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Contenuti sensibili.

Punto. Un punto a cui aggrapparsi per andare avanti in questa agonia, più comunemente chiamata vita. Non so perchè sono qua, non so perchè sono ANCORA qua.
Però...però ho combattuto battaglie e molte sono ancora in corso.
"Sei un gueriero" dice mio padre, colui che era con me durante l'apice.
Ricordo
Quel primo pomeriggio, tornavo a casa da scuola, con l'autobus, sono in piazza Firenze, a Milano, decido almeno di avvialsare di quello che stavo per fare. Metto il telefono in modalità aerea. E scrivo. Scrivo alle persone più importanti, ma non ho il coraggio di contattare i miei genitori e parenti, ne chiamo solo uno. Mia nonna paterna. Lei è una grande donna.
"Voglio diventare come lei" mi dicevo.
E ora? Ora la stò chiamando, in lacrime, su un autobus di merda andando verso il mio patibolo. Non voglio avere rimpianti. Ma quando dall'altra parte del telefono sento la voce della nonna non resisto. Attacco il telefono e mi metto a singhiozzare, davanti a tutti, senza pudore.
Arrivo a casa, mio nonno, il guardiano del palazzo, non c'è. È in pausa. Apro il cancello e mi dirigo verso la mia abitazione. Piango. Urlo. Mi sfogo, cos che non facevo da troppo. Apro la porta di casa, non mangio, vado in camera mia e mi chiudo la porta alle spalle questa è solo l'ennesima vota che ripeto quell'operazione. Prendo la lametta attentamente conservata in una scatola da gioielli rossa.
La guardo. È questo il momento. Però devo farlo bene. Prendo il telefono e tolgo la modalità aereo. Cerco su google qualche immagine di anatomia bracciale. E poi spengo di nuovo tutto.
So come fare.
Mi specchio in quell'oggetto portatore di piacere e dolore. Agrodolce.
Inizio a premere e sfregamento con forza la mia pelle del braccio destro. Qual braccio mi ha rovinato la vita per 14 anni. Nascere e subire un esito da paralisi ostetrice che ti limita l'utilizzo dell'arto. Be. Non è bello. Per nulla.
Per colpa di questa cosa ho subito e inflitto cose che non avrei mai voluto fare o ricevere.
Mi chinò su me stesso, ho le cuffie con musica al massimo.
Sorry, can't save me now
Sorry, I don't know how
Sorry, there's no way out (sorry)
But down, mm down
Taste me, the salty tears on my cheek
That's what a year-long headache does to you
I'm not okay, I feel so scattered
Don't say I'm all that matters
Leave me
Deja vu

Deja vu.
Delle volte precedenti.
Del dolore.
Della paura.

Qualcuno mi tocca la spalla coperta dalla felpa bordeaux. Urlo. Impreco di andare via. Chi unque esso sia. La porta di casa si apre e sento qualcuno a passo veloce dirigersi verso la mia stanza.

La lametta è lì. Metà fuori metà dentro. La tiro verso di me.
Il sangue scorre. Rosso scuro. Che bel colore.

"ALICE! ALICE! va tutto bene, va tutto bene non ti preoccupare, adesso si sistema."

Mio padre.

Mi tiene stretto il braccio. Ho i sensi annebbiati.

Arriva mia madre, santa donna. Andiamo di volata in macchina. Quello che volevo evitare stà succedendo. L'ospedale. Di nuovo. Sarò di nuovo nel senza luogo e senza tempo.
Piango.
Piango forte.

Arriviamo al fate bene fratelli, andiamo nel reparto che la psichiatra ha precedentemente indicato a mia madre.
Entro in sala. Mi ricuciono.
Ancora
Ancora
Ancora
Aspettiamo ora interminabili in sala d'attesa, io e mia madre. Papà è dovuto tornare a casa.
Un medico si avvicina a me e mia madre.
"L'ambulanza stà arrivando" dice "dove andiamo?" Chiedo a mia madre spaventato di un nuovo ricovero. "Al San Paolo amore" se prima era incerto ora e sicuro. La psichiatria infantile ha un posto per me.
Chi sà per quanto tempo ci starò.

Avevo un obbiettivo.

E ho fallito anche sta volta.

Ho fatto vedere scene a cui nessuno dovrebbe mai assistere.
Mia nonna materna ha provato ad aiutarmi. L'ho spaventata. L'ho ferita.
Viola, la mia ragazza, a cui ho inviato il messaggio ha chiamato mia madre dopo averlo ricevuto. E lei ha avvisato tutti. Polizia. Mio padre. Carabinieri.
Mia madre mi accompagnerà in questa tappa, starà con me per tutti i mesi necessaria.
La nonna paterna. Si è spaventata. Stava venendo a casa mia dopo che l'ho chiamata.
E poi
Be
Mio papà. L'uomo più importante della mia vita. Inutile dire. L'ho traumatizzato.

Riaccendo il telefono mentre sono seduto nella sala d'attesa del pronto soccorso.
Chiamate perse. Da tutti. Anche da persone a cui non avevo inviato niente.

Questo è il problema. Le persone si affezionato a me, e io a loro.
Ma ciò nonostante non riesco ad affezionarmi a me stesso.

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_kai_
Ciao...ba che dire...questo è un pezzo della mia vita...ormai tutto questo è successo tre anni fa. E ne porto ancora i segni. Non commenterò le azioni che ho compiuto.
Spero che questo racconto faccia sorgee domande, non su di me. Ma su di chi lo stà leggendo.

Scrivo questa cosa a 17 anni, sul retro della mia bellissima casa in montagna, è il 2.1.2024 e fa abbastanza freddo. E appunto ora rientrò in casa, a scaldarmi ammirando il mio punto.

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