Edward entrò puntuale come un orologio svizzero nella classe di letteratura inglese.
Il professore era già seduto sulla sieda dietro la cattedra, il capo chino su uno dei suoi libri di poesia preferito, gli occhiali a scivolargli sul naso, il mento a scavare nel palmo della sua mano alla ricerca di un appoggio per poter sorreggere il capo calvo e lucido, l'altra mano intenta a gesticolare; non degnava i propri alunni di nessuno sguardo aspettando che la campanella di inizio lezioni suonasse, stava intonando – e sì, anche cantando – alcuni versi di qualche importate opera letteraria.
Molti allievi lo guardavano con occhi stralunati, altri schifati e altri ancora straniti da tale personaggio, ma lo stesso non si poteva dire di Edward, no, proprio no, Edward adorava, amava e stimava al centodieci per cento quel professore.
L'uomo non era di certo pazzo, no, era solo affascinato ed appassionato a tutto ciò che la letteratura poteva donargli.
Amava anche il suo lavoro, insegnare per lui era tutto, beh, forse non proprio tutto: prima dell'insegnamento venivano, come dargli torto, la letteratura, i più importanti letterati e la sua famiglia, sì, l'ordine era giusto, o forse no, dipendeva da come si alzava la mattina, se sentendo il leggero russare della moglie, se ascoltando i borbottii sommessi dei figli che si preparavano per andare a scuola o se intonando qualche verso di uno di quei capolavori, come lui continuava a definire, che tanto amava.
Era italiano, si era trasferito lì qualche anno prima, cosa ci facesse lì, a Doncaster, per Edward rimaneva ancora un mistero.
L'Italia era bella, non ci era mai stato, ma dai racconti che l'insegnate narrava doveva davvero esserlo.
Egli era abituato ad insegnare agli alunni italiani il grande capolavoro della Divina Commedia, Dante ed il suo amore platonico – Edward aveva scoperto infine che tale non era e, sospirando, si era detto che se Dante ci era riuscito, attraversando la Selva Oscura, l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, anche lui ce l'avrebbe fatta – per Beatrice, Petrarca e il suo amore per Laura e molte altre poesie che la mattina in classe, proprio come in quel momento stava facendo, intonava.
Edward, che amava andare a scuola e che grazie a quell'insegnate amava anche la letteratura, si sentì fortunato ad avere un insegnante italiano che spiegava loro non solo la letteratura inglese, ma anche quella inglese,
dando così ai suoi alunni una più ampia cultura sulla sua materia.
Edward amava la letteratura, era la sua materia preferita e, insomma ammettiamolo, aveva avuto davvero una grande botta di culo – e non era una battuta – a ritrovarsi quell'uomo dietro la cattedra e non uno stupido e buzzurro nano che pensava solo a guadagnarsi lo stipendio senza realmente trasmettere loro qualcosa, proprio come gli era capitato gli anni scorsi.
L'uomo ed i ragazzi – okay, molti di loro non lo avevano considerato più di tanto quando lo aveva chiesto – si erano accordati che almeno una volta a settimana avrebbero "chiacchierato" sulla letteratura italiana.
Edward ne era più che entusiasta!
Si erano messi di comune accordo che, il lunedì, il tema sarebbe stato proprio quello: Letteratura italiana.
Ed era proprio lunedì.
Edward era appena tornato dal week-end più bello di tutta la sua vita e pensò che iniziare la scuola così fosse bellissimo.
Edward amava la letteratura, uhm, ci avrebbe fatto su qualche pensiero.
Era lunedì ed Edward si era seduto in prima fila proprio davanti alla cattedra in modo tale da poter seguire.
Aveva appoggiato lo zaino di uno scolorito azzurro sul banco e da esso aveva poi tirato fuori l'astuccio, estraendo evidenziatore, matita e gomma, il diario e una piccola versione della Divina Commedia – rigorosamente in italiano – che si era procurato in vista di ogni lunedì mattina.
