3. Qualcosa di inaspettato

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Il primo giorno di scuola mi era sempre sembrata più una formalità. Cinque ore formate da cinque professori diversi che ti chiedevano tutti la stessa cosa:

«Come sono andate le vacanze?»

La mia risposta fu la stessa per tutte e cinque le ore.

«Sono rimasta a casa per aiutare mia madre con dei lavori» e fui costretta anche a dirla in Francese perché la professoressa ci teneva al fatto che raccontassimo delle nostre esperienze nella lingua che lei insegnava. Sospirai quando sentii l'ennesimo «en français!» rivolto verso il compagno simpatico della classe che ripeteva per la terza volta le sue vacanze, prima in Italiano e poi in Inglese. Serena fu perfetta nell'esposizione delle sue vacanze, prendendosi più tempo rispetto agli altri per permettere alla campanella di suonare e terminare quella lezione. Francese era l'ultima ora e io ringraziai il cielo per aver fatto volare quella giornata in fretta. Raccolsi velocemente lo zaino da terra dopo aver riposto tutto all'interno e mi affrettai verso la porta. Una mano mi strattonò il braccio e fui costretta a fermarmi.


«Dove corri così in fretta?» era Serena che ridacchiava.
«Sono di fretta Serena, perdonami»
«Andiamo Des, è il primo giorno di scuola, domani non abbiamo compiti e siamo entrambe a casa e non in due paesi diversi. Andiamo a farci un giro al Bar Verde, è da tanto che non stiamo un po' insieme»

Aveva ragione, solitamente i primi pomeriggi dopo l'inizio delle lezioni erano quelli più tranquilli e sarebbe stato un peccato non approfittarne. Il pensiero dei referti però mi rimbalzava in testa da quando avevo letto quel messaggio e mia madre avrebbe preferito che quel pomeriggio tornassi a casa. Non me la sentii di dire a Serena dei referti, non prima di averli consultati personalmente. La paura di scoprire cosa ci fosse scritto in quei fogli si insinuò lentamente in me e mi fece compiere, forse, la scelta peggiore in quel momento.

«D'accordo, andiamo ma devo avvisare mia madre» risposi mentre mi dileguavo dalla presa di Serena che annuì e fu felice della mia risposta. Ci avviammo entrambe verso l'uscita dell'edificio scolastico e all'ultima rampa di scale tirai fuori il telefono con l'intento di scrivere un messaggio a mia madre ma lei mi aveva preceduta.

Da: Mamma a Destiny
Destiny ritarderò di mezz'ora, devo terminare un giro di chiamate con alcuni clienti. Ci vediamo davanti alla scuola alle 13:30, ok?

Da: Destiny a Mamma
Ciao mamma, Serena mi ha chiesto di andare al Bar Verde con lei, ci vediamo direttamente a casa più tardi, ok?


Premetti il tasto per inviare con un peso sul cuore. Sapevo già che non sarebbe stata d'accordo con la mia scelta ma avevo bisogno di non pensare a cosa stava succedendo in quel momento nella mia testa. Pensavo già troppo ai sintomi e a quanto si fossero fatti più frequenti gli episodi in cui questi si manifestavano ed era giusto che sapessi cosa stesse accadendo al mio corpo ma avrei potuto ritardare di qualche ora. La vibrazione nella mia tasca mi diede una lieve fitta allo stomaco.

Da: Mamma a Destiny
Proprio oggi che abbiamo pronti i referti? Aspettiamo da settimane di capire cosa ti succede e ho bisogno di parlarti. Puoi rimandare?


Potevo rimandare? Certo ma non ero ancora pronta a reggere il peso di quei referti, qualunque cosa riportassero quei fogli. Indugiai per qualche secondo sulla tastiera. Sapevo di non star facendo la scelta migliore ma la paura stava ormai serpeggiando all'interno della mia testa, impedendomi di pensare lucidamente. Trovai finalmente il coraggio di rispondere.

Da: Destiny a Mamma
No, non posso. Con l'anno scolastico in partenza saremo poi impegnate con lo studio. Possiamo vederci più tardi a casa e parleremo dopo, mi farò accompagnare, tranquilla.


