Ero riuscito a recuperare una quelle di power bank a ricarica solare. Me l'aveva regalata lei, non l'avevo mai utilizzata, né pensavo, all'epoca, che l'avrei fatto in futuro, eppure, in quel momento, era diventato l'oggetto più desiderabile al mondo. Stava sul fondo del cassetto della biancheria, lì dove riponiamo quelle cose che ci sembra di dover conservare perché "non-si-sa-mai", che poi restano nascoste per decenni a far spessore tra coppie di calzini spaiati e mutande.
Era dotata di un cavetto usb con diverse derivazioni e spinotti, a seconda del tipo di dispositivo da mettere in carica. Non che avesse ormai senso ricaricare il telefono, almeno per me. Comunicare con qualcuno era diventato impossibile, ma per tenere impegnata Anna poteva andar bene. Tra le diverse app installate sul suo tablet ce n'era sicuramente più d'una che poteva essere utilizzata anche offline. Qualche gioco, un po' di musica, per un paio d'ore sarebbe rimasta incollata allo schermo, come sono soliti fare i bambini della sua età.
Ovviamente era scarica. L'appoggiai sul davanzale della finestra, in piena luce, con la speranza che non si trattasse della solita "cinesata" acquistata online per pochi euro.
Purtroppo, sapevo, con mia madre questo diversivo non avrebbe funzionato. Mentre Paolo, appisolato sul divano, sembrava minimizzare l'improvviso collasso dell'intera rete, mia madre aveva saputo cogliere quasi fin da subito la gravità di questa nuova ed improvvisa condizione. Non credo che questa consapevolezza fosse frutto di un'elaborazione analitica della realtà, ma piuttosto di quel primordiale istinto materno ciecamente teso alla protezione della prole. Le tensioni e contrazioni sul suo viso ricordavano il tipico terrore confuso negli occhi degli animali in fuga dagli incendi. Continuava a chiedere a Paolo che cosa intendesse fare, e lui continuava a dire che bisognava aspettare, che qualcuno avrebbe risolto. Non diceva chi, era semplicemente convinto che qualcuno avrebbe sistemato le cose. In molti sembravano avere questa convinzione, o quantomeno tutti i vicini di casa con cui eravamo riusciti a parlare.
Qualcuno, più spavaldo, si arrischiava ad uscire in strada. Pochi passi fino al perimetro del palazzo, al massimo fino all'incrocio, per poi rientrare correndo al primo rumore di ferraglia o vetri in frantumi. I saccheggi non erano cominciati subito, ovviamente, le persone avevano impiegato tutta la giornata per realizzare la portata di quanto accaduto. Per chi non aveva grandi responsabilità o parenti in ospedale sembrava un inaspettato giorno di vacanza. Niente scuola, niente lavoro, negozi chiusi, pochissime auto in giro. Io stesso ero rientrato a casa dopo aver tentato invano di trovare una pompa di benzina aperta o che non avesse finito il carburante. Per tutta la mattina avevo visto famiglie passeggiare, comitive di ragazzi riunirsi a ridosso del parco, gruppi di persone che si sedevano ai tavolini dei bar chiusi improvvisando aperitivi con bottiglie e patatine portate (immagino) da casa.
Poco dopo pranzo abbiamo sentito le prime urla. "Risse tra ragazzini" aveva detto a mia madre una vicina con affaccio sul nostro giardino. In effetti era comprensibile, abituati ad utilizzare gli smartphone come il prolungamento naturale della propria mano stavano presumibilmente cominciando ad annoiarsi, i dispositivi dovevano essere ormai scarichi e comunque disconnessi dalla rete. Potevo capirli, non che avessi voglia di fare a pugni con qualcuno ma sentivo una certa insofferenza montare velocemente dentro di me. Il panico esplicito e dichiarato di mia madre di sicuro contribuiva ad alimentare questa condizione ma più di tutto, era il fatto di non sapere nulla di lei. A metà pomeriggio mi ero già ripromesso di partire l'indomani mattina alla volta di casa sua, ovviamente a piedi, qualora le cose non fossero tornate alla normalità.
La situazione è precipitata verso sera, con il calar del buio sulle strade, in un attimo è diventato chiaro a tutti che le cose sarebbero degenerate ed in fretta. Chiusi dentro casa potevamo sentire il rumore delle vetrine che venivano infrante, le sirene degli antifurti con le batterie ancora cariche erano così tante che i timpani sembravano tremare nelle orecchie. Urla di persone che dai balconi inveivano contro gli sciacalli, lo stridio delle gomme di quelle che sembravano essere le auto di gente in fuga (oppure degli stessi delinquenti che avevano divelto le serrande, non c'era modo di capire). Com'era prevedibile, poco dopo, si sono sentiti anche gli spari. Mia madre piangeva, Anna piangeva, la vicina di casa gridava, i cani di tutto il quartiere abbaiavano. Paolo, in piedi davanti alla finestra, scrutava annichilito quanto riusciva ad intravedere tra le fessure delle persiane chiuse. Non mi alzai nemmeno dalla sedia, con la città completamente al buio sarebbe stato impossibile scorgere anche solo le sagome in movimento. Il cielo era coperto da giorni, di luce della luna neanche a parlarne.
Ripercorrevo nella mia testa tutto quello che ci eravamo urlati addosso la sera prima. Quella che sembrava una discussione senza ritorno adesso appariva una litigata come le altre. Non mi ero accorto che l'insofferenza si era trasformata in paura, restavo seduto perché ero terrorizzato. Eppure sapevo che lei era sempre stata pronta, molto più di me, ed in fondo era proprio questo a spaventarmi a morte, il pensiero che lei questa sana paura non la stesse provando. Era stata lei stessa a spiegarmi che senza provare quell'istinto primordiale che arriva a gelare il sangue nelle vene, non è possibile calcolare compiutamente il rischio. Il messaggio era chiaro: se non previsto, il rischio aumenta vertiginosamente.
Paolo suggerì di fare dei turni per dormire. Mi sembrò un'idea ragionevole anche se difficilmente, con tutto quel frastuono che veniva da fuori, saremmo riusciti a chiudere occhio. Mi serviva provare, comunque. Sarei partito alle prime luci dell'alba e mi ci sarebbero volute almeno un paio d'ore abbondanti per arrivare da lei. Mi sdraiai sul divano e restammo svegli, in silenzio, tutta la notte.
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UNBLESSED
Science FictionIn un mondo dove gli opposti sono per definizione complementari e l'essenza stessa della realtà non è altro che il riflesso del dualismo intrinseco della materia, alcuni tra noi sembrano essere chiamati alla guida di un cambiamento epocale. Predesti...