Gli allievi avevano più volte affermato con arroganza o chiesto con insistenza e confusione il motivo della scelta del professore di leggere l'opera in lingua originale e lui sorridendo e senza scomporsi minimamente aveva affermato qualcosa come "Perché leggerla nella vostra lingua così storpiando la sua bellezza? Le opere in lingua originale sono sempre le migliori perché tali sono state scritte e tali rimangono. Non sempre un termine o una frase ha lo stesso significato da una lingua all'altra e traducendola svanisce tutta la magia del racconto, non è più La Divina Commedia, come in questo caso, ragazzi, ma sarà qualcosa come la brutta copia di essa! Certo, ci sono persone che sono riuscite a tradurla il più simile possibile, ma non sarà mai la stessa. Per esempio... prendete Shakespeare, quanto belle sono le sue opere? Io le ho lette in italiano, ma ho avuto anche la possibilità di leggerle in lingua originale e ammettiamolo, il fascino sta tutto nel come l'autore l'ha scritte e pensate! Questa è la mia teoria, poi possiamo guardare il lato pratico: in italiano, come in inglese d'altronde, esistono i dialetti e molte cose sono già difficili da interpretare per un italiano medio, immaginate dover leggere e parafrasare ogni verso dalla lingua volgare all'italiano che oggi esiste, non è semplice, perché già lì esistono versioni diverse, ora prendete queste opere e traducetele in tutt'altra lingua! Significa stravolgere tutto! Non è semplice per niente fare questo lavoro. E poi ammettiamolo, sono i grandi delle diverse letterature che tutti noi conosciamo, nessuno è migliore di loro!"
E così tutta la classe aveva rinunciato, non si erano procurati, come Eddie aveva fatto, una versione italiana dell'opera, beh, a dirla tutta nemmeno nella loro lingua, anche solo per seguire un minimo.
Ma comunque c'era il signor Wilson che traduceva per loro alla bene meglio buona parte del racconto; egli interpretava i personaggi, imitava i loro stati d'animo, narrava il racconto con enfasi, si immedesimava nei protagonisti e tutto sembrava così reale: il dolore straziante e l'amore puro, tutto veniva così raccontato bene da poterlo sentire sulla propria pelle.
Ed Edward amava quando la gente leggeva per lui libri, quando la madre gli raccontava da piccolo le favole ed ora, a quasi diciassette anni, adorava sentire quelle parole fuoriuscire dalle labbra del professore e prendere una reale piega.
Quindi impaziente aspettava che il professore iniziasse ad andare avanti con il racconto.
Il professor Wilson era tipico iniziare un discorso e portarlo a termine dopo averne iniziati altri dieci, quindi Edward sapeva già che avrebbe perso il filo di uno dei tanti discorsi, proprio come in quel momento, non si era accorto che l'insegnate aveva già iniziato la lezione.
O almeno, se ne era accorto, ma si era distratto quasi subito, troppo intento a cercare di prendere appunti su quello o su quell'altro, appuntava termini che il professore scriveva alla lavagna, con la matita traduceva i versi che più lo affascinavano o semplicemente iniziava a farsi i suoi soliti viaggi mentali.
"Caro, Styles!" lo aveva destato il professore dai suoi pensieri.
Eddie aveva captato qualcosa dell'argomento del giorno, ma non aveva ben compreso se ciò che il professore avesse appena detto fosse un suo pensiero o se fosse quello di Dante.
Così velocemente pensò a quello che il signor Wilson aveva detto.
"Penso..." Eddie non ricordava bene se aveva parlato in prima persona, ma tanto doveva solo riordinare le idee per una possibile domanda.
"... che l'amore sia un qualcosa di silenzioso, di talmente tanto personale da non poterlo urlare ai quattro venti, forse non sarebbe nemmeno giusto dirlo alla persona che ami, perché è una cosa tutta tua, che solo tu concepisci. E' logico che amare qualcuno significa volerlo sperimentare, viverlo e... beh sì, diciamo anche praticarlo, dire a tutti quello che ti succede dentro, come ti senti leggero, le così dette "farfalle nello stomaco", ma ognuno vive il suo amore per una persona in modi diversi. E, se ci pensate, lo so, sono ripetitivo, questo vi porta alla conclusione che è una cosa personale, di noi stessi che nessuno può concepire, forse solo la persona che vi ricambia, o forse nemmeno lei! Ad esempio, io amo mia moglie, mi manca perché è da un mese che non la vedo, vive in Italia, ma tutti i giorni ci chiamiamo e sentire la sua voce è qualcosa di così... bello! Ma neanche! Perché è indescrivibile! E' qualcosa che va oltre i concetti umani, è qualcosa di talmente astratto da divenire concreto nell'esatto istante in cui ti accorgi di provarlo, e l'unica cosa che vuoi fare è viverlo, perché non c'è cosa migliore, tutto il resto diventa futile! Ma voi, ragionateci sopra, ragazzi, il vostro amore, volete viverlo con la persona che amate, mica volete sperperarlo donandolo a chi non conoscete perché "voglio urlare al mondo intero che ti amo!", no! L'amore è qualcosa di privato, vuoi donare tutto te stesso solo ed unicamente alla persona per cui provi tali sentimenti!"
Edward, ripensando al discorso appena tenuto dal signor Wilson pensava che fosse un po' contrastante, insomma, aveva appena spiegato che l'amore è una cosa che si deve tenere per se stessi e lui aveva appena proclamato ad una classe di quasi trenta studenti di amare sua moglie!
Ma dopo tutto era il professor Wilson, queste cose erano da lui, se le sarebbe dovute aspettare.
"Allora, amico mio, Edward, tu cosa mi dici, sei innamorato, si?" E, okay, si aspettava qualsiasi domanda, ma non una del genere.
Edward non era tipo da diventare rosso per l'imbarazzo, non arrossiva mai, o nel caso succedeva doveva essergli stato posto un quesito davvero imbarazzante, come in quel momento.
William.
Era tutto a quello che stava pensando.
Gli piaceva da ormai un anno e qualche mese.
Okay, gli piaceva da un anno, due mesi, tre giorni, cinque ore e... e poi aveva perso il conto di minuti, secondi e nano secondi o microsecondi, insomma, non siate pignoli, a lui interessava la letteratura, mica la fisica!
Pensava a come rispondere, riflettendo su tutto, il prof di fronte a lui lo osservava con un sorriso amichevole in modo da incoraggiarlo, mentre cercava anche di captare qualche segnale che gli affermasse la sua teoria.
"E' un segreto, non dovrei dirglielo, insomma, lo ha appena affermato lei stesso!" e bravo Styles, ti sei parato per bene il culo – e no, nemmeno questa era una battuta – pensò.
"Touché." rispose sorridendo tornando poi a spiegare da dove derivasse il termine appena nominato.
"Ma dai, qualcuno ha profanato il tuo culo, Styles?" Grimshaw, e chi altri.
Nicholas Grimshaw, anni venti, bocciato enne volte, ripetente del terzo anno da altrettanti enne volte, era il solito rompi coglioni omofobi del cazzo – Uffa, un po' di autoironia ragazzi, sono solo pessime battute, ridete! - che si divertiva a passare le giornate a fare squallidi scherzetti da bambini a qualsiasi persona gli girasse.
Edward pensava anche avesse in camera sua le foto di praticamente tutti gli alunni della scuola e che, giocando a freccette, scegliesse così la persona da torturare.
Sfortuna volle che quel giorno fosse capitato proprio Eddie.
"Nessuno, Nick, ma lo stesso non penso si possa dire del tuo." Edward era rimasto sconcertato dalle sue stesse parole, non aveva mai dato conto alle battutine di quello stronzo, non gli dava credito, era stupido rispondere alle sue provocazioni, ma per Dio! Che soddisfazione vedere quella faccia da cazzo – okay, forse Edward avrebbe fatto bene ad iniziare a smettere di fare ironia su tutto ciò che centrasse con i cazzi – sconvolta, inorridita ed incazzata dalle sue parole!
"Tu, lurido figlio di putt..." ma ahimé non era riuscito a completare la frase, perché il buon Wilson aveva assistito a tutto senza dire una parola, così "Oh Grimshaw, stia zitto ed incassi il colpo per una volta buona, sto facendo lezione e la sua voce, simile al nitrire di un cavallo, la sta offendendo!" e forse il prof non si riferiva solo alla sua lezione, ma anche alla dolce ed intoccabile Anne.
Edward sorrise vittorioso mentre sistemava tutta la sua roba nello zaino dato che la campanella era appena suonata.
Schivando i suoi compagni uscì dall'aula senza neanche salutarli, non aveva fatto amicizia perché "J, sono troppo noiosi!".
Si diresse nell'aula tre dove lo aspettavano due ore consecutive di matematica, materia che odiava profondamente e poi di certo "la nana con gli occhiali" non aiutava di certo ad alimentare la sua passione sfegatata per quella noiosissima materia!
Quella donna non sapeva spiegare, aveva uno strano accento americano, il che la diceva già lunga, balbettava ad ogni vocale e marcava fin troppo la "S" ogniqualvolta lo richiamava.
Era alta – o per meglio dire, bassa – poco più di un metro e quarantacinque, Edward non era tanto alto , forse un metro e sessanta, la professoressa doveva sempre alzare lo sguardo verso l'alto per guardarlo negli occhi.
Non aveva proprio voglia di ascoltare quella sottospecie di topo, così, dopo essersi seduto all'ultimo banco infondo a sinistra, vicino alle grande finestra, tirò fuori dalla tasca il suo cellulare.
Cliccò sull'applicazione dei messaggi, aprì una nuova chat e si bloccò ad osservare la rubrica.
Caso volle - si certo Edward, diamo la colpa al Destino – che si ritrovasse sotto la "W" e che il nome di William spiccasse come un faro su uno scoglio circondato da un mare in tempesta.
Gli venne in mente uno stupidissimo pensiero, uno da film americani, uno da ragazzina alle prime armi con la sua prima cotta.
Che poi ammettiamolo, Edward era alle prime armi, era un ragazzino ed era preso dal suo primo grande amore, etero, ma questi erano solo piccoli ed insignificanti – si, certo, come no – dettagli.
Continuava a ripetersi che sì, poteva inviargli uno stupido messaggio, no?
Oh, fanculo!
[10:31 a.m.] "Giorno, disturbo?"
La risposta arrivò quasi subito, non lasciò nemmeno che il cellulare finisse di vibrare che aprì subito il messaggio.
[10:40 a.m.] "Edward? E' successo qualcosa? Gemma sta meglio? No, per niente! Stavo preparando la colazione per me e Max :)"
E, cazzo, quella era una dannatissima faccina sorridente!
Edward si guardò intorno per vedere se qualcuno lo stesse fissando nel suo momento di crisi.
E quel tono da fidanzato preoccupato? Oddio!
[10:43 a.m.] "No, tutto a posto, mi annoiavo. Che mangiate di buono? Gemma sta benone, a proposito, grazie ancora! ;)"
Oddio, ma tutta quell'audacia Edward da dove usciva?
Oh andiamo! Una faccina che fa l'occhiolino!
[10:51 a.m.] "Ti annoi? Ma non sei a scuola? Cioccolata calda per Max e te rigorosamente inglese per me! Hahah Oh, ancora? Ma figurati, a proposito, quando volete venire tu e Gemma siete i benvenuti! Così ho anche un pretesto per sbattere fuori di casa mia madre! xD"
Edward non si stava appuntando che a William piaceva "rigorosamente" il te inglese, davvero, no!