Mandai il messaggio e infilai il telefono nella tasca del giubbino. In cuor mio, sperai che non rispondesse più, tanto sospettavo già che in qualunque modo finisse quella discussione, lei si era già arrabbiata. Raggiunsi Serena che intanto aveva già superato il cancello e gettai uno sguardo dall'altra parte della strada, dove quella mattina avevo avuto quello strano incontro con quel gatto. Per tutto il tempo delle lezioni mi convinsi di essermelo immaginato. Nessuno lo aveva visto, solo io avevo avuto quella breve interazione quindi il passo da fare nel comprendere che fosse stata un'allucinazione, era breve.

«Pronta?» chiese felice Serena con un sorriso smagliante.
«Pron-» la risposta mi morii in gola perché una vibrazione continua in tasca mi fece salire la preoccupazione. Guardai lo schermo.

Chiamata da Mamma in entrata

Lo sapevo. Quella conversazione non poteva essere finita in quel modo. Fui combattuta se rispondere o meno poi la mia mano si mosse in automatico.

Rifiutai la chiamata e spensi immediatamente il telefono.

Sapeva con chi ero, dov'ero e cosa sarei andata a fare. Le informazioni importanti le aveva e per una volta, dopo aver passato un'intera estate con lei a casa, volevo fare qualcosa per me, per cercare di non pensare a cosa mi attendeva quella sera a casa. Mi voltai verso Serena e sorrisi di rimando «Sono pronta!»

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L'autobus che dovevamo prendere passò direttamente davanti alla scuola in una decina di minuti. In una decina di minuti, eravamo già arrivate alla fermata più vicina al Bar Verde, il posto più frequentato dagli studenti della nostra scuola. Serena mi raccontò di come si stesse avvicinando a un ragazzo che andava in un'altra scuola, conosciuto tramite amici in comune.

«Des, non hai idea di quanto è carino! Un gentiluomo, sta attento a quello che dico, fa dei ragionamenti intelligenti...» ne parlava con gli occhi che brillavano e io ne ero felice. Era andata incontro a ragazzi, negli anni precedenti, che si erano rivelati essere decisamente una perdita di tempo e non era la prima volta che mi raccontava di aver notato quelle caratteristiche in un ragazzo ma io speravo sempre che fosse la volta buona. Se lo meritava, era di animo buono e pronta nell'aiutare gli altri senza dare via completamente se stessa.

«E tu invece?» mi chiese, facendomi ridacchiare.
«E io cosa?»
«L'ultimo fidanzato che hai avuto risale ad almeno un anno fa»
«Definirlo fidanzato è un termine quasi troppo alto per lui. Ti sei dimenticata che fece il simpatico con me per arrivare a te?»
«Oh»

Se n'era decisamente dimenticata.

«Mi innamoro decisamente troppo velocemente» disse con un velo di tristezza a ricoprirle l'espressione sul volto.
«Non è necessariamente un male ma dopo tante delusioni dovresti stare più attenta a chi decidi di dare te stessa» il mio tono di voce fu un dolce rimprovero proprio perché odiavo vederla soffrire all'ennesimo ragazzo che le rompeva il cuore.
«Tu come fai?» mi chiese, voltando la testa verso di me.
«Come faccio cosa?»
«A non finire ogni volta come me»
«Serena io non cerco nessuno, non siamo decisamente nella stessa situazione» e la risposta che diedi mi fece più male di quanto pensassi.

Non mi ero ancora innamorata seriamente, non avevo mai baciato nessuno, mai saputo come fosse donare un pezzo di se ad un'altra persona, prepararsi per uscire con quella persona che ti fa battere il cuore. Avevo avuto delle cotte, protagoniste dei miei discreti film mentali ma potevo ambire solo a quello. Ero troppo timida per chiedere a qualcuno di uscire o di sentirci. Serena mi fissò a lungo dopo la mia risposta, ad occhi stretti ed espressione curiosa. Capii subito che mi stava giudicando perché stavo pensando stupidaggini, a suo dire. Cercai di scappare da quella situazione indicando un tavolino libero all'interno del bar e corsi per sedermi. Ordinammo due cappuccini e due pezzi di torta e le ore passarono veloci tra risate e racconti. Fu Serena a interrompere quel pomeriggio guardando l'ora, era tardi e dovevamo avviarci, tenendo anche conto degli orari dell'autobus. Ci alzammo entrambe e portammo tazzine e piattino al bancone.

