II 🔮

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Fu Simone, contro ogni pronostico, il primo a parlare mentre osservava con un sopracciglio alzato e la fronte aggrottata il giovane ragazzo riccio che si era presentato alla loro festa.

«Non per essere maleducato, ma non mi pare che tu sia nella lista degli invitati.»

Jacopo tirò una gomitata sul fianco di Simone.

«Simo!» lo rimproverò. «Ma che modi so' questi, oh. Comunque piacere, io so' Jacopo e sto scorbutico qui è mio fratello, Simone» spiegò Jacopo, indicando Simone che continuava a fissare con sguardo cagnesco Manuel.

I suoi occhi si soffermarono, sicuramente per più tempo del necessario, sulla figura dello sconosciuto che si era presentato alla porta.
Era oggettivamente il ragazzo più bello che avesse mai visto.
Indossava una giacca di pelle nera, una maglietta rossa sbiadita e dei jeans stretti che mettevano in evidenza le sue gambe. Aveva dei capelli ricci folti e sparpagliati in modo disordinato sul viso, i suoi occhi erano castani e profondi e le sue labbra erano gonfie perché Manuel continuava a morderle nervosamente.

Ti stai seriamente eccitando per delle labbra? Ma poi da quando delle labbra sono belle?

Simone arrossì per i pensieri che stava rivolgendo su quello sconosciuto, ma non ebbe tempo di replicare al «Io me chiamo Manuel ed è stato Dante ad invitarme qui» perché un rumore di vetri infranti interruppe il momento delle presentazioni.

Simone teneva nella mano sinistra un boccale di birra che, in modo da lui assolutamente incontrollato, si era rotto in mille pezzi tagliandogli il palmo sinistro.

«Cazzo» digrignò tra i denti e gemette di dolore.

Manuel con una falcata si avvicinò immediatamente a Simone per prestargli soccorso.

«Senti, so che te sto sur cazzo, ma me dici dove tieni una garza e dell'acqua ossigenata? Questa mano va medicata o potrebbe farte infezione e nun me pare er caso de morì così, nun credi?»

Simone ancora dolorante annuì piano e con il capo invitò Manuel a seguirlo.
«Vabbè me pare de capì che nun servo. Te lascio in buone mani, Simò. A giudicare dalle tue emozio—» Jacopo non riuscì a terminare la frase perché un seccato «Jacopo puoi stare zitto» lo interruppe.

Jacopo accennò un lieve sorrisino e poi si voltò per tornare dagli altri.
Intanto, Simone aveva indicato a Manuel il mobiletto nel quale avrebbe potuto trovare tutto l'occorrente per curarlo.

Lo invitò a sedersi e ad appoggiare la mano sul tavolo e Simone non si sentì di replicare e, seppur non avrebbe voluto, acconsentì.

Manuel si sedette di fronte a lui e gli medicò la mano con un'accuratezza e una delicatezza che Simone non si sarebbe mai aspettato da uno sconosciuto.

«Me dispiace se so' venuto qui, ma tu padre me dice sempre che dovrei conoscere più persone della mia età» cercò di spiegarsi.

«Non preoccuparti… non è colpa tua, ma è un periodo in cui sono nervoso e mi succedono continuamente cose strane e n—non so c—come gestirle e questa cosa mi fa diventare pazzo» sussurrò affranto.

Manuel accennò un lieve sorriso.
«Può capitare. Forse prima te sei emozionato. Diciamo che te capisco, Simò. Pure io quanno me guardo allo specchio me emoziono, sai?» gli fece un occhiolino.

«Seh vabbè, manco fossi Damiano Gavino in persona e dai» lo sbeffeggiò Simone. «Ho visto di meglio in giro»

Manuel sospirò teatralmente: «Me spezzi er cuore, credime.»

Simone accennò un sorrisino, poi, osservò la mano che Manuel aveva fasciato e farfugliò un "grazie" prima di tornare dai suoi amici come se niente fosse.

Dolcetto o angelo bianco? Entrambi!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora