Tutto per colpa mia

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Avevo solo 15 anni. "Mamma, posso andare alla festa di Sarah?" Chiesi per l'ennesima volta fingendo che fosse la prima. "Te l'ho già detto, quella gente non mi piace" rispose lei con la sua solita calma. La guardai nei suoi bellissimi occhi scuri. Provai a farle gli occhioni ma sapevo che quando si impuntava su una decisione era incontestabile. Sbuffai, tornando a scrutare gli spinaci nel mio piatto. 'Perché ci vanno tutti e io non posso? Non si fida di me...'
Guardai mamma e mi fulminò con lo sguardo. Voleva che finissi il mio cibo. Allora cedetti a questa guerra già persa in partenza e mandai giù le verdure in un solo boccone. Diciamo che non ero una fan. Mi sembravano così verdi, così mollicce. Mi alzai delusa per non aver convinto la regina della casa. 'A mali estremi, estremi rimedi'. Infilai qualcosa di più adatto a una festa e scrissi a Jasmine che ci sarei stata. Mi diede appuntamento in un parco vicino casa dove avremmo trovato un passaggio. Infilai gli stivali più belli che avevo e uscì dalla finestra. Camminai fino alla meta stabilita. Era tardi, la luna era coperta dalle nuvole. L'unica luce in quelle strade buie la portavano i lampioni. Non ero affatto pentita, volevo andare a quella festa. Da lontano vidi Jasmine che alzava la mano per salutarmi con il flash del telefono attivo.  Camminai più svelta e mostrai uno dei miei sorrisi migliori. Jasmine era molto bella: castana, liscia naturale, occhi marroni a mandorla e carnagione scura. Una bellezza raffinata. "Eccoti!" Disse mostrandosi euforica. Era la mia migliore amica, l'unica che avessi mai avuto. "Andiamo?" chiese. "Andiamo."
Un ragazzo con i capelli neri e gli occhi  verdi si offrì per portarmi. Era lui quello che mi avrebbe dovuto scortare fino alla villa. Guardai Jasmine di sottecchi che sghignazzava, poi con un sospiro combattuto accettai, sorridendo leggermente. Mi porse il casco e partimmo insieme ad altre 5 coppie in moto. Il vento tra i capelli mi fece sorridere. Nessuno parlò, ci godevamo tutti l'arietta estiva. Arrivammo non molto dopo a casa di Sarah: una villetta di lusso nella spiaggia di Santa Monica. La musica a tutto volume faceva venire voglia di ballare. Entrammo con il volto illuminato. Ci buttammo subito nell'angolo delle bevande insieme a Jasmine e Dan, il ragazzo che stava sentendo in questi giorni e anche quello che l'aveva portata. Il ragazzo dai capelli neri mi disse: "Bevi o sei una di quelle schizzinose?" La presi come una sfida. Buttai giù un sorso di un qualcosa dentro un bicchierino rosso. Vodka. Lui ridacchiò facendo lo stesso. Mi disse che si chiamava Syan. "Nome particolare" commentai. "Io sono Charlotte ma chiamami pure Charlie". Mandai giù un altro sorso o forse due. Poi io e Jasmine uscimmo verso la piscina in tempo per vedere un giullare di turno che si buttò dal trampolino vestito. I ragazzi intorno esultavano e quando tornò in superficie lo acclamarono clamorosamente. Mi scappò una risatina. Jasmine rimase ad occhi sbarrati e la bocca chiusa in un ghigno divertito. Non ricordo più molto di quella sera. Ballai con Syan e bevemmo un po' troppo. Sentimmo delle urla. Provenivano dal salone. Ci guardammo preoccupati e andammo a vedere. Fuoco. Una cassa per la musica aveva preso fuoco incendiando a sua volta la tenda e il tappeto. "Dobbiamo andarcene da qui!" urlò un tizio. "Vieni, veloce!" Syan stava dando di matto. Annuì e mi lasciai portare. Ero ubriaca, lo eravamo entrambi. 'Jasmine? Dove sei?" i miei occhi la cercarono senza risultato. Intanto lui mi stava già portando fuori e in men che non si dica eravamo entrambi sulla moto pronti a scappare. Fuoco. Fiamme. Urla. Ho questo impresso nella mente. 'Mamma aveva ragione.' Il rumore della moto mi intasava le orecchie. Sentivo in loop le urla dei liceali. Il mio udito perdeva colpi, mi riportava alla realtà solo il suono del panico generale per strada. Non eravamo gli unici ad essere scappati ma lo avevamo fatto per primi, eravamo più avanti degli altri. La tensione si poteva tagliare con il coltello. Il cuore del ragazzo batteva forte e solo dopo mi sono accorta che stavamo andando davvero veloci. "Rallenta" bofonchiai. "Syan..." stavo per svenire. "Rallent-" Uno schianto. Ho visto poco, mi stavano cedendo gli occhi. Ci stavamo per scontrare con un auto e abbiamo sbandato, sia noi che l'altra macchina che non voleva investirci. Un dolore atroce alla gamba e le orecchie che fischiavano. Vedevo sfocato, immagini che tentavo di mettere a fuoco. Fiamme, di nuovo. L'altro veicolo aveva preso fuoco. Giacemmo a terra inermi. Senza la forza e il coraggio di alzarci. Poi, tutto si illuminò di blu e rosso: stavano arrivando i soccorsi. Chiusi gli occhi e mi lasciai portare via. Al mio risveglio ero in ospedale. Il suono fastidioso del mio cuore su un dispositivo mi riportò alla realtà. 'Da quanto sono così?' Dopo poco arrivò un'infermiera con gli occhi che trasudavano compassione. Corse da me senza dire una parola. "Quanto ho dormito?" chiesi con voce drammatica di chi è appena uscito da una catastrofe. "Due giorni" rispose provando a sorridere. "Come ti senti?" 'male'. Non risposi. Poi i ricordi di quella sera arrivarono tutti in un colpo. "Come sta Jasmine?" domandai e lei si rabbuiò. Prese uno sgabello e lo mise accanto al mio lettino. "Tesoro... ha riportato ustioni di terzo grado preoccupanti, non si è ancora svegliata." Era rimasta lì? Io ero scappata senza di lei e l'avevo lasciata in quell'incendio? Quanto dovevo aver bevuto per fare una cosa simile? Fissai il vuoto e l'infermiera iniziò a sentirsi a disagio. Non avevo le forze nemmeno per piangere, chissà quanti anestetici mi avevano dato. Guardai il telefono con lo schermo distrutto. Per fortuna era solo il vetrino. Segnava più o meno mezzogiorno. Poi guardai con gli occhi lucidi la lunga fila di messaggi e chiamate sia da mamma che da papà. Mi guardai intorno mentre una lacrima mi scendeva dagli occhi: luci accecanti, gamba ingessata... mamma aveva ragione. "Mia madre è passata a trovarmi ieri?" lei ci pensò un secondo e rispose. "Non so..." in modo incerto. Annuì lentamente mentre altre lacrime scendevano senza che io riuscissi a fermarle. Poi, l'infermiera uscì, facendo entrare altri dottori. Mi parlavano ma io ero in un altro pianeta. Mi sentivo così sola. Era tutta colpa mia... non avrei più disobbedito a mamma. Intanto i dottori fecero quello che dovevano fare mentre io piangevo in silenzio. "Voglio vedere mamma" tutti si fermarono per un'istante. Poi uno disse: "L'autista dell'altro veicolo non è sopravvissuto." Mi stavo spazientendo, gridai: "Ho detto che voglio vedere mamma!" tutti mi guardarono, provavano pena per me. "Charlotte... l'autista era tua madre" Il mio cuore si fermò. 'Era... lei era...' Intuirono cosa stessi pensando: "Ti stava cercando, voleva raggiungerti da quello che sappiamo." Rimasi paralizzata. "Ce lo ha detto tuo padre". Fui sollevata considerando che non era in macchina anche lui. Non trattenni il pianto. Singhiozzai mentre continuavano a scendere fiumi di lacrime. Era morta. Il nostro rapporto era la cosa migliore della terra, lei portava una luce tutta sua che purtroppo non è riuscita a tramandarmi. E ora io sono costretta a vivere senza ciò che mi rendeva viva. Tutto per colpa mia.

SET FIRE TO THE RAINDove le storie prendono vita. Scoprilo ora