Nikolai Gogol non credeva. Né nel destino né in dio. Almeno finché Fyodor Dostoevskij non arrivò nella sua vita. Era inaspettato? Forse. Forse no. Ma Nikolai non si sarebbe mai aspettato di incontrare qualcuno come lui. Che qualcuno arrivasse ad avere un tale potere su di lui. E la cosa lo terrorizzava. Quell'amore che era nato e dedito solo per la libertà all'improvviso aveva un contendente, che teneva il suo cuore incatenato con catene di ghiaccio. Come si fa ad amare un demone? Eppure Nikolai non era tanto diverso lui stesso da un demone, viste le cose che era disposto a fare pur di ottenere i suoi obbiettivi. Eppure Fyodor nonostante la nomea non era tanto diverso da un angelo: freddo, calcolatore, ma radiante di una luce che solo gli esseri divini posseggono. Nikolai era in trappola.
E l'unico modo per liberarsi era fare qualcosa di talmente depravato, talmente provano che il suo amore sarebbe inaridito e rinsecchito come un fiore d'inverno. Uccidere il suo migliore amico, il suo angelo, non dio perché Fyodor stesso non si sarebbe paragonato davvero a Dio, ma il suo messia sì. Un messia che aveva aperto le porte dell'anima di Gogol, ci aveva scrutato dentro e aveva detto "quindi è questo che sei? Bellissimo" e poi aveva sprangato la porta in maniera tale che nessuno lo potesse più vedere per com'era. Uno spettacolo solo per i suoi occhi. Un usignolo in gabbia. E la chiave era nel cuore del demone. Non si baciarono mai, non si dissero mai un "ti amo" nonostante entrambi sapessero. Fyodor non l'avrebbe mai fatto o detto e Nikolai era conscio di questo. Per Fyodor nessuno era sopra Dio e i suoi ideali, Nikolai voleva elevarsi oltre se stesso e tutto ciò che era terreno. Amore compreso. Così il tempo passò. Il decadimento degli angeli attuò i suoi piani, la prigione, i giochi di Nikolai, la fuga. Si era sottratto alla morte una volta, la vera libertà era un'altra, ma per un piccolo istante si era librato nel cielo e ora il suo scopo era davvero chiaro. Sconfiggere ciò che lo legava a se stesso, uccidere Fyodor, era tutto per lui ed era niente allo stesso tempo. Gogol per quanto il suo aspetto lo facesse sembrare non era una persona confusa, sapeva chi era e cosa voleva e si sentiva incompreso. Da tutti tranne che dal demone, o l'angelo? Neanche lui sapeva cosa considerare Dostoevskij. Altro sicuramente. Qualcosa di Divino, Eterno, o così credeva. La fine di mersault arrivò velocemente, troppo per i gusti di Gogol, il cui animo già si agitava infervorato alla prospettiva di un nuovo gioco con il suo amato. Perché si Fyodor aveva vinto, vinto Dazai, vinto la prigionia, vinto il suo cuore. Nikolai non si era mai sentito così estasiato. La visione di Fyodor che ora ardeva del suo stesso desiderio omicida lo eccitava molto. Eppure l'estasi durò poco. Dazai e Chuuya uscirono vincitori dalle porte di mersault, vincitori in ogni modo. E Nikolai rimase a guardare l'elicottero che roteava nel cielo fino a scontrarsi contro le mura. Tutto ciò che rimaneva del suo Fedya era un braccio mozzato e le parola di quasi consolazione pronunciate da Dazai. Perfino lui aveva compreso la delicatezza del momento. Gogol non sapeva cosa provare. Rabbia gioia tristezza felicità dolore vittoria perdita si mischiavano insieme nel suo animo mentre stringeva a se il braccio del demone. No. Il braccio di Fyodor. Si portò la mano al viso e la osservò per un momento, conscio che entrambi i due spettatori gli avevano voltato le spalle, e bacio per un attimo la mano. Un gesto che sognava da tanto tempo si era concretizzato in un incubo. Un incubo da cui neanche la morte lo avrebbe liberato. Nikolai rimase lì per non so quanto tempo, neanche lui lo sapeva in fondo. Indeciso sul da farsi, si fermò a guardare il fuoco che avvolgeva l'elicottero e ciò che rimaneva di Fyodor, rimase a lungo dopo la partenza della soukoku, rimase finché non sentì il suono dell'allarme. Solo allora decise di tornare a quella che chiamava casa. Ora i più scettici non mi darebbero mai ragione, ma se voi foste stati lì con me avreste visto anche voi un puntino di luce. Una singola lacrima che scendeva sulla guancia del clown.