua madre la ignorò.

Parlavano al telefono con la polizia da ormai troppo tempo e Julia era stremata, non voleva più parlare di quanto era accaduto, voleva solo sdraiarsi in una stanza buia e piangere per scaricare tutta la tensione accumulata fino a dimenticarsi di quella storia. Aveva bisogno di qualcuno che la abbracciasse, che la capisse e che la facesse sentire al caldo mentre sua madre non faceva altro che metterle ansia. Quando finalmente quell'interminabile telefonata si concluse Julia andò in camera sua, prese il cellulare e chiamò Clay. Non appena lui rispose, lei scoppiò a piangere e gli raccontò tutto, lui fu a casa sua dopo una decina di minuti. "Vedrai che si sistemerà tutto." Disse abbracciandola, le accarezzava i capelli dolcemente mentre stringeva la sua testa al petto, Clay era caldo e profumava, lei si sentì immediatamente a casa tra le sue braccia, sentì che tutto si sarebbe davvero sistemato perché in qualunque situazione Clay era lì presente ed era lì per lei, per la sua felicità. Julia non credeva che ciò che provasse per Clay fosse amore, era un bel ragazzo, i suoi genitori l'avevano convinta a mettersi con lui e stavano bene insieme, lui l'amava ed era evidente, ma lei non ne era così certa. Tutto ciò che sapeva era che era una persona su cui poteva contare, un bravo ragazzo, sempre presente, che era disposto a fare di tutto per lei e che quindi non avrebbe mai voluto perdere per nessuna ragione, Clay non era solo il suo ragazzo, era il suo migliore amico, l'unico con cui poteva essere veramente se stessa, a cui poteva dire tutto, con lui si sentiva amata e non riusciva a dire addio a quella sensazione. Dopo circa un'ora che erano rinchiusi nella stanza di Julia, entrò sua madre "Ha chiamato la polizia, ha detto che l'uomo è stato arrestato e che la tua compagna è in ospedale." "Sta bene?" Chiese Julia ansiosa "Non hanno detto altro." Clay guardò Julia "Ti porto in ospedale." Disse lui convinto senza il bisogno di chiederle nulla, per farla stare bene avrebbe fatto qualunque cosa, lei annuì e Clay si mise subito alla guida del suo scooter.

Eve aprì gli occhi, si sentiva indolenzita e stordita ma stava bene, aveva dei vestiti leggeri addosso e sentiva il contatto piacevole con le lenzuola fredde, capì subito di essere in ospedale. Mettendo a fuoco vide qualcuno accanto a lei, finalmente lo riconobbe, non era mai stato tanto vicino, era suo padre. Non c'era Max a trascinarla via, nè un folle che voleva spaccarle la testa, erano loro due e finalmente potevano parlare "Hai preso una bella botta." Disse Trevor con aria dolce "Avrai notato di avere la gamba sinistra rotta e anche il braccio, vero? Per la gamba hanno addirittura dovuto operarti e hai un trauma cranico. E per qualche strano motivo hanno anche dovuto lavarti un disegno strano dalla fronte." Eve lo guardò intontita, lui parlava come se non l'avesse abbandonata per una gran parte della sua vita, come se ci fosse sempre stato, come se non fosse la prima volta che si vedevano "Ma tu mi riconosci?" Disse Eve stranita "Certo, Eve. Che domanda è? Sono tuo padre." Non lo so...Non ho alcun ricordo di te, avrei così tante cose da dirti, da chiederti e tu parli come se nulla fosse." Con la sua fermezza e tranquillità lui rispose "Beh sono qui adesso, dimmi quello che vuoi." Il cervello di Eve iniziò a risvegliarsi e a ricordare il motivo per cui era finita in ospedale, a realizzare bene cosa fosse successo "Dov'è Max?" chiese come prima cosa, Trevor cambiò immediatamente espressione "Non c'è." Disse con freddezza "Ma come? Non lo hai avvisato? Sarà preoccupatissimo a quest'ora, dovevo tornare a casa per pranzo. Chiamalo." Disse Eve diventando più insistente "Chi era quel tizio? Era come una bestia, ruggiva, urlava...Il suo sguardo...non era umano e la sua forza non aveva limiti, non ho mai visto nulla di simile. Quello non era un uomo, che cazzo era?" "Modera il linguaggio." Disse di nuovo lui con aria glaciale "Ma chi se ne frega! Ti sto dicendo che quello che è accaduto non era normale! C'è qualcosa che non va! Era un mostro...E poi c'era un cadavere...ma poi è sparito..." "Eve, non c'era nessun cadavere e quell'uomo era solo uno psicopatico, non aveva niente di sovrannaturale." "Tu e Max siete uguali, cazzo, sempre a dirmi bugie. Io so cosa ho visto!" "Hai un trauma cranico, Eve, è normale che hai i ricordi confusi, sei svenuta." "Ma tu neanche c'eri! Sei spuntato dal nulla! Perché cazzo sei qui? Non ci sei mai stato, salti fuori così all'improvviso e mi riempi di palle, ma chi cazzo sei? Voglio vedere Max, chiamalo!" Lui divenne arrabbiato in volto ma cercava di contenersi, afferrò la mano senza gesso di Eve, lei infastidita cercava di non farsi prendere ma lui la strinse più forte quasi facendole male "Lascia stare Max e parla con me." Disse con un tono perentorio. Eve sentì nuovamente la sensazione che aveva sentito il giorno del suo compleanno in quel ristorante con Max, qualcosa dentro le diceva di obbedire e le impediva di chiedere di suo fratello ma sta volta c'era qualcosa di diverso, Trevor la guardava intensamente negli occhi ed Eve sentiva la stessa pressione dolorosa del suo incubo ma in qualche modo riuscì a contrastarla e guardò Trevor confusa e lui ricambiò il suo sguardo come se fosse rimasto deluso da qualcosa di cui era convinto, aveva capito che c'era qualcosa che non andava, in un paio di giorni era successo di tutto, ma non riusciva a fare a meno di obbedire a ciò che aveva detto suo padre.

Il gene del maleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora