L'inizio del ciclo...

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LASCIAMI ANDARE...

Di Andrea Mazzocchi

I miei amici l'han quasi chiamata una <<metamorfosi kafkiana>>.

Io preferisco: <<tirarsi su le maniche e darmi una mossa a tirarmi fuori da questa palude che, oramai da anni, inghiotte la mia personalità>>.



Cercando di auto-convincermi di ciò, guardavo annoiato la partita a casa di Harry, come al solito eravamo in quattro bivaccati su quel divano sgualcito a lamentarci delle cose successe durante il giorno e a bere più birra di quanto mi piacerebbe ammettere.

Non avevo voglia alcuna di starmene con loro ma la compagnia di quegli sciagurati riusciva, in chissà che modo, a liberarmi di quel tarlo, quel chiodo che mi tormenta, che mi tormenta giorno e notte. Cosa darei per non aver mai incrociato lo sguardo di quegli occhi blu color ghiaccio, freddi come i miei.

Martina aveva i capelli biondi, un fiume di seta dorato degno di un angelo inviato a tormentarmi con la sua bellezza.

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Sulla scia di questi pensieri mi preparavo per andare dallo psicologo. Ero ancora brillo dalla seria prima, mi faceva male la testa e le gambe non volevano saperne di muoversi.

Salito in macchina, con non poca fatica, alla radio davano una canzone che ballavamo sempre con Martina quando, nei giorni più felici della mia vita, stavamo insieme e lei ancora contraccambiava i miei sentimenti. Prima di lasciarmi da solo contro il mondo. Una persona che aveva promesso che avremmo affrontato qualsiasi cosa insieme.

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Mi dirigevo dallo psicologo come ogni lunedì e mercoledì, parcheggiai vicino lo studio e citofonai, cercando di placare l'ansia che, senza alcun motivo apparente, mi stringeva lo stomaco e bloccava il respiro.

Feci un fiocco al mio nodo in gola e mi decisi a salire.

Un altro citofono di una porta marrone scuro al secondo piano, mi separava da 45 minuti di tentavo di sciogliere il gomitolo di pensieri che aggroviglia la mia mente.

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Suonai ed aperta la porta mi si parò davanti lo psicologo, un omuncolo dall'aspetto simpatico, con occhiali spessi e tondi, baffi e capelli grigi che lo facevano quasi assomigliare ad Einstein. Inoltre, ogni volta che lo vedevo non potevo fare a meno di pensare a quanto mi ricordasse il mio vecchio professore di filosofia al liceo. Probabilmente non è un caso...

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<<Oggi per l'ennesima volta ho fatto quel sogno ricorrente di cui le parlo sempre>>. Cominciavano tutte le volte così le sedute, con questa mia frase pronunciata con l'espressività di chi davvero non ce la fa più.

<<Mi racconti questo sogno magari può dirci qualcosa>>. Il mio psicologo era di scuola Freudiana e credeva nella lettura dei sogni, ed io anche, almeno in parte, così cominciai il mio racconto.

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<<Mi trovavo in una strada dell'Eur, precisamente in Viale Europa, e mi dirigevo verso la basilica dei Santi Pietro e Paolo che sta alla fine della via. Salendo le scale che conducono al piazzale antecedente all'ingresso già sentivo un senso di pesantezza nel petto. Avevo lo stomaco stretto dall'ansia ma continuavo imperterrito a salire.

Di colpo notai che, in cima alla scalinata, si era radunata una folla davvero numerosa. Cosa che non fece altro che aumentare il malessere che sentivo>>.

LASCIAMI ANDAREWhere stories live. Discover now