[115] mia luce d'un mattino di marzo

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Simone faticava da anni a trovare un motivo valido per non disprezzare il giorno del suo compleanno; ci aveva provato con i regali incartati con colori accesi, con le torte scelte accuratamente per mostrare a tutti i suoi amichetti le sue passioni, con i baci della sua mamma e le carezze della sua nonna, con le giornate piene di sole che avevano sempre illuminato quel trenta marzo.
Ma per un motivo o per un altro Simone era sempre finito in lacrime il giorno del suo compleanno.

In un video di quando lui e Jacopo compivano un anno aveva avuto modo di vedere –solo due anni prima– che i loro genitori avevano spento tutte le luci prima di soffiare le candeline ed appena era sceso il buio, Simone aveva pianto.

A due anni Jacopo aveva messo la sua mano sporca di erba e terra nel pezzo di torta che Simone stava mangiando con gusto, prendendo l'intero pezzo tra le sue dita sporche e buttandolo a terra ridendo, e Simone aveva pianto.

A tre anni i gemelli correvano inseguendosi per mano intorno alle piante basse della villa, sempre in bella vista per i propri genitori; Jacopo, che stava davanti, era inciampato e s'era trascinato Simone dietro, facendolo cadere sulle ginocchia, con le mani sull'erba che gli facevano male per l'impatto, e Simone aveva pianto.

A quattro anni pioveva e Jacopo non era accanto a lui per spegnere le candeline: da quasi un anno ormai non colorava più le sue giornate, non sentiva più la sua voce, non si trovava sporco di terra per colpa delle sue mani pasticcione; gli mancava suo fratello, e gli sarebbe mancato per il resto della vita e, prima di dimenticarsi per un po' di lui, Simone aveva pianto.

A cinque anni Dante non si era presentato alla sua festa, e Simone aveva pianto.

A sei anni la sua mamma era stata triste tutto il giorno, e pensando fosse per colpa sua, Simone aveva pianto.

A sette anni sua nonna non aveva potuto essere presente alla sua festa, e Simone aveva pianto.

A otto anni un altro bambino aveva soffiato sulle sue candeline al suo posto, per fargli un dispetto innocente, e Simone aveva pianto.

A nove anni il diario di Simone recitava: "Caro diario, la festa è stata magnifica; ma alla fine Marco si è slogato una caviglia (ma non era vero), tutti hanno pensato a lui e ora sono molto infelice", con tanto di faccina triste e cuore spezzato accanto, il tutto sbavato da piccole gocce ormai asciutte, perché Simone aveva pianto.

A dieci anni Dante gli aveva regalato una console portatile con due schede di gioco che non gli piacevano per niente, e Simone aveva pianto.

A undici anni Clarissa aveva insultato la torta che sua nonna aveva preparato, decorandola con fiori edibili e colori tenui proprio come lui le aveva chiesto, e Simone aveva pianto.

A dodici anni nessuno voleva giocare con lui a mosca cieca, e Simone aveva pianto.

A tredici anni Dante e Floriana avevano fatto una foto dietro la torta con lui, poi avevano litigato ad alta voce e sua mamma aveva pianto e, con lei, Simone aveva pianto.

A quattordici anni s'era fatto più alto, con i capelli più ricci e più lunghi di quanto i suoi compagni di classe apprezzassero e poche persone erano state invitate alla sua festa, e Simone aveva pianto.

A quindici anni si era sentito solo mentre tornava in pullman a casa, e per la prima volta dopo anni aveva piovuto di nuovo. Col cielo che sembrava averlo sentito e la testa contro il finestrino, Simone aveva pianto.

A sedici anni aveva litigato per la prima volta con Laura, che gli aveva attaccato il telefono in faccia dopo venti minuti dopo lo scoccare della mezzanotte che sanciva il suo compleanno, e Simone aveva pianto.

A diciassette anni Manuel lo aveva baciato fuori scuola e Simone s'era sentito in colpa di essere così felice, in difetto per le stupide felicità di un adolescente che tanto l'avevano fatto sorridere poche ore prima; s'era sentito colpevole per Giulio che stava male e, mentre Chicca riposava sulla sua spalla e Manuel era andato via, Simone aveva pianto.

versi dispersi (socmed simuel)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora