Non stiamo mai fermi, nemmeno per un secondo. Al mattino ci fiondiamo fuori casa e torniamo solo a tarda sera stanchi morti con l'estate negli occhi, sulla pelle. Non importa come trascorriamo le giornate, l'unica cosa che conta è stare fuori. Sempre fuori. Non ci sono limiti, solo il cielo sopra le nostre teste da adolescenti. Prendiamo le bici e ci arrampichiamo sopra le colline vicine, urliamo come indemoniati tra i passanti e bussiamo il campanello con un'insistenza insopportabile. Ci urlano addosso qualsiasi cosa e noi ridiamo come pazzi. Siamo pazzi, ci ubriachiamo dell'aria che respiriamo con avidità. Ci vediamo sempre nello stesso posto, sulla stessa panchina. Parliamo di sciocchezze, chiacchiere inutili che ci nutrono per finta. Mi siedo sulla spalliera della panchina di legno. Come non è ancora crollata quella panchina rimane un mistero per tutti. Si muore di caldo, menomale che io ho i capelli corti. A inizio stagione me li sono tagliata come un maschio di nascosto a mia madre, quando l'ha scoperto s' è arrabbiata ma ora scommetto che li vorrebbe anche lei così. Francesco mi ficca una sigaretta in mano e io subito l'accendo. Non iniziamo mai la conversazione senza una Winston. Così provo per l'ennesima volta a fare i soliti cerchi di fumo che mi vengono storti. Che dannazione quei cerchi!
"Domani che si fa?" Chiede uno.
"Tu già pensi a domani, pensa ad adesso." Francesco risponde sempre un po' male a tutti. Ma ci abbiamo fatto l'abitudine quindi nessuno si offende più. Sappiamo che ha dei problemi a casa; è l'unico che non torna proprio mai e la notte vuole rimanere fuori fino al giorno successivo.
"Io domani posso venire, ho cinquant'euro in tasca." Dico.
"Cinquanta?" Mi chiede Alfonso. "Finalmente. A te il capo lascia una paga da fame."
Alfonso fuma come un turco, più di tutti, per questo lo chiamiamo "Al il turco", così il difetto ce l'ha nel nome ed è giustificato. "Al il turco" non se ne frega niente di nessuno, sa fare tutto per conto suo ma gli piace stare nel gruppo, così passa il tempo con noi. Il lavoro di "Al il turco" è un enigma, però lo rispettiamo tutti perché tira su tanti soldi. Decidiamo che domani si va a mare. "Ora saliamo da Pietro."Dico. A casa di Pietro c'è folla a tutte le ore, forse perché i genitori lavorano sempre e non sanno che orde di adolescenti scalmanati invadono abitualmente il loro appartamento. Francesco non si convince, Giulia invece vuole andare perché le piace Pietro; così salgo con lei sul mio liberty senza casco. Il casco non lo mettiamo perché ci piace rischiare. Il pericolo è ossigeno: indispensabile.
"Rimanete qua Giorgia." Dice Francesco. "Che andate a fare da Pietro?" Io ho già acceso il motore. "Muovetevi a tornare." Annuisco mentre salgo sul motorino, il tempo è un concetto relativo d'estate, un minuto passa in un'ora e io vado in giro senza l'orologio. Spingo al massimo sull'acceleratore per mettere paura alla mia compagna di viaggio. Giulia mi sta simpatica, ha dei bellissimi capelli ricci. Pietro non la calcola e un po' mi dispiace. A me non piace nessuno, meglio così perché ho meno problemi. Di problemi io non ne voglio avere mai, figuriamoci in estate. Arriviamo al palazzo di Pietro e ci precipitiamo nell'atrio. Si sentono gli schiamazzi dei nostri coetanei, la porta di Pietro è aperta ed entriamo. In una cittadina di provincia ci si conosce tutti almeno di nome, di faccia o di sentito dire. Io conosco il suo nome, il suo volto olivastro e l'infinità di chiacchiere che girano sul suo conto. Si dice che sia spavaldo, ricchissimo e affascinante. Comunque non è la prima volta che ci imbuchiamo da lui, ha una marea di amici e non si accorge di chi entra in casa. Giulia inizia a parlare con una sua conoscente, io me ne sto in piedi a guardare. All'improvviso mi sento spossata, mi viene voglia di tornarmene a casa sul liberty e abbandonare Giulia lì. Sembrano tutti andare d'accordo. Seguo qualche conversazione ma non riesco ad infilarmi in nessun discorso. L'avevo proposto io di andare da Pietro e ora, dopo neanche cinque minuti, sono già annoiata. Chissà lui dov'è. Lo vedo seduto sul divano con una bibita in mano, circondato da altri ragazzi. Hanno tutti voglia di parlare con lui. Qualche compagna di classe mi passa vicino, saluto ma non rispondono. Forse non sentono, c'è una confusione che fa fischiare le orecchie. Giulia mi si avvicina. "Allora?" Mi chiede. "Ci avviciniamo?" E fa un cenno a Pietro con la testa. "Vai tu, non è mio amico." Gli rispondo schietta, ma lei s'impunta. "Giorgia ti prego, a te la gente da retta quando parli; devi solo attaccare il discorso." Io sbuffo, non sono dell'umore di iniziare un dialogo con il padrone di casa. Acconsento per Giulia. Come ho detto non iniziamo mai una conversazione senza una sigaretta in mano, mi faccio coraggio e mi accosto al capannello."Hai da accendere?" Butto lì, fissando con indifferenza il viso abbronzato del ragazzo. È alto, ha i capelli castani e gli occhi chiarissimi. Rimedia un accendino e me lo passa. "Stiamo nello stesso liceo?"
"Si, da quattro anni."Gli restituisco l'accendino. Vorrei piantarlo in asso e andarmi a fumare la mia sigaretta fuori. Qui dentro non si respira. "Bella casa." Non mi viene in mente nient'altro.
"Grazie." Si avvicinano a noi diverse ragazze, alcune si siedono affianco a Pietro, altre rimangono in piedi. Sussurrano qualcosa tra loro, che fastidio quando fanno così. Pietro ha ripreso a parlare con gli amici. "Tu non fumi?" Gli chiedo per provocarlo.
"Sì che fuma." Risponde una delle oche che mi accerchiano, alzando le sopracciglia.
"Conosci Giulia?" E la spingo avanti. "Anche a te serve un accendino?" Dice lui. Mi domando come faccia a piacerle. Ho già aperto la bocca per rispondergli a tono, ma Giulia mi pizzica il braccio e parla al posto mio. "Si." La rabbia mi monta nel petto come una furia. Spengo il mozzicone sul bracciolo del divano e me ne vado. Quei figli di papà mi fanno venire il ribrezzo. Finalmente sono di nuovo sul mio liberty. Giulia è rimasta in quel dannato appartamento. Dovrei raggiungere Francesco e gli altri sulla panchina ma non ne ho voglia. Giro a vuoto sul motorino. Non ho idea di dove andare. Sono velocissima, ho paura di perdere il controllo dei freni. Amo quell'adrenalina. Il vento mi sbatte in faccia e la t-shirt mi svolazza dietro la schiena. La libertà estiva è la migliore.
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Estate
RomanceL'estate è teatro di avventura, soprattutto se sei un'adolescente dallo spirito libero.