Labbra di loto fioriscono sul tuo niveo viso,
come petali di tenero fervore,
roseo erubiscente il nucleo del tuo desiderio,
lì sopra sbocciano melliflue
al suon del tuo sorriso
quando sei lontano e penso a noi,
la nostra ricongiunzione
da embrionali anime dell'iperuranio
e corpi plasmati tra carni mortali
e passioni metafisiche.
Giungerà il nostro giorno
-eterno in un secondo-
e l'occhio mio nel tuo occhio
si fonderà nell'astrazione di una comunione
atavica e senza ancora toccarsi,
in quell'unico attimo di incredula esitazione,
collideranno i nostri baci d'immutabile
amore e tra la pelle appena sfiorata
assaporerò anche il tuo dolce cuore.
Mangerò quelle tue labbra di loto
e in esse troverò pace che mai
ho conosciuto, sazierò nel tuo
trascendentale offuscamento dei sensi
quell'implacabile vuoto di sentimenti
che mi danna, e se me lo lascerai fare
mi sfamerò pezzo per pezzo
della tua anima sensibile,
prelibata mia pietanza
più dolce del miele,
e non sarà mai atroce.
Ad ogni bacio mio rosso
scarlatto gusterò, divorerò oltre gli orli
e ti apparterrò mentre anche tu
mi assaporerai, impetuoso mi avrai
trangugiata, delicato lacerandomi le insicurezze;
mi farai a pezzi nel più amorevole dei modi.
Il nostro mangiarsi a vicenda,
la perfetta collisione della nostra
febbrile frenesia, saranno la nostra anima
-stessa essenza e mai
scabra, mera concupiscenza-
a consumarci dall'interno
per diventare un unico corpo.
Nelle tue labbra di loto mi lascerò andare
a briglie sciolte, il frutto tra i tuoi
sericei petali, ipnotico e narcotico
il nostro sfiorarsi e il tumulto
che mischia le nostre viscere.
Ci ciberemo dei nostri osculi
e delle nostre labbra, obliando il ritorno
alle nostre forme artificiali,
alle nostre precedenti vite.
Mai più ci lasceremo, avidi tra miele
e psichedeliche ebrezze,
rinnegherò il mio passato, dimenticherò
di aver avuto una casa lontano da te,
dalla tua fine bocca isola di lotofagi,
e così da nessun'altra parte
vorrò andare senza di te;
solo a te torna la metà
della nostra anima.
