Quando rientra alla villa è ormai buio, tutti gli abitanti emeriti di quella casa devono essere nelle proprie stanze, e Manuel tira un sospiro di sollievo.
Non ricorda bene neanche come le ha passate quelle ore dopo l'incontro con Nicola nel suo ufficio, quel pranzo galante e ricco del tutto personale portato in stanza da una donna che ha posato il vassoio sul tavolo con un sorriso gentile.
Si sente vuoto, ora che chiude la porta d'ingresso di quel nido appena trovato e già messo a soqquadro dai Ferro e dalle loro vicissitudini.
Trascina i piedi affaticato fino alla cucina per bere un bicchiere d'acqua, sorride nel vedere una scodella sul tavolo coperta da un altro piatto di coccio bianco, c'è un biglietto sopra con una calligrafia meccanica e forzata che dice per Manuel e un sorriso gli buca la faccia, forse il primo da giorni, ché è certo che Simone volesse fargli credere che fosse stata Virginia a lasciare quel messaggio, ma il ragazzo riconosce la mano del corvino: quel suo modo di fare la l in corsivo, con quella pancia piena, come quelle dei bambini.
Si preoccupa comunque, nonostante lo stomaco chiuso e il senso della fame nascosto chissà dove, a mettersi in tasca il biglietto per poi sistemare il piatto nel frigo.
Sale la scale in maniera silenziosa, l'ultima cosa che vorrebbe adesso è trovarsi Dante davanti agli occhi pronto a vomitargli addosso un'apologia nei confronti di sua madre e i suoi errori.
Vuole solo andare in camera.
Vuole solo, forse, andare da Simone.
Quel poco di luce che filtra dall'ingresso quando scosta la porta per rientrare, e che in un attimo richiude dietro le proprie spalle, gli fanno intravedere gli occhi chiusi dell'amico, che dorme con il volto rivolto al letto di Manuel che è già stato preparato, le coperte già piegate per essere pronte per accoglierlo.
Si trova di nuovo a sorridere dolce, mentre silenziosamente si chiude nel bagno per sciacquarsi via dalla faccia e dalla bocca il sapore di quel pasto servito e consumato con il privilegio di quell'uomo che è suo padre.
È ancora strano da dire, persino in testa: padre.
Quando rientra in stanza da un piccolo balzo all'indietro, ché Simone lo aspetta con la schiena dritta posata al muro dietro di sé e gli occhi piccoli di sonno.
"Com'è andata?" gli sussurra appena, e la voce gli si spezza ancora mangiucchiata dal riposo delle corde vocali.
"Mh." Sospira il maggiore, sollevando le spalle.
Non è soddisfatto. Non è neanche scontento. Ma c'è qualcosa dentro di lui che alberga e che si muove costantemente, che scalcia, che gli porta un sapore di amaro alla bocca e fa allappare la lingua contro il palato.
Non può comunque ancora dire di conoscere quell'uomo. Non può ancora dire che quell'uomo conosca lui. Ma c'è quella voce, petulante e fastidiosa, che gli sibila all'orecchio che è stato lui, forse, a non rendere possibili quelle affermazioni.
"Avete parlato?" Prova ancora Simone, e adesso gli occhi hanno perso ogni richiamo al sonno e alla stanchezza "Ha fatto lo stronzo?"
"No." Scuote la testa Manuel, prima di lasciarsi andare quasi a peso morto sul proprio letto, gli occhi puntati al soffitto, come volesse analizzare bene la situazione ricordandosi ogni momento delle ore vissute "Abbiamo parlato, ma..." Sbuffa un po', poi incastra i propri occhi in quelli dell'altro.
È affascinante, una sensazione morbida e avvolgente, ciò che gli si acquieta nella testa ogni volta che i loro sguardi si incrociano: a Manuel pare che i propri muscoli si rilassino, le membra riposino, il fiato si scaldi e i pensieri si alleggeriscano.
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And all these little things
Fanfictionraccolta di os troppo brevi per essere definite tali, più una raccolta di piccoli pensieri