'Mi ha preso la mano e mi ha portata
a vedere com'è fatta la felicità'
#CharlesBukowskiAnni: 10 anni
Pov: AphroditeVivo in un orfanotrofio che sembra più una prigione. I muri grigi, gli sguardi freddi e le urla costanti sono tutto ciò che conosco. Le altre ragazze sono come me: abbandonate, dimenticate, ognuna cerca di sopravvivere a modo suo. Alcune si nascondono, altre si ribellano. Io, invece, ho trovato il mio rifugio nel dolore. Le assistenti ci trattano come se fossimo pesi morti, ingombranti. Ogni giorno è una guerra per dimostrare che valiamo qualcosa, anche se nessuno ci guarda veramente con amore. Gli schiaffi, le punizioni ingiuste, le notti insonni a causa dei pianti soffocati: tutto si accumula dentro di me come una tempesta che non riesco a controllare.
La prima volta che mi sono ferita è stata quasi per caso. Un vaso rotto, un taglio profondo sulla mano, e all'improvviso la confusione dentro di me sembrava placarsi. Il dolore fisico era qualcosa che potevo comprendere, qualcosa di tangibile. Da quel momento, ho iniziato a cercarlo intenzionalmente. Nascondo i pezzi di vetro sotto il materasso, in un angolo della mia stanza che nessuno controlla mai. Ogni taglio mi ricorda che sono viva, che il dolore che provo non è solo nella mia mente. È un segreto oscuro che porto con me, un modo per sentire che ho ancora controllo su qualcosa. Quando il mondo diventa troppo pesante, quando mi sento sopraffatta dalle grida e dagli insulti, mi rifugio nella mia stanza e mi lascio andare.
Le cicatrici si accumulano, diventano parte di me, segni tangibili di una sofferenza che non riesco a esprimere a parole. Ogni volta prometto a me stessa che sarà l'ultima, che smetterò, ma poi la realtà mi travolge di nuovo, e ritorno al mio rifugio segreto. Le altre ragazze non sanno nulla. Alcune sospettano, vedono le bende e i tagli che cerco di nascondere. Mi guardano con pietà, forse con paura, ma nessuna osa chiedere. Siamo tutte troppo prese dalle nostre lotte per preoccuparci delle altrui. In questo luogo, ho imparato che il dolore può essere sia una prigione che una via di fuga. E mentre cerco di sopravvivere giorno per giorno, continuo a sperare che un giorno, in qualche modo, riuscirò a trovare una vera via d'uscita da questo incubo. Ma fino ad allora, mi aggrappo al mio dolore, l'unica cosa che mi fa sentire ancora umana.
Un giorno, durante l'ora di studio, accadde qualcosa di diverso. Ero seduta sotto un albero di ciliegie, mangiando le ciliegie che una signora anonima mi aveva portato, quando sentii parlare le ragazze di una nuova assistente arrivata all'orfanotrofio. Si chiamava Hera, e i suoi occhi sembravano vedere oltre le maschere che tutti noi indossavamo. Mentre distribuiva i libri, i suoi occhi si posarono su di me, e per un attimo, mi sembrò di essere nuda di fronte a lei. Sentii un brivido lungo la schiena e abbassai lo sguardo, cercando di nascondere la mia paura.
Nei giorni successivi, Hera iniziò a fermarsi spesso nella mia stanza. Non diceva molto, ma la sua presenza era diversa da quella delle altre assistenti. Non c'era giudizio nei suoi occhi, solo una sorta di comprensione che mi consolava. Un giorno, dopo che tutti erano andati a letto, la trovai seduta accanto alla mia finestra, guardando fuori.<<Aphrodite>> Disse dolcemente. <<So che stai soffrendo.>>
Le sue parole mi colpirono come una pugnalata. Mi irrigidii, ma lei continuò.
<<Non sei sola in questo inferno. Voglio aiutarti a uscirne.>>
Qualcosa si ruppe dentro di me, un fiume di emozioni che non potevo più trattenere. Iniziai a piangere, un pianto silenzioso e liberatorio. Hera mi prese la mano, e per la prima volta sentii un calore umano che non conoscevo. Passarono i giorni, e Hera mi mostrò modi diversi per affrontare il mio dolore. Mi portava dei libri da leggere, parlava con me di cose che non avevo mai considerato. A volte mi sedevo accanto a lei in silenzio, semplicemente godendo della sua presenza. Un pomeriggio, mentre ero nella mia stanza, trovai un piccolo quaderno sul mio letto. Sulla copertina c'era scritto: 'Per Aphrodite, con amore.' Lo aprii e trovai una serie di lettere scritte da Hera. In quelle pagine, mi raccontava la sua storia, di come anche lei avesse affrontato periodi bui e di come avesse trovato la forza per uscirne.Le sue parole mi diedero speranza. Cominciai a scrivere anch'io, a mettere su carta i miei pensieri e le mie paure. Ogni sera, leggevo una delle sue lettere e aggiungevo i miei pensieri accanto. Il quaderno divenne il mio rifugio, un luogo dove potevo esprimere me stessa senza paura di essere giudicata. Un giorno, mentre leggevo una delle lettere di Hera, capii che forse, dopo tutto, c'era una via d'uscita. Non immediata, non facile, ma possibile. Continuai a lottare, ma con una nuova forza dentro di me, un coraggio che non avevo mai conosciuto.Hera mi dimostrò che il dolore non doveva essere il mio unico rifugio. Mi insegnò che potevo trovare altre vie per esprimere ciò che sentivo, vie che non mi avrebbero lasciato cicatrici. Lentamente, imparai a costruire qualcosa di nuovo dentro di me, qualcosa che mi portava verso un futuro diverso.
E mentre il tempo passava, cominciai a vedere una luce alla fine del tunnel. Non ero più sola nella mia sofferenza. Grazie a Hera, avevo trovato un modo per affrontare il mio dolore e cominciare a guarire me stessa. Hera mi adottò dopo un lungo e difficile percorso. Non fu facile. Le altre assistenti e il direttore dell'orfanotrofio non erano convinti che fossi adatta a vivere in una famiglia. I miei comportamenti autolesionisti erano visti come un rischio, un problema che non volevano affrontare. Ma Hera non si arrese. Lottò per me, con un coraggio che non avevo mai visto in nessuno se non in lei. Passarono mesi di visite, colloqui, e verifiche. Ogni passo sembrava un ostacolo insormontabile, ma lei era sempre lì, a incoraggiarmi, a ricordarmi che non ero sola. Mi mostrò come affrontare il dolore in modo diverso, mi aiutò a trovare la mia voce attraverso la scrittura e il disegno. Giorno dopo giorno, cominciai a vedere una luce alla fine del tunnel.
Alla fine, Hera vinse. Mi adottò ufficialmente, e per la prima volta nella mia vita, ebbi un vero tetto sopra la testa, un posto che potevo chiamare casa. Quando varcai la soglia della sua casa, mi sembrò di entrare in un mondo nuovo. Le pareti erano decorate con colori caldi, l'aria era profumata di lavanda, e ovunque c'erano segni di una vita piena di amore e calore. Ma la sorpresa più grande fu incontrare Ares, il figlio di Hera. Ares aveva dodici anni, solo due più di me. All'inizio ero nervosa, non sapevo cosa aspettarmi da un fratellastro. Ma lui mi accolse con un sorriso caloroso e una gentilezza che non mi aspettavo.<<Benvenuta, Aphrodite.>> Disse, stringendomi in un abbraccio che mi fece sentire al sicuro. <<Non vedo l'ora di conoscerti meglio.>>
Con il tempo, Ares divenne il fratello che non avevo mai avuto. Mi difendeva a scuola, mi aiutava con i compiti, e mi insegnò a giocare a calcio, una delle sue grandi passioni. Ogni volta che mi sentivo un po' giù, lui era lì per ascoltarmi, senza giudizio. Mi faceva sentire importante, come se finalmente avessi trovato il mio posto nel mondo. Hera continuava a essere un faro di speranza e guida nella mia vita. Ogni giorno era una nuova scoperta. Il dolore non era più il mio unico rifugio. Avevo trovato un modo per vivere, per amare e per essere amata.
Guardando indietro, vedo quanto sono cambiata. Le cicatrici sul mio corpo sono ancora lì, ma non mi definiscono più. Sono segni di un passato che ho superato, grazie a Hera e Ares. Ora, quando mi guardo allo specchio, vedo una bambina forte, una bambina che ha trovato la sua famiglia.PARTE AUTORE
Vi ringrazio di cuore per aver letto il prologo della mia storia. Spero che vi abbia coinvolto e appassionato. Vi auguro una buona lettura del resto dell'opera.
STAI LEGGENDO
A PROVA DI CILIEGIA
RomanceAphrodite Smith era una semplice bambina di 10 anni che aveva perso i genitori in un incidente stradale. Fu subito rinchiusa in un orfanotrofio, dove venne maltrattata, picchiata e costretta a mangiare cibo scaduto da mesi. A causa del dolore interi...