Prologo

2 1 0
                                    

Camille

«Lille, quando scendi porta giù la mia borsa nera;quella da lavoro.»

«La prendo subito papà!.»

***

Quel giorno, lo ricordo molto bene. Troppo bene per il tipo di giorno che fù. Allora pensavo fosse una banale questione lavorativa di mio padre e nulla di più. Faceva spesso questo tipo di uscite e,formali o informali che fossero, io ero costantemente al suo fianco. Penso mi portasse con sé solo per far compassione hai suoi clienti: quando sei il gioielliere più affermato di Parigi, e possiedi una clientela che và dalla nobiltà alla borghesia, i più astuti cercano sempre di contrattare per i prezzi. Ma con me davanti, non ci riuscivano mai.

Ero così euforica quella mattina che mi ero svegliata molto presto, tanto che avevo visto il sole fare capolino, e da che era nascosto, lo vidi entrare in scena con un rosa aranciato che mi emozionava. Amavo l'aurora, in generale amavo il sole; sentivo che mi rispecchiava, non solo perchè ero sempre contenta, ma anche perchè dentro di me percepivo una luce del tutto singolare che riscaldava ogni mio pensiero e ogni mio gesto.

***

Uscì di casa con papà: abitavamo in piena città in una vietta ne troppo mal concia ne troppo privilegiata. Tutte le mattine venivano a bussare alla porta delle donne, talvolta in stato interessante o gravemente malate, per chiedere qualche soldo, giusto per sfamarsi. Non eravamo così ricchi da poter regalare denaro a mezza Francia, ma quando potevamo davamo giusto una moneta per chi era quasi al limite.

«Bonjour monsieur Lebón. Destination?»

«Versailles, merci.»

Papà mi aiutò a salire sulla carrozza verde pistacchio che si era fermata davanti casa mia. Dopodiché salì anche lui e chiuse in fretta la portiera poichè una piccola folla ci aveva accerchiati, avendo visto il mezzo lussuoso su cui stavamo, per buttarci addosso il loro disprezzo verso i nobili. Io non ero nobile, ed ero ancora troppo bambina per capire certi problemi sociali.

***

Non ho mai sofferto di mal carrozza, ma durante il viaggio, dentro di me iniziarono a germogliare dei sospetti poco tranquilli su quel giorno. Stavamo andando a Versailles e non al Petit Trianon, il che era alquanto insolito per noi.

Arrivati davanti alla reggia, il mio cuore fece un tuffo pericoloso nel mio petto. Iniziò a battere a una velocità estremamente alta alla sola vista di quel cancello dorato che si era aperto dinnanzi a noi. Dio, era una visione assurda. Sognavo di viverci; di essere una principessa, di danzare in quelle enormi sale dorate, e di specchiarmi in tutti i grandi specchi posti in giro per la reggia.

***

Scendemmo dalla carrozza, papà venne perquisito per primo e io subito dopo di lui. Entrammo senza problemi e seguiamo, come da istruzione, un uomo in una divisa buffa, che ci fece strada verso gli appartamenti reali.

«Aspettami qui è non muoverti. Risolvo un imbroglio e possiamo tornare in carrozza.»

«Certo padre. Io rimarrò qui.»

«Ti voglio bene Lille.»

«Anche io papà»

Fù l'ultima volta che parlai con lui. Perchè dopo aver atteso solo mezz'ora circa; lui, seguito da due guardie, venne trascinato di peso fuori dalla porta bianca dell'ufficio del re.

«Ti dichiaro colpevole di tradimento nei confronti della corona e quindi della Francia: verrai ghigliottinato domani pomeriggio alle tre in punto nella piazza centrale. I tuoi beni sono confiscati e come da contratto tua figlia lavorerà come serva qui a vita per ripagere il tuo debito, sotto ordine della regina. Questo è tutto.»

E mentre mio padre attraversava, sorretto per le braccia e con le gambe molli, quel lungo tappeto rosso verso l'uscita, io venni scortata con forza nelle cucine della reggia. La guardia mi lanciò con forza sul pavimento legnoso della stanza; mi obbligò a slegare i capelli, che erano raccolti ordinatamente in due trecce, mi lanciò in faccia un grembiule e mi lasciò lì.

***

Piansi molto, piansi tutta la notte in quella cucina, piansi tutte le lacrime che avevo.

Anche se non erano morti, sapevo che non avrei mai più rivisto né mio padre, né mia madre, né tanto meno i miei adorati fratelli: quel gigante di Vincent, la mia dolce Anna e il piccolo Jul.

Sapevo che il mio incubo era solo iniziato.

Fino all'ultima parolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora