(tw: sex)
Mi piace guardare Antonio quando non sa che lo sto osservando. Mi piace contemplare la linea dritta della mascella, la curva pronunciata dello zigomo e la postura del corpo, mi piacciono i suoi capelli, ricci e corvini, le sue labbra carnose.
C'è un candore sul suo volto, un'innocenza, un particolare... una gentilezza. Ecco quella mi tocca il cuore più di ogni altra cosa.
Amo le persone gentili.
È seduto poco più avanti, appoggiato con il gomito al bancone del bar a bere una birra insieme ai suoi amici di sempre. Io, invece, sono sul divano con Camilla e Daniele a parlare di viaggi, luoghi e mete turistiche.
Non credo di star ascoltando molto però.
Sono troppo impegnata a scattare foto qua e in la con la nuova macchinetta di Elena. Mi sento come una bambina il giorno di Natale che è troppo presa dal suo nuovo regalo per dare retta agli altri.
Siamo venuti in questo locale per festeggiare la fine del percorso del CPM. Filippo, il mio bassista, è stato l'ultimo del gruppo a dare la tesi oggi. Così hanno ben pensato di festeggiare a birra e patatine fritte.
Alzo nuovamente lo sguardo da quell'aggeggio.
I miei occhi tornano inevitabilmente a posarsi su Antonio.
Vorrei scattargli una foto.
In quell'istante, anche lui incastra i suoi occhi nei miei.
Si accorge che lo sto osservando e solleva le sopracciglia con aria interrogativa. Mi limito a sorridere e a scuotere la testa.
Poi sento il cellulare vibrare nella borsa. È lui.𝚅𝚞𝚘𝚒 𝚌𝚑𝚎 𝚊𝚗𝚍𝚒𝚊𝚖𝚘?
𝙽𝚘.
𝙰𝚕𝚕𝚘𝚛𝚊 𝚙𝚎𝚛𝚌𝚑é 𝚖𝚒 𝚜𝚝𝚊𝚟𝚒 𝚐𝚞𝚊𝚛𝚍𝚊𝚗𝚍𝚘?
𝙿𝚎𝚛𝚌𝚑é 𝚖𝚒 𝚊𝚗𝚍𝚊𝚟𝚊 𝚍𝚒 𝚏𝚊𝚛𝚕𝚘.
Sento le gote e le orecchie in fiamme.
La bambina è stata colta in fragrante dai genitori e adesso deve posare il suo nuovo giocattolino.
Daniele legge da dietro le mie spalle. Quando me ne rendo conto lo spingo via con una gomitata. Di rimando scuote il capo.
«Davvero vi messaggiate quando siete a pochi metri l'uno dall'altro»
Sento il rossore aumentare, ma lo ignoro.
«Che dolci» sussurra Cami, arricciando il naso e trattenendo una risatina.
Sto per replicare ma il rumore felpato di Antonio mi interrompe.
Si è alzato.
Sta venendo verso la mia direzione in modo deciso.
«È ora di portare la mia ragazza a casa»
«Che ore sono?» chiedo strabuzzando gli occhi e accendendo il cellulare per controllare l'orario sul display.
23:40, strano è presto.
«Non è poi così tardi» lamento, mentre Antonio mi tira su dal divano e mi aiuta ad infilare il giubbotto. Poi mi prende per mano e mi guida attraverso lo slalom dei tavolini ancora apparecchiati. Mi volto per un secondo a guardare i due ragazzi rimasti soli e mi limito a salutarli con la mano almeno da lontano, scrollando le spalle con aria un po' incredula.
«Perché tanta fretta?» gli domando, facendo ben attenzione a non sbattere contro qualcosa o qualcuno prima di uscire dal piccolo bar.
Il riccio non risponde, continua a camminare imperterrito attraverso il cortile, fino a raggiungere la strada dove ha parcheggiato l'auto rigorosamente nera.
Ma si blocca. Non entra dentro.
D'un tratto si ferma e poi mi tira a se.
E mi bacia.
«Non riesco a concentrarmi sugli altri quando mi guardi in quel modo, Nì» confessa.
Sto per scusarmi ma mi bacia di nuovo premendo le mani contro la mia schiena e bloccando il mio corpo tra il suo e lo sportello.
Che gli prende? Sì è messo a genio questa sera?
Mentre saliamo in macchina lo sguardo mi cade sul cruscotto.
Il suo cellulare è collegato alla radio dell'auto. Stava ascoltando il mio nuovo album, Monolocale.
Un sorrisino accende il mio viso.
Il lavoro di mesi e mesi di pianti e fatiche che da un sogno astratto, diventa concreto. Un qualcosa che verrà ascoltato da estranei, probabilmente come stava facendo lui.
È come un figlio.
«Sei stata brava»
Ammette, interrompendo il mio flusso di coscienza e passandomi una mano sulla guancia con dolcezza, come se mi avesse letto nel pensiero.
Riduco gli occhi in due fessure prima di sfoderare uno dei migliori sorrisi e di chinarmi in avanti per lasciargli un bacio a stampo all'angolo della bocca.
Lui, al contrario di molti altri, mi ha sempre dimostrato tutto il suo supporto nonostante sia entrato da relativamente poco nella mia vita.
Gliene sarò grata in eterno.
Mi ritraggo dopo un lieve tentennamento sul da farsi. Ma poi mi rendo conto che non ha distolto lo sguardo da me neanche per un istante. Anzi mi sta guardando con degli occhi pieni di... desiderio.
Avverto uno strano formicolio nella pancia che solo lui riesce a provocarmi e finisco col mordermi il labbro inferiore pur di impegnare il mio corpo in altro.
Non posso di certo mettermi a saltare in un momento così.
Anche perché so cosa sta per succedere.
E forse è esattamente questa consapevolezza che mi spinge ad avanzare nuovamente verso il suo sedile.
Appoggio la fronte contro la sua mentre i nostri nasi si sfiorano. Il cuore fa una capriola non appena mi rendo conto di quanto mi faccia stare bene questo ragazzo in ogni cosa che fa.
Deve averlo percepito perché, cauto, preme le sue labbra sulle mie, invitandomi a ricambiare. Così gli avvolgo le braccia intorno al collo e mi abbandono al suo bacio e al suo tocco intensamente delicato. Improvvisamente una presa di coscienza mi si insinua nella testa. Mi allungo verso di lui fino a trovarmi sopra le sue gambe. Lui mi sposta delicatamente i capelli dietro l'orecchio, per poi afferrarmi il collo e riprendere il bacio esattamente da dove era stato interrotto. Le sue mani si posano sulle mie cosce, lasciate scoperte dal vestito nero e viola che avevo deciso di indossare. Io, invece, faccio scivolare le mie dita tra i suoi capelli e prendo ad accarezzarlo trattenendo il respiro.
Sento che in questo momento non voglio pensare ad altro se non a noi, mentre le sue labbra si muovono avide e vogliose sulle mie. Mi divorano, mi fanno perdere la concezione di tutto ciò che mi circonda mozzandomi il fiato.
Mi lascio travolgere dalle sensazioni del calore della sua lingua contro la mia e dal tocco delle sue mani che scivolano lungo i miei fianchi, fino ad arrivare al sedere.
È allora che le sento, delle voci familiari che giungono ovattate alle nostre orecchie.
Oh, no.
Anche lui le ha sentite.
Leggo il panico nei suoi occhi.
Improvvisamente si lascia cadere la testa contro il sedile e sospira frustato.
«Cazzo» sussurriamo insieme l'uno sulle labbra dell'altro.
Proprio in quel momento ci giriamo e notiamo i nostri amici fermi davanti all'uscio del locale, intenti a raggiungere le proprie autovetture.
Il mio cervello grida l'allerta come un criceto impazzito mentre torno buona buona al mio posto sistemandomi la gonna che era rimasta leggermente alzata.
Essere beccata a pomiciare con il loro migliore amico nel bel mezzo del parcheggio di un locale sperduto non è una delle prime cose che vorrei aggiungere nella lista delle figure di merda.
«E mo'?» domando al ragazzo alla mia destra che infastidito sta cercando di mettere in moto.
«E mo' ti porto via»
La vena ironica con cui pronuncia le ultime parole non è sufficiente per camuffare tutto lo sforzo immane che ha fatto per togliermi le mani di dosso e riportarle sul volante.
Resto immobile a fissare la strada buia e vuota davanti a me, cercando di riacquisire un minimo di lucidità per mettere a posto i pensieri. Decido di appoggiarmi allo schienale chiudendo per un secondo gli occhi e lasciando riposare la mente.
Poi però mi rendo conto che ha imboccato una strada sconosciuta, che sicuramente non porta al mio piccolo monolocale sui Navigli.
«Non intendevi a casa?»
Chiedo, osservando con la coda dell'occhio il profilo del mio ragazzo.
In realtà spesso e volentieri faccio fatica a credere che sia davvero mio.
Altrettanto spesso do la colpa al fatto che è poco più di un anno che stiamo insieme.
Anche se devo ammettere che ciò che stava accadendo pochi minuti fa, mi aiuta a realizzarlo un pochino di più.
«Mi è venuto in mente un posto» continua determinato.
Io, al contrario, non riesco a tenere a bada la curiosità.
«Dove?»
«Tu aspetta»
Abbassa i vetri oscurati e l'aria fresca della notte entra appropriandosi dell'auto.
Mi lascio cullare così dal suono del vento che annulla tutto ciò che mi passa per la testa e dal suo soffio che leggero sfiora i miei capelli.
Il tempo prende a scorrere lento e, senza rendermene neanche conto, vengo travolta da un'inspiegabile sonnolenza.
«Dormi nel tragitto se ti va»
Mi accarezza dolcemente il ginocchio per un momento, prima di cambiare la marcia.
«Ma no niño, voglio farti compagnia»
«Mi serve dopo la compagnia e io ti vedo distrutta, quindi dormi serena»
Ignoro l'allusione che probabilmente ha fatto involontariamente... o forse no.
Mi rannicchio sul sedile e socchiudo gli occhi, scivolando in una specie di stato di dormiveglia.
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𝗺𝗼𝗻𝗼𝗹𝗼𝗰𝗮𝗹𝗲
Fanfiction«Ballo e rido di me perché so stare in equilibrio nelle situazioni estreme, mentre restare in equilibrio quando tutto è stabile, quando tutto va bene, è il mio vero tallone d'Achille»