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"VERSO LA FIGURA DI MERDA E OLTRE!"

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Siete pront* per un po' di fiki-fiki?

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Aspetto Lela con lo stesso stato d'animo di un bambino che attende l'arrivo di Babbo Natale.

Ho decisamente bisogno di darmi un contegno, per cui mi siedo sul divano con in mano un libro, di cui per ora mi sono limitato a fissare la copertina.

Non ho potuto perdere tempo nemmeno nel sistemare casa, perché sono così dannatamente ordinato e pulito che la mia stessa prevenzione non mi ha dato nemmeno il lusso di distrarmi così, ora che ne ho più bisogno.

Guardo l'orologio: ancora venti minuti.

Sospiro, deciso a leggere sul serio, sperando di staccarmi dal mondo quel tanto che basta per ritornarci quando lei suonerà il campanello.

Dopo il primo paragrafo ho già sollevato lo sguardo verso l'orologio.

Una parte di me si rimprovera di essere così banale. Dov'è finita tutta la sicurezza in me stesso di quando ho salutato Elisa?

Niente da fare, getto "Blaze" sul cuscino e mi alzo.

Afferro il mio pacchetto di Camel e mi affaccio sul terrazzo di casa.

Quando ero giovane, alla fermata dell'autobus vigeva questa regola, secondo la quale nel momento stesso in cui qualcuno si accendeva una sigaretta, da lontano si vedeva il muso giallo del pullman.

Non importava se fosse in ritardo o in anticipo, la regola della sigaretta non falliva mai.

Così, con i gomiti appoggiati alla ringhiera, aspiro avido, nella speranza di vederla arrivare.

Tendo le spalle quando sento lo scalpiccio sul ghiaino di una macchina che si avvicina.

È lei.

Ora calmati, Enzo. Hai trenta fottuti anni. Datti una regolata.

La vedo scendere dalla macchina, una flebile, piccola figura accarezzata dalla luce dei lampioni.

Recupera una bottiglia dal sedile posteriore e chiude la portiera. Non guarda in alto, non si accorge di me. La vedo tirare fuori il cellulare e io approfitto ancora qualche secondo per guardarla.

È avvolta da un'enorme sciarpa di lana e il suo respiro si condensa in piccole nuvolette bianche.

Il mio telefono vibra e so che è lei.

"Hei, sei arrivata?" le rispondo entrando in casa.

"Sì, sono qui sotto"

Raggiungo il citofono e premo il tasto che apre il portone principale.

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"Franciacorta?"

"Sì, era nella cantina di mio padre. Ti piace?"

Come glielo dico che non ci capisco un cazzo di vini?

"Ehm... sì, certo. Non serviva, comunque"

"Figurati! Allora, hai ordinato il sushi?" mi chiede con occhi sognanti.

"Sì, dovrebbe arrivare a breve"

L'aiuto a disfarsi del giubotto, più precisamente del suo fagotto.

Sto per farle fare un breve giro della casa quando la vedo paralizzata, con una mano sulla bocca.

"Sono tutti tuoi?"

"Cos... ah, i libri. Sì, certo"

Osserva incantata la mia libreria che, modestamente, occupa quasi l'intera parete della sala.

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