Il ragazzo della foresta

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Le gocce di pioggia battevano insistentemente sul terreno, come lacrime che bucano la pelle.

Fredde si posarono sul corpo del giovane, incendiandolo di emozioni, era vivo e se ne rendeva conto solo in quel momento.

I suoi occhi specchiavano distese di verde e marrone, contornate di indaco misto al grigio; creando una tavolozza di colori stupenda.

Come se un pittore avesse freneticamente mescolato dei colori troppo distanti fra di loro, ma che comunque si amalgamavano nella più perfetta delle miscele, strana, insolita e forse anche un po' triste. Ma tutto così caoticamente calmo e perfetto da inebriare i sensi, la pelle, i capelli, che mossi dal vento facevano vibrare la nuca del ragazzo formando un leggero solletico.

Respirò a pieni polmoni godendosi l'umido, l'odore della pioggia autunnale, delle foglie e della corteccia che si libravano nell'aria.

Dai suoi occhi iniziarono ad intravedersi piccole sfere che piano piano iniziarono a scendere fino a staccarsi e volteggiare fino al terreno, calde e umide si mescolarono alla fredda pioggia.

Provava finalmente qualcosa; emozioni inebriarono la sua mente e cervello, trasmettendo così, piccole e incessanti scariche elettriche alle dita.

Era triste, felice e malinconico; il vuoto nel suo stomaco si dissipò per un istante, come se fosse di nuovo vivo, le incessanti immagini gli provocavano un senso di pace così strano per la sua mente che non era neanche sicuro di riuscire a provare.

Scosso com'era decise di sedersi in mezzo all'erba un po' ingiallita. La sfiorò delicatamente con il palmo della mano, staccandone un filo, per poi rigirarlo tra le dita.
Freddo, solo e ingiallito; esattamente come si sentiva il giovane.

Se a guardare fosse stato un'occhio poco attento avrebbe mancato di notare che nonostante le sue imperfezioni di statura e colore, l'erba continuava a resistere e ad amare la pioggia che nonostante il suo essere incessante e soffocante era un po' la sua medicina.
Tutto ciò gli attraversò la mente, e nonostante non ne trovasse il reale motivo, si trovò ad esserne felice, facendo così sollevare un lembo delle sue labbra carnose, riflettendo su quanto ironicamente disturbata fosse la loro relazione.

Iniziò a calare anche il buio, facendo affiorare l'ultimo spicchio di luna calante, luminoso che fiero anche se piccolo inondava il cielo.

Mille pensieri affiorarono all'interno della sua mente:
Chi era? Perché una semplice giornata di pioggia gli aveva fatto provare tutto ciò che non aveva mai provato prima? Perché non era capace di provare tutto questo normalmente?

Solitamente si sentiva come una boccia trasparente che sul fondo aveva un piccolo buco, invisibile agli occhi di tutti.
Quando questa boccia provava ad essere riempita inspiegabilmente non succedeva; destinato così ad essere qualcosa di inspiegabilmente rotto; anche se in fondo il motivo c'era.
E ora stanco si accingeva a vivere una vita a metà, rotta; visibilmente distorta.
Da un'immagine che forse non era più neanche quella inspiegabilmente rotta, ma solo un miscuglio di scale di grigi che formavano una tonalità troppo scura per essere riconosciuta davvero.

Voleva essere una piccolo dente di leone che danzava e volteggiava nel cielo blu, trascinato dalla melodia del vento; invece si ritrovava ed essere solo un filo d'erba soffocato dall'acqua, un'ombra che viveva da lontano la sua vita.

Si girò di scatto all'indietro, qualcuno aveva appena poggiato la mano sulla sua spalla, tenendo un ombrello troppo colorato che aleggiava sulla testa.

Una ragazza poco più grande di lui, con i capelli castani arruffati e profondi occhi color giada si era materializzata accanto alla sagoma scarna del ragazzo era accovacciata, non curante di bagnarsi, solo per riuscire a coprire lui.

Profumava di sogni e delicatezza, non volendo essere brusco per non rovinare la sua bellezza, avido di quella semplicità, il ragazzo si limitò a guardarla con gli occhi sgranati.
Lei senza dire nulla si sedette vicino a lui poggiando la testa sulla sua spalla.
Sembrava capire solo da come lui le toccava il polso; tutto ciò che voleva dirle.

Parole non dette, emozioni finalmente provate incendiarono quei piccoli tocchi, che suggellarono un patto mai scritto o pronunciato che come un macigno si era fatto spazio nella vita del ragazzo dai grandi occhi color foresta e dai capelli rossi come il fuoco scoppiettante che arde durante una notte innevata.

La ragazza aveva capito tutto, era troppo furba, sapeva riconoscere fin troppo bene quelle cose che attanagliavano anche lei.

I sospiri, gli occhi e i gesti erano sotto gli occhi di tutti, ma nessuno andava oltre la cortina di fumo che avvolge ogni essere umano.

I due si guardarono negli occhi, si sorrisero. Forse il sorriso più bello che potessero farsi, irradiato ancor di più da boccioli di rugiada cristallina che uscivano dai loro visi.

Tristezza e gioia si mischiarono sulla tavolozza del medesimo pittore, che dipingendo l'ennesimo paesaggio, scrisse l'amaro destino, tanto agognato dal ragazzo che voleva diventare foresta.

La ragazza di giada piegò la bocca sulla guancia di lui, gli diede un piccolo bacio, con la delicatezza di un bimbo che dorme e in un sussurro confessò che gli sarebbe mancato; le disse come parole proibite e in un sussulto si smaterializzò come nel nulla.

Il ragazzo si alzò e diventò padrone di Crono.
Lo catturò in un baleno, saltando nel nulla e poi lo moltiplicò, dilatandolo in una moltitudine di scintille gialle, scoppiettanti e lucenti.

Si dice che chi si ferma è perduto;
e lui lo fece, fermando Crono
per l'eternità,
diventando
il ragazzo della foresta.

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