Il ragazzo sorrise euforico, lo stava invitando, ancora, a casa sua! Aw!
[10:56 a,m,] "Sì, ho due ore di matematica, ma la odio quindi non la calcolo, e no, William, non era una battuta! Certo, perché no! Grazie!"
[11:04 a.m.] "Eddie, non ti facevo così trasgressivo hahahah Comunque, i cugini James mi hanno chiesto di invitarti a prendere una birra questo sabato in un pub irlandese sotto casa loro, ci saresti? Se vuoi puoi portare un tuo amico, più siamo e meglio è! Ovvio, tu ti prenderai una Coca-Cola hahah"
Appuntamento! No, okay, adesso non esageriamo, quello non era per niente un appuntamento, ma lo stava pur sempre invitando ad uscire!
Avrebbe chiesto a J, sulla strada di ritorno da scuola, di venire con lui.
Sbagliava o William stava flertando con lui?
Rideva, metteva faccine, lo invitava ad uscire e faceva anche battutine!
Oh, il cuore di Edward non sarebbe sopravvissuto alla mattinata, non sarebbe nemmeno riuscito a dire addio a J!
[11:10 a.m.] "Certo! Mi piacerebbe moltissimo, magari mi fai assaggiare poi un sorso di birra dalla tua, così almeno non possiamo dire che io l'abbia realmente bevuta! Hahah!"
Oddio, bere dallo stesso bicchiere, faceva così tanto da... fidanzatini, i quali non erano.
Sì, Edward sapeva sempre come auto demolirsi.
[11:13 a.m.] "Okay, allora li avverto! ;) Ti mando poi io un messaggio con scritto l'ora e dove ci troviamo, così andiamo insieme visto che non sai dove abitano!"
Inspirava, espirava, inspirava ed espirava.
Il suo povero e giovane cuoricino sarebbe scoppiato se William avrebbe continuato ad essere così William.
[11:15 a.m.] "D'accordo! :) Ringraziali per l'invito!"
[11: 23 a.m.] "Certo, sarà fatto! Ma ora torna a prestare attenzione alla lezione di matematica piccolo trasgressivo! Ci sentiamo più tardi! :)"
[11:25 a.m.] "Peccato sia finita da un po'! Hahah ciao :)"
Adesso aveva anche un soprannome!
Non era dei più teneri o amorevoli, ma era il suo.
E, poi, si sarebbero sentiti più tardi!
William, in piedi nella cucina di casa Tomlinson, stava cambiando nella rubrica del cellulare il nome con cui aveva salvato il ragazzo, da "Edward Styles" a "Piccolo Trasgressivo".
[11:34 a.m.] "All'uscita da scuola io e te parliamo."
[11:41 a.m.] "Perché, di solito cosa facciamo, giochiamo a poker con le vecchiette del pullman?"
[11:45 a.m.] "Idiota."
"Mi ha praticamente friendszonato, capisci?" aveva esclamato dopo un po' Edward in direzione del suo compagno di scuola, non si erano nemmeno salutati che il riccio aveva subito iniziato a raccontare tutto il week-end appena passato.
Compagni di scuola, sì, perché di classe non lo erano, per loro sfortuna.
Edward e J, come adorava chiamarlo Eddie, si erano conosciuti al primo anno di liceo, il preside aveva richiesto alle matricole di recarsi nella grande palestra della scuola per presentarsi e per illustrare ai nuovi allievi tutta la scuola e i corsi extrascolastici.
Erano seduti vicini nella navata centrale, Edward continuava a borbottare tra sé e sé squallide battute sull'uomo vestito con giacca e cravatta quando J era inevitabilmente scoppiato a ridere catturando così l'attenzione del ragazzo.
Si erano sorrisi ed avevano così iniziato a chiacchierare continuando a prendere per il culo lo strano accento americano - di grazie erano in Inghilterra! - del preside.
Quando poi l'assemblea era finita e si stavano per lasciare per recarsi ognuno nelle proprie aule si erano ovviamente scambiati i numeri di telefono con la promessa di risentirsi nell'arco della giornata.
La loro era una semplice amicizia tra compagni di scuola, non erano migliori amici, - anche se J era l'unico amico che Edward aveva – nessuno dei due si era confidato su chissà quali intimi argomenti, ma ovviamente si raccontavano di tutto.
Edward aveva comunque messo al corrente il ragazzo sul suo orientamento sessuale per non finire in un secondo momento in disaccordo, e poi lui era l'unico – oltre a sua madre – a sapere della sua cotta per William.
Edward adorava Jawaad.
Jawaad era un ragazzo semplice, era nato il 12 gennaio del millenovecentonovantotto, aveva tre bellissime sorelle, di nove, dodici e quattordici anni, dai lineamenti dolci e asiatici, la madre, una seducente donna di trentotto anni, era un'infermiera di nome Patricia, mentre il padre, Yaser Malik, era un semplice impiegato cinquantenne, viveva in Pakistan, paese natale dell'intera famiglia Malik, dove lavorava.
Jawaad aiutava la madre in casa con le faccende domestiche, accompagnava la mattina le sorelle a scuola.
Nel tempo libero, quelle poche ore che riusciva a ritagliare solo per sé stesso dopo aver aiutato le sorelle con i compiti, disegnava.
Amava l'arte, per lui essa era aria, puro ossigeno con cui condividere la propria vita, la sua esistenza, riusciva a crearsi dei suoi spazi immaginari dove potersi rifugiare, dove poter esprimere tutto sé stesso, senza essere giudicato.
Dipingeva, ritraeva volti e paesaggi, i suoi quaderni di scuola erano colmi di bozzetti, le sue mani sempre sporche di carboncino ed i suoi abiti macchiati di vernice.
Il suo portapenne gremitava di matite, pastelli e pennelli.
Le pareti della sua cameretta erano ricoperte di fogli disegnati, quadri da lui dipinti, non c'erano poster, e le mensole delle libreria straboccavano di fumetti della Marvel.
Avrebbe sempre voluto poter andare ad una scuola di belle arti, ma i suoi genitori, con i bassi stipendi che avevano, non se lo potevano permettere, per questo motivo Jawaad sperava di riuscire a vincere la borsa di studio con i suoi alti voti per una delle scuole d'arte più importante dell'Inghilterra.
C'era solo una bellissima pecca, i suoi pensieri non erano occupati solo ed esclusivamente dall'arte, ma anche da Louise Edwards, soggetto preferito di Jawaad, i bozzetti raffiguravano quasi sempre la ragazza, il suo volto, le che cammina, lei con la divisa scolastica, lei con gli occhiali, lei con la treccia, lei, lei e solo lei, beh non solo lei.
"Povero piccolo cespuglio." lo prese in giro il ragazzo più grande prendendo sotto braccio il capo dell'altro e strofinando con la mano destra la cute dei riccio facendolo così lamentare.
"Si si, ridi pure di me, intanto William ed io parliamo, al contrario di qualcuno." Edward sapeva sempre come rigirare il coltello nella piaga. Piccolo stronzetto.
"Senti, ci sto lavorando su, okay?"
"Quindi tu con 'ci sto lavorando su' intendi dire che una delle ragazze più carine della scuola non sa nemmeno della tua esistenza?" gli fece notare il riccio.
"Sarai bastardo eh!" risero entrambi prendendosi a gomitate i fianchi.
"Oh oh! Ma guarda un po' chi c'è!" esclamò Eddie facendo cenno con il capo a J alla destra del ragazzo.
Proprio in quel momento stava passando poco vicino a loro la ragazza per la quale Jawaad stravedeva, indossava la divisa scolastica, la gonna a balze dondolava leggere ad ogni passo della ragazza, i capelli... oh cazzo!
Jawaad spalancò comicamente gli occhi, i bellissimi cappelli della ragazza non erano più lunghi fino alla vita come prima, ma le contornavano il viso pallido – molto pallido se messo a confronto con la pelle mulatta del ragazzo –, le ricadevano sulla piccole spalle.
E cazzo!, non erano più biondi, erano... lilla!
Edward guardava a scena divertito da tutto, se Jawaad si fosse girato verso di lui lo avrebbe forse trovato per terra, le mani sulla pancia, le lacrime agli occhi e la risata che risuonava in tutto il cortile della scuola mentre si rotolava per terra.
Jawaad continuava a fissare la ragazza che giratasi verso di lui gli sorride spensierata mentre fissa il suo sguardo in quello di lui, gli fa un cenno con il capo che lui ricambia prontamente con un gesto pacchiano della mano – okay, ammettiamolo, la stava muovendo convulsamente-.
Convulsamente le sue mani tremano, la voglia irrefrenabile, di ritrarla anche così, con quel nuovo taglio di capelli, è semplicemente fantastica; Jawaad sta semplicemente sudando freddo, il suo perfetto ed alto ciuffo che tutte le mattine si sistema con maniacale attenzione potrebbe afflosciarsi sulla sua alta fronte.
Ed Edward ride.
Jawaad non capisce quanto tempo sia passato dall'esatto momento in cui lui e Louise si sono fissati e salutati, resta comunque il fatto che lo stanno ancora facendo, anche se sia lui che la ragazza stanno camminando in direzioni opposti, voltano i loro capi l'uno verso l'altro per non perdersi, danno anche le spalle al loro gruppo di amici pur di non perdersi, ma poi tutto finisce peché una ragazza richiama l'attenzione di Louise su di lei e questa si gira.
La osserva ancora, giusto per imprimersi meglio nella testa ogni singolo dettagli di quello che è successo cosicché possa ritrarre il loro primo saluto appena arrivato a casa.
Ed Edward, che osserva ancora tutta la scena si chiede se Jawaad sia un po' come Dante – okay, forse molto più bello -.
Dante scrisse di Beatrice, descrisse cosa lui provava quando la vedeva, quando la osservava rivolgere il saluto alle persone e così facevo un po' Jawaad, lui la osservava e la ritraeva in azioni abituali, proprio come faceva il poeta.
Uno con le parole, l'altro con dei semplici tratti.
Uno scriveva, l'altro dipingeva.
"Jawaad." lo richiamò il ragazzo, gli schioccò le dita davanti agli occhi e questi si risvegliò da un bellissimo sogno.
J prese per il braccio l'altro ragazzo e lo trascinò, letteralmente, fino al garage di casa sua, alzò la saracinesca ed accese le luci, che lampeggiarono per qualche secondo.
"Che... ci facciamo qui?" chiese confuso Edward.
Okay che sarebbe dovuto andare a casa del moro, ma non nel suo garage.
"Devo..." iniziò a spiegarsi il pakistano, ma non concluse, troppo impegnato a tirare fuori da dietro un grande armadio in legno una tela enorme da dipingere.
La prese, la sistemò sul treppiedi in legno vecchio e sporco di vernice secca, prese dei pennelli, dalle più svariate misure, le tempere e sistemò il tutto su uno sgabello, anche questo in legno e sporco di vernice, ne prese un altro, molto più altro in confronto all'altro e ci si sedette sopra, poi si voltò semplicemente verso Edward osservandolo con sguardo critico.
"Che c'è?" chiese timidamente, lo sguardo a vagare per il monolocale e le grandi mani, non adatte ad un ragazzo di soli diciassette anni, nei jeans.
"Non ho mai dipinto davanti a qualcuno." asserì l'altro.
"Ehm... okay, se ti dà tanto fastidio vado a casa..." propose titubante.
"No, ti ho invitato e quindi resterai, sarebbe da maleducati chiederti di andartene e io non sono maleducato." decise.
"No, non lo sei." confermò.
"Quindi che si fa?" riprese parola Edward, ma Jawaad non lo considerò più di tanto.
"Ti infastidisce se dipingo? Intanto se vuoi puoi raccontarmi del tuo dannatissimo etero preferito."
"Potrei offendermi, ma no, non mi reca alcun disturbo." sorrise.
"Bene, quindi? Eravamo arrivati alla parte in cui ti friendszona." sorrise J girandosi verso lo sgabello più basso, scelse un pennello dalla punta fine e lo intinse poco nell'acqua per poi prendere un po' di colore nero ed iniziare a dipingere il sinuoso corpo della fanciulla.
"Alora, sì, okay..." balbettò un poco mentre con lo sguardo trovò uno sgabello in ferro, ci si sedette sopra ed iniziò semplicemente a raccontare tutto, gesticolava con le mani, rideva e sorrideva da solo, l'altro ragazzo, ovviamente in ascolto ed attento, era preso dal suo nuovo dipinto.
"Verrai con me?" chiese dopo quasi un'ora e mezza di parlantina Edward.
"Dove scusa? Non vedi che sono occupato ora come ora?" le sopracciglia aggrottate, gli occhi disi sulla tela e le mani che si muovevano con destrezza.
"Ma non ora, coglione! Ma mi hai ascoltato?"
"Certo, forse ho solo tralasciato la parte in cui continuavi a descrivere quanto era dolce e tenero William con suo figlio Max, anzi no, ho ascoltato anche quella parte. Ricapitolando: ti ha invitato a bere una birra... Coca-Cola, insieme a due certi cugini dal nome gemello? Erro?" sorrise compiaciuto il mulatto un po' perché sapeva di aver fatto centro con il discorso e un po' perché il dipinto gli stava riuscendo bene.
"Non erri, quindi? Verrai con me?"
"Se proprio devo..." spostò per qualche secondo lo sguardo sul ragazzo alla sua destra per poi ridere leggermente alla faccia stralunata e sgomenta dell'altro.
"Certo che devi!" risoluto, bravo Edward!
"Uhm... okay, ma solo se mi compri un pacchetto di Twix domani alle macchinette della scuola." gli fece un occhiolino e tornò a sfumare i corti capelli lilla della Louise del suo dipinto.
"E va bene! Ti sta venendo davvero bene, complimenti!" esclamò stupito Eddie.
Jawaad sorrise, quella tela gliela aveva regalata suo padre qualche anno prima, i suoi genitori non navigavano nell'oro e aveva così deciso di tenere quell'enorme tela per dipingere un evento per lui importante, e quale miglior evento se non quello del saluto della sua non sua Louise, o Beatrice?
[19:31 p.m.] Buona sera! I cugini James mi hanno detto che ci vedremo all'Irish Pub sotto casa loro per le 9:30 p.m. di sabato prossimo, ci mettiamo poi d'accordo per andare insieme, buona cena. William. xx
Eh beeeeeh...? qua ci starebbe bene un Pio La Lavatrice, ma sono Elisabetta quindi dovete accontentarvi hahahah come state donzelle? Siete impegnate con gli esami di maturità? Finita la scuola? Spero che il capitolo vi piaccia, votate e commentate! :)
Elisaku.
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Doncaster Fire × LarryWilliardStylinson
FanfictionAggiornamenti Random Trama 1: William Tomlinson ha ventitré anni e un figlio di tre, la sua ragazza, Eleanor, è morta a diciassette anni di parto. Da tre anni passa la sua vita a portare e a riprendere il figlio Max dall'asilo e a crogiolarsi per la...