O così fece Serena.

Nel breve percorso che divideva il nostro tavolino dal bancone del bar, mi fermai. Era come se avessi perso controllo sulle mie gambe. Tentai di chiamare la mia amica ma nessun suono uscì dalla mia bocca. Iniziai ad andare in panico, la tazza e il piattino ancora in mano. Mi guardai attorno ma il bar iniziò a mutare forma mentre un'aurea violacea avvolgeva la zona. Da sotto i tavolini spuntarono dei cespugli mentre dietro al bancone crescevano istantaneamente grosse querce che sfondavano il soffitto e tutto quello che vi era attorno a loro. Il mio respiro si fece sempre più affannoso mentre arbusti e vegetazione si facevano spazio lungo tutto lo spazio che mi circondava.

Ding.

Riconobbi quel suono nonostante la distruzione che stava accadendo sotto ai miei occhi. Mi voltai lentamente e strabuzzai gli occhi; lo stesso gatto di quella mattina era poggiato su uno dei tavolini del bar. Gli occhi azzurri sembravano più brillanti dell'incontro di qualche ora prima e la coda si muoveva velocemente.

«Che cosa diamine succede?!» urlai ma il suono mi rimbalzò in testa senza uscire dalle mie labbra e fu lì che una forte fitta alla testa mi costrinse a terra. La tazza e il piattino caddero a terra frantumandosi ma senza emettere alcun suono. Mi trovai sulle ginocchia, con la testa bassa e le mani sulla testa cercando di far smettere quel dolore, era forse la fitta più forte che avessi avuto in tutto quel periodo. Urlai nuovamente e sentii qualcosa toccarmi il braccio. Il gatto era ormai vicino a me e mi fissava. Mi si avvicinò, mettendo una delle zampine sulla mia gamba e mi trovai il suo muso vicinissimo, nonostante riuscissi a vederlo solo con occhi socchiusi. Spostò la testa di lato senza perdere il contatto con i miei occhi.

Miao?

«Destiny!» l'urlo di Serena tuonò improvvisamente e mi riportò in me.

La fissai con gli occhi spalancati mentre era chinata davanti a me, il suo viso era colmo di paura e preoccupazione mentre mi teneva le mani sulle spalle. Con estrema calma mi guardai attorno e notai una folta schiera di gente che mi fissava. I cocci delle cose che avevo rotto erano davanti a me e il silenzio che ci avvolgeva mi riempiva di profonda inquietudine. La mia amica si rimise in piedi parlando con uno dei camerieri ma non riuscii a sentire cosa si dissero, nelle mie orecchie aleggiava ancora un lieve sibilo e mi sentivo incredibilmente stanca.

«Vieni Destiny, ti porto subito a casa» Serena mi aiutò ad alzarmi, tenendo un braccio attorno a me e una volta in piedi le mie gambe ripresero stabilità dopo un breve ondeggiamento. Ci allontanammo dal bar in silenzio, poi Serena chiamò qualcuno e dal modo di parlare che usò capii subito che si trattava di sua madre. Respirai lentamente, riportando aria ai polmoni. Erano stati forse trenta secondi di crisi ma erano stati i trenta secondi più brutti mai vissuti.

«Mamma sta venendo, ti accompagneremo a casa. C'è qualcuno che possa aprirci?»

Presi il telefono dalla tasca e lo accesi. Andai oltre i quattro messaggi ricevuti e le cinque chiamate perse dalla stessa persona, mia madre, e guardai l'ora.

«Mia madre è sicuramente a casa» risposi brevemente a bassa voce. Serena annuì semplicemente e poi si mise al mio fianco in silenzio. Nessuna delle due sapeva cosa dire. Nessuna delle due aveva idea di cosa fosse successo.

Elysian - I nuovi guardianiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora