Capitolo 1

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Sono tanti i sogni che gli uomini hanno: ricchezza, gloria, fama, incontrare Kate Moss o scoprire la ricetta della torta alla crema della nonna, perché dai, tutti amano la torta alla crema della nonna.

Tyler James, il detective Tyler James, era un uomo. E in quanto tale aveva dei sogni. Da bambino desidera essere un'astronauta, poi giocare per gli Yankees, poi il veterinario e poi, quando a diciotto anni gli era arrivata la mail di conferma di ammissione alla Columbia University, il suo sogno era fare l'avvocato.

Vent'anni dopo, il sogno del trentottenne Tyler Maxwell James, era fare colazione a base di pancake con lo sciroppo d'acero e il burro di arachidi. Un sogno apparentemente semplice, ma paradossalmente difficile da realizzare, perché da circa dieci anni, da quando si era votato alla divisa e al distintivo, il suono del telefono che squillava era ormai la sua sveglia quotidiana.

Era talmente tanto abituato a quel trillo assordante che rispondeva senza nemmeno guardare più, avendo appurato che una sola persona poteva