23. Confessare

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23. Confessare



Sulla strada verso casa Amelia ascoltò, senza davvero concentrarsi, il chiacchiericcio degli altri sull'argomento del giorno: la festa di Halloween prevista per quel fine settimana. L'organizzazione aveva richiesto la collaborazione di tutto il comitato degli studenti, ma il risultato prometteva di essere soddisfacente proprio com'era stato per la festa al lago.
La palestra, che avrebbe ospitato l'evento, per l'occasione sarebbe stata agghindata di tutto punto. Ci avrebbero lavorato quel Venerdì in modo da avere tutto pronto per il Sabato sera.
Miriam, tra tutte, pareva non riuscire a contenere l'entusiasmo: era certa, da quanto aveva potuto capire Amelia, che un misterioso spasimante che frequentava il primo anno di Università l'avrebbe accompagnata.
Mina le aveva quindi fatto notare che, al di fuori di studenti, professori ed eventuali supervisori scelti tra i genitori che si erano offerti volontari, l'evento non era aperto al pubblico. L'altra aveva scrollato le spalle con fare indifferente.
Anche i ragazzi sembravano divertiti all'idea della festa: Luke, James e Daniel camminavano poco più avanti di loro, intenti a parlottare e darsi gomitate e pacche bonarie sulle spalle.
Anita, proprio accanto ad Amelia, sospirò: «Non cresceranno mai», rivolta a nessuno in particolare. Dalle occhiatine che James, di tanto in tanto, lanciava alle sue spalle, era chiaro che stesse cercando il coraggio di invitare proprio lei quella sera, ma che non lo aveva ancora trovato.
Per quanto si sentisse entusiasta e coinvolta, come ogni volta, dagli eventi scolastici, Amelia in quel momento non riusciva proprio a concentrarsi.
A occupare i suoi pensieri erano gli occhi di Heric, glaciali eppure incandescenti, che l'avevano trafitta come stalattiti in fiamme solo qualche ora prima.
E, ovviamente, il sussurro di Nick all'orecchio, una vaga promessa che, forse, avrebbe potuto suonare anche come una sfida: "Stasera, guarda la finestra".
Mina notò la sua aria assorta e le si accostò, sfiorandola appena col gomito: «Vuoi parlarne?».
«Non saprei che dire».
«Quale dei due?»
«Entrambi» ammise Amelia.
Le sopracciglia ramate dell'amica si arcuarono sulla fronte ampia: «Devi smetterla di far ruotare la tua vita attorno ai fratelli Hunt» le disse, in un sussurro.
«Lo so».
In quel momento Daniel rallentò il passo, voltandosi appena, per aspettarle.
«C'è qualcuno che non aspetta altro» aggiunse Mina, indicandolo con un cenno del capo.



Concentrarsi sul capitolo da studiare non fu semplice. Ad ogni rumore proveniente dall'esterno gli occhi di Amelia schizzavano forsennati sulla finestra e lei si sporgeva oltre la scrivania per scrutare fuori, cercando Nick con lo sguardo.
Certo, sapeva bene, come aveva ripetuto più volte a sé stessa, che c'erano più probabilità che l'avesse presa in giro che avesse realmente intenzione di incontrarla e parlarle, quella sera. Il suo avrebbe potuto essere solo un modo per liberarsi di lei senza che facesse storie.
Eppure qualcosa, nel modo in cui i suoi occhi si erano incupiti quando gli aveva detto di "sapere dei soldi", la spingeva a credere che, invece, si sarebbe fatto vivo.
Conosceva Nick, per quanto provasse a nascondersi e trincerarsi dietro muri così diversi da quelli di Heric, e poteva ancora percepire quando era ad un passo dal punto di rottura.
Anche se il ragazzo che aveva fatto ritorno dopo lunghi anni era cambiato dall'amico d'infanzia che era stato il centro del suo mondo, Amelia era ancora in grado di leggergli dentro, scrutando attraverso le crepe di una corazza che iniziava a vacillare.
Stava rimettendo in ordine i libri quando qualcosa lampeggiò sulla parete dietro la testiera del letto.
Per un attimo rimase paralizzata a scrutare la carta da parati glicine per cercare di capire se fosse stata solo la sua immaginazione o fosse accaduto davvero. Il fascio di luce tornò a illuminare il ferro battuto e i cuscini.
Amelia si avvicinò alla finestra, incerta, per poi sporgersi a scrutare la casa di fronte alla sua: Nick, in piedi in camera sua, le fece cenno di scendere e le indicò il bosco alle spalle di casa, prima di sparire oltre le tende.
Con lo stomaco in subbuglio si avviò verso le scale e, giunta di sotto, sedette sulla panca dell'ingresso per infilare gli stivaletti.
«Esci?»
Suo padre fece capolino dalla cucina: un grembiule attorno ai fianchi, un mestolo sporco di sugo tra le mani.
«Stai sgocciolando ovunque» la voce di sua madre, al contempo esasperata e divertita, giunse dall'interno.
«Torno presto» assicurò Amelia all'uomo, afferrando il giubbetto.
«La cena è tra un'ora» le ricordò lui.
«Non farò tardi» gli promise, imboccando la porta.
L'aria gelida della sera la colpì come una secchiata d'acqua ghiacciata dritta sul viso.
Il clima mite dell'autunno stava ormai lasciando il posto all'inverno e con qualche settimana di anticipo sulle previsioni.
Il sole era calato e il bosco aveva un'aria fiabesca e spettrale al contempo con quelle sfumature grigiastre e le fronde altissime che si incrociavano laddove la vista faticava ad arrivare.
C'era qualcosa che la stava tormentando, una sorta di sesto senso che pareva volerla mettere in guardia: come il sentore, il preludio, di una verità spiacevole che stava per abbattersi su di lei.
Amelia non avrebbe saputo spiegarlo, ma sentiva che qualsiasi cosa Nick le avesse detto, quell'ombra oscura che pareva calata su tutti loro non sarebbe svanita.
Gli stivaletti schizzarono terriccio bagnato ovunque quando attutirono il salto che aveva fatto per scavalcare la staccionata. Amelia si strinse il bavero del giubbotto al viso e si addentrò tra gli alberi, seguendo l'istinto più che la memoria.
La piccola torcia che teneva puntata di fronte a sé divenne ben presto inutile, quando il fitto del bosco spazzò via ogni riverbero di luce rimasto.
«Nick» lo chiamò, facendo volare via qualche uccello nascosto chissà dove.
Ferma tra i tronchi ricoperti di muschio, Amelia cercò di guardarsi intorno e scorgere qualcosa. Il dubbio che, di nuovo, avesse voluto prenderla in giro le saettò in mente.
Non di spaventarla, questo sarebbe stato impossibile: anche lui sapeva che il bosco non le aveva mai fatto paura, nemmeno da bambina, nemmeno in piena notte.
Era lei quella ad essere rimasta calma quando, appena dodicenni, vi si erano attardati fin dopo il tramonto, contravvenendo alle regole imposte dai genitori, e avevano perso l'orientamento. Quando Heric li aveva trovati, lei stava tremando a causa del freddo, Nick della paura.
«Stiamo bene» aveva esordito Amelia di fronte allo sguardo gelido ma sollevato del maggiore degli Hunt.
«Questa volta» aveva ribattuto lui, stizzito, afferrandoli entrambi per un gomito.
«Devi smetterla di seguirla ovunque» aveva aggiunto, serio, rivolto al fratello.
«Non l'ho costretto» si era intromessa lei, strattonando il braccio dalla sua presa.
Heric si era voltato a guardarla, glaciale: «Come se ce ne fosse bisogno».
In quel momento, quel giorno, Amelia non aveva dato peso alle parole di Heric, non ne aveva colto il significato. A ripensarci in quel momento, quando i ricordi erano tornati a galla a causa della similarità della situazione, avevano un sapore diverso. Come nascondessero un significato che a lei ancora sfuggiva.
«Non ti fa paura nemmeno adesso, scommetto».
La voce di Nick fece scattare la testa di Amelia nella sua direzione.
«Non potevi aspettarmi?»
Lui emerse dagli alberi sulla sinistra, senza degnarla di una risposta.
La felpa che indossava era abbottonata fino al mento e teneva le mani in tasca.
«Dovevi mettere un giubbino».
Nick fece roteare gli occhi al cielo buio, poggiandosi con le spalle contro una corteccia.
«Quando sei diventata così noiosa?»
Amelia decise di non raccogliere la provocazione, consapevole del fatto che non avrebbe ottenuto niente da lui a quel modo. Si limitò, così, a sospirare e raggiungerlo. Si poggiò anche lei contro l'albero e, sebbene non riuscisse a vederlo, poté avvertire il suo gomito che le sfiorava il braccio.
Vicini, eppure lontanissimi: era quella la realtà. Perché Nick l'aveva tagliata fuori, l'aveva respinta in ogni modo possibile, sotto qualsiasi veste o forma.
«Allora?» Le uscì con più impazienza di quanto non avesse voluto.
«Allora voglio sapere una cosa» fece lui, scostandosi dall'albero per piantarsi di fronte a lei.
Nella penombra i suoi occhi verdi parevano laghi trasparenti pronti ad annegarla.
«Chi ti ha detto dei soldi?»
Il tono si era fatto tagliente, intriso di una rabbia a stento trattenuta.
«Che importanza ha?»
Nick si chinò per guardarla bene in faccia, le sopracciglia color cenere aggrottate sulla fronte, la mascella tesa: «Dimmi chi» ripeté, quasi in un sussurro.
«È solo per questo sei venuto, che mi hai chiesto di aspettarti, stasera?»
Lui sbuffò: «Dacci un taglio, Amelia».
«Un taglio? A cosa dovrei dare un taglio, Nick? Alla nostra amicizia? Lo hai già fatto tu in modo piuttosto netto, mi pare» sbottò lei.
«Eppure continui a intrometterti nella mia vita».
«E non ho intenzione di smettere!»
Se fino a quel momento, per quanto infastidito, lui era rimasto pacato e scostante, adesso qualcosa parve agitarsi nel profondo e rimescolare i suoi sentimenti.
«Pensi davvero che le cose possano tornare come una volta?»
«Pensi che io potrei essere lo stesso ragazzino di un tempo?»
«Pensi che le tue favole, il tuo ottimismo possano proteggerci dalla merda della vita?»
Il suo tono si era alzato ad ogni interrogativo tanto da far rimbombare la sua voce sul fianco della montagna.
C'erano furia e disperazione nel suo sguardo, ma anche un dolore bruciante che agognava di essere lasciato libero di fluire.
«Penso che non sei solo» gli sussurrò, ignorando l'espressione minacciosa con cui si era chinato su di lei. «Penso che ti resterò vicino, che tu lo voglia o no» aggiunse.
Amelia gli afferrò il viso, liscio e privo di barba, dalla pelle rovente: «Penso che devi lasciarti aiutare».
Nick vacillò sotto il suo tocco, per un momento i suoi occhi si chiusero e lei seppe a cosa stava pensando. Dove stava andando.
Quel bosco aveva il potere di trascinarli indietro, di farli sentire, anche per pochi istanti, di nuovo bambini. Di nuovo spensierati, di nuovo inconsapevoli del dolore e delle difficoltà della vita. Soprattutto quando erano insieme.
Quando riaprì gli occhi, Amelia si accorse che qualcosa, in lui, era cambiato.
C'era una stanchezza nuova, un'esasperazione diversa dalla solita insofferenza che di solito li abitava.
Le gambe gli cedettero, lentamente, come un palloncino che, poco a poco, era stato svuotato dell'aria. Si lasciò cadere sul terreno, il suo viso sfuggì alle mani di Amelia.
Lei lo guardò sedere a testa china, le spalle basse, le mani abbandonate in grembo.
Gli sedette accanto, così vicino da sentire il suo respiro spezzato dalle lacrime che cercava di trattenere.
Gli prese una mano, intrecciando le loro dita, stringendo con forza per dar man forte alle parole che gli aveva detto solo pochi istanti prima: "non sei solo".
«Ho perso la fede di mamma».
Lapidario, distrutto, inconsolabile: il suo tono parve giungere dai meandri di un luogo oscuro.
Amelia tacque, mentre il cuore iniziava a martellarle nel petto: cosa significava? Non si azzardò a chiederlo, doveva lasciare che fosse lui ad aprirsi, a lasciarla entrare.
«Quando siamo tornati è stato peggio di quando siamo partiti» mormorò Nick.
Questo lo capiva, lo capiva benissimo. Per lui tornare doveva essere stato doloroso e terribile. Qui aveva i ricordi più felici di anni privi di angosce, sofferenze e perdite. Di una famiglia serena, con tutti i suoi componenti ancora in vita.
«Sono rimasto fuori tutto il giorno, non volevo vedere, non volevo sentire quell'odore... non volevo ricordare».
Amelia si strinse a lui e si arrischiò a sollevare la mano libera a sfiorargli la schiena, all'altezza del cuore, che sentì pulsare incontrollato contro la stoffa della felpa.
«Sono finito in alcuni bar, ho bevuto, poi altri bar, altro alcol».
La sera in cui Heric ed Emma erano stati a casa sua, quella prima sera dal loro ritorno, Nick era fuggito, fuggito dal dolore o, almeno, ci aveva provato.
«Lei l'ha data a me, voleva che l'avessi io» continuò. «Così aveva detto Heric» aggiunse.
Amelia faticò un momento a seguirlo, ma comprese che stava parlando di nuovo della fede.
«La tenevo in un cassetto, ma quel giorno per qualche motivo assurdo la infilai nella catenina» spiegò.
Lei capì che si riferiva alla collana che portava al collo.
«Non ero del tutto lucido, ero furioso, mi sentivo... schiacciato».
«Come l'hai persa, Nick?»
Lui sollevò per la prima volta lo sguardo su di lei, gli occhi erano inondati di lacrime che ancora non si concedevano di straripare sulle guance: «L'ho scommessa».



Il peso degli occhi di lei, anche nel buio, si fece insostenibile. Doloroso quasi quanto quel macigno che gli aveva stritolato il cuore quella sera, di ormai due mesi prima.
Quando Heric aveva svolato con l'auto per imboccare il vialone familiare del loro vecchio quartiere, Nick aveva tenuto gli occhi fissi sul tappetino sotto i suoi piedi.
Non voleva vedere, non voleva sentire, non voleva respirare il calore e il senso di appartenenza a quel luogo, non senza sua madre.
Quando pensava a quanto aveva desiderato tornare e a come, adesso, la sola consapevolezza di essere lì lo faceva sentire, gli pareva di impazzire.
Heric, altrettanto serio, aveva rallentato fino ad accostare nel vialetto del garage: si era impegnato al massimo per rispondere alle domande entusiaste di Emma lungo il tragitto, ma a Nick era chiaro quanto anche lui fosse sollevato del fatto che si fosse addormentata nel seggiolino del sedile posteriore, mezz'ora prima.
Spenta l'auto, suo fratello aveva indugiato un solo istante, un attimo labile ma solenne, prima di aprire la portiera.
Nick era rimasto in macchina: gli occhi chiusi, la musica a palla nelle orecchie.
Heric non gli aveva chiesto una mano: né quando aveva preso in braccio Emma per portarla in casa, né quando aveva iniziato a scaricare gli scatoloni.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato, ma ricordava bene che era stata la vescica a costringerlo ad uscire dall'auto.
Non era entrato in casa, no: si era diretto verso il bosco, dopo aver gettato alla meglio il pupazzo rosa di Emma in uno dei pochi scatoloni rimasti in auto.
Aveva cercato di ignorare meglio che poteva il profilo di quella casa, che, un tempo, lo aveva reso immensamente felice. E che aveva anelato, quasi quanto, in quel momento, detestava.
Il bosco era cambiato, eppure, come per una strana magia, gli era sembrato proprio lo stesso.
Nick sapeva che gli sarebbe bastato chiudere gli occhi per sentire l'eco della risata di Amelia o la voce di sua madre che lo chiamava dal giardino.
Gli era parso che il fantasma di Caroline, dai lunghi capelli biondi, saettasse inafferrabile tra i tronchi.
Il cielo si era avviato verso l'imbrunire, quando si era deciso a tornare verso l'auto.
A congelarlo dov'era ci aveva pensato un vociare che proveniva dal davanti della casa.
«Di che disturbo parli?»
Quella voce, la sua voce, era stata un pugno dritto allo stomaco.
«Smettila con queste stupidaggini, per favore».
Il suo tono impacciato, così diverso da un tempo, eppure sempre pieno di brio.
«Vi aspettiamo tra un paio d'ore, d'accordo?»
Dolce, ma anche determinata.
Nick si era assicurato che Amelia fosse sparita oltre la porta d'ingresso, prima di riemergere dal bosco.
Gli era parso che il cuore potesse esplodergli nel petto, battendo forsennato fino a lacerare muscoli, ossa e carne. E si era sentito in colpa, si era ritrovato con la bile alla bocca, nauseato da sé stesso a da quella felicità assurda che il solo aver sentito la sua voce gli aveva provocato. Non meritava di essere felice, non meritava di dimenticare, non lui, non meritava nemmeno un istante di pace.
Aveva temuto quel momento, ne era stato terrorizzato.
Il momento in cui i suoi occhi avrebbero incrociato di nuovo quelli di lei, in cui la capacità di Amelia di lenire e curare le ferite, la sua forza d'animo e la sua ostinazione lo avrebbero costretto a fare i conti con chi era diventato, con cosa aveva perso.
Il momento in cui lei avrebbe scoperto la sua colpa e lo avrebbe assolto, perdonato, costringendolo a fare altrettanto, a darsi pace. Una pace che non voleva, che non meritava.
Ed era bastato quel minuscolo frammento, quell'attimo rubato in quel pomeriggio ormai finito, mentre la sera calava sulle loro case vicine, gemelle, a ricordarglielo.
Così aveva deciso: non avrebbe lasciato che lei si avvicinasse.
Non l'avrebbe lasciata entrare, mai più.
Aveva raggiunto Heric, superandolo e senza guardarlo gli aveva annunciato: «Non torno stasera».
Il fratello non aveva proferito parola, non aveva cercato di fermarlo dicendogli che Amelia li aveva invitati a cena, quella sera. Sapeva che lui aveva sentito.
Nick aveva spinto la vecchia moto fuori dal garage e maneggiato con i fili per qualche minuto. Quando, al secondo tentativo, il rombo aveva tuonato sul vialetto, un brivido gli era corso lungo la schiena.
Aveva imboccato la strada senza guardarsi indietro.
Il primo bar era ancora un ricordo chiaro, abbastanza nitido. Birra, birra e birra.
Poi c'era stato il secondo, quando aveva appena iniziato a pensare di tornare a casa.
Lo aveva raggiunto seguendo una rossa che non aveva fatto altro che fissarlo mentre cercava di riavviare il motore della moto, sul marciapiede.
«Forse non è destino che parta» gli aveva detto, sorridendo.
E lui aveva sorriso a lei: «Forse è destino che io venga con te».
Il secondo locale puzzava di fumo e urina, ma la canna che Grace, così si chiamava la rossa, gli aveva passato era riuscita a coprire il resto.
La nebbia, però, era parsa penetrargli nella mente, offuscando ricordi e pensieri.
Ciò che era accaduto, dopo, era vago.
Una sveltina nel bagno lurido degli uomini, un bicchiere offerto da qualcuno, l'invito a sedere al tavolo.
Per qualche strano motivo, ricordava che era stato certo della vittoria, nonostante non riuscisse quasi a distinguere i semi delle carte.
E poi i contanti finiti.
«O tiri fuori i soldi o te ne vai»
Il tizio basso e tarchiato era parso ridere di lui e la rabbia aveva preso a montare.
Il sudore gli aveva appiccicato la t-shirt al petto e, nel sollevare la mano per scollarla, si era ritrovato a sfiorare la catenina.
«Quella può andare» aveva detto il tipo, indicando la collana a cui era appesa la fascia dorata. «Magari ti porta fortuna» aveva aggiunto e nel locale si era sollevato un brusio di risate sguaiate.
Nick, ormai furioso, si era sfilato la catenina dal collo e l'aveva lanciata al centro del tavolo.
Il nome di suo padre, ormai sbiadito e appena visibile, aveva scintillato sotto la luce aranciata.
Così aveva perso la fede di sua madre.



Angolo autrice: ciao a tutti.

Come sempre vi chiedo di sostenere la storia con like e commenti e di consigliarla a chi ama il genere. Spero vorrete farmi sapere cosa ne pensate, un bacio.

Ariana

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 31 ⏰

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