Bucky Barnes

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BUCKY BARNES:
Incontri Inaspettati.

Consiglio Musica: Teeth; 5 Seconds of Summer

Ogni settimana entravo in quella stanza con l'intenzione di andarmene il prima possibile. Non c'era molto da dire, almeno non per me. Le facce erano sempre le stesse: veterani, persone che cercavano di riprendersi, e io, l'unico che non riusciva a liberarsi davvero di quello che ero stato. Condividevo il minimo indispensabile, giusto perché era obbligatorio. Ma a volte mi sorprendevo a osservare gli altri, cercando di capire se loro ci riuscivano davvero, se trovavano quella pace che io continuavo a rincorrere. E poi c'era lei. Si sedeva sempre nell'angolo, più giovane degli altri, come se non appartenesse a quel posto. Non parlava mai, non diceva una parola su sé stessa, ma ogni volta che accennavo qualcosa del mio passato, la vedevo guardarmi con attenzione. Non era lo sguardo di chi giudica, ma di chi cerca di comprendere. Qualcosa in lei mi metteva a disagio e, allo stesso tempo, mi incuriosiva. Quella sera, la seduta finì come sempre. Mi alzai per andarmene in fretta, desideroso di lasciarmi dietro quelle quattro mura soffocanti. Uscito all'aperto, sentii i passi leggeri alle mie spalle. Non mi girai subito, ma sapevo chi era. Non era la prima volta che la sentivo osservarmi, ma quella sera fu diversa. Quando finalmente mi voltai, lei era lì, ferma a pochi passi da me. «Non sei come gli altri.», disse, la voce bassa e sicura. Non una domanda, un'affermazione. La guardai per un attimo, senza sapere cosa rispondere. «Neanche tu», ribattei. Lei abbassò lo sguardo per un secondo, poi tornò a guardarmi con una determinazione che non avevo mai visto durante le sedute. «Non sono qui per le stesse ragioni degli altri. Sto cercando di capire... chi sono, dove posso stare in questo mondo.» non sapevo cosa dire. Non era la prima volta che qualcuno cercava di parlarmi dopo una seduta, ma c'era qualcosa di diverso in lei. Non sembrava cercare compassione o conforto. Sembrava cercare... risposte. «Credi che parlarne aiuti?» chiese poi, gli occhi fissi nei miei. Scrollai le spalle. «Non lo so. Non credo che qualcosa possa aiutare davvero.» lei annuì lentamente, come se stesse riflettendo sulle mie parole. «Forse non siamo così diversi, allora.» rimasi in silenzio, osservandola mentre un vento freddo ci avvolgeva. I secondi passarono lenti, eppure nessuno dei due sembrava intenzionato a interrompere quel silenzio. Poi fece un passo in avanti. Le sue mani si strinsero nel cappotto, quasi a proteggersi dal freddo o, forse, da qualcos'altro. «Non parli mai di te, non davvero,» continuò lei, la voce appena sopra un sussurro. «racconti solo frammenti, mai il quadro completo. Perché?» non ero sicuro di come rispondere. Nessuno chiedeva mai. Nessuno voleva davvero sapere. La mia risposta istintiva fu quella di respingerla, ma qualcosa nei suoi occhi-quella stessa curiosità che avevo notato in seduta-mi fece esitare. «Non è facile,» dissi infine, quasi senza rendermene conto. «ci sono cose che non voglio ricordare, che non voglio... rivivere. E tu? Non parli mai neanche tu.» lei sorrise leggermente, un sorriso triste. «Non so da dove cominciare. Ho passato tutta la vita a cercare un posto, una ragione per esistere, ma ogni volta che penso di averlo trovato, mi rendo conto che non è mai abbastanza. È come se... non ci fosse spazio per me.» le sue parole mi colpirono più di quanto avrei voluto ammettere. C'era un'ombra nella sua voce, qualcosa che riconoscevo. La sensazione di essere fuori posto, di non appartenere a nulla. «Capisco cosa intendi,» risposi, la mia voce più morbida di quanto mi aspettassi. «per anni ho creduto di essere definito solo da quello che ho fatto, da quello che ero. È difficile... accettare che si possa essere qualcos'altro.» lei mi guardò per un lungo momento, come se stesse cercando di capire fino a che punto fossi sincero. Poi fece un altro passo verso di me, e per un istante ci fu una connessione silenziosa, qualcosa che non avevo mai sperimentato prima. «Forse,» disse piano, «possiamo aiutarci a vicenda.». Il vento continuava a soffiare intorno a noi, ma improvvisamente non mi sembrava più così freddo. Serrai la mascella, la osservai, poi annuii lentamente. «Tu credi. Perché?» lei si avvicinò di nuovo, alzò la testa, mi guardò negli occhi. Accennò un sorriso.

Le settimane passarono, e le conversazioni con lei diventarono sempre più frequenti. Ogni sera, dopo le sedute, ci ritrovavamo fuori, lontani dagli altri, a parlare. All'inizio erano solo parole di circostanza, frasi vaghe, ma lentamente iniziammo a raccontare di più. Lei condivideva i suoi dubbi, le sue paure, il suo sentirsi inadeguata in un mondo che non riusciva a capire. Io, contro ogni aspettativa, iniziai a fidarmi. Non completamente, ma abbastanza da raccontarle di più di me, del passato che cercavo di seppellire, delle notti insonni e dei demoni che ancora mi perseguitavano. C'era qualcosa di diverso in quei momenti con lei. Mi sentivo meno solo, come se qualcuno finalmente capisse quel peso che portavo. E nonostante la distanza che avevo sempre mantenuto con gli altri, con lei era diverso. Le nostre parole erano diventate un rifugio, un posto dove entrambi potevamo essere noi stessi, senza maschere. Col passare del tempo, ci fu anche qualcos'altro. Mi ritrovai a cercare la sua presenza, il suo sguardo attento e silenzioso. C'era una connessione che non riuscivo a spiegare. Non era solo la comprensione reciproca del dolore, ma qualcosa di più. Iniziai a notare i dettagli: il modo in cui lei sorrideva leggermente quando cercava di spiegare qualcosa di difficile, come si avvicinava di un passo ogni volta che ci fermavamo a parlare, quasi inconsciamente. Iniziavo a sentirmi diverso quando ero con lei. Più... leggero, forse.

Una sera, dopo l'ennesima seduta, ci trovammo di nuovo a camminare insieme nel silenzio della città. Il vento era gelido, ma la sua presenza accanto a me rendeva tutto più sopportabile. «Ogni volta che parli del tuo passato, mi sembra di vedere solo una parte,» disse lei, fermandosi a pochi passi da me. «ma non importa, sai? Non ho bisogno di conoscere tutto per capire chi sei.». Le sue parole mi colpirono profondamente. Nessuno mi aveva mai detto una cosa simile, e per la prima volta mi sentii compreso in un modo che non avrei mai creduto possibile. Il muro che avevo eretto tra me e il mondo sembrava meno solido con lei vicino. La guardai, e qualcosa cambiò. Non era solo gratitudine o conforto. Era più di questo. Mi avvicinai lentamente, e lei rimase ferma, i suoi occhi che cercavano i miei con quella solita curiosità mista a una dolcezza nuova. I suoi lineamenti erano morbidi alla luce fioca del lampione vicino, e tutto sembrava più intimo, più vicino.

«Non so se ci riuscirò mai,» mormorai, la mia voce bassa e quasi rotta. «a lasciarmi tutto alle spalle.».

«Non devi farlo da solo.» rispose piano, il suo tono gentile ma fermo.

Ci fu un momento di silenzio, denso di parole non dette. Poi, senza pensare troppo, mi chinai verso di lei. Le nostre labbra si sfiorarono lentamente, come se entrambi stessimo cercando di capire se fosse reale, se fosse giusto. Fu un bacio lieve, incerto, ma carico di significato. Le sue labbra erano calde contro le mie, e il contatto mi fece dimenticare per un attimo tutto il resto. Durò solo un istante, ma in quel breve tocco c'era un mondo di cose non dette, un legame che andava oltre le parole. Quando ci allontanammo, lei mi guardò con un sorriso lieve, timido ma sincero. Un leggero rossore le colorava le guance, e io sentii un calore che non provavo da tempo. Non era solo il bacio, era il significato dietro di esso. Un passo verso qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno dei due aveva pianificato, ma che sembrava inevitabile.

Per la prima volta, mi sentii più leggero. Non ero ancora libero dai miei demoni, ma accanto a lei, per un attimo, sembravano più lontani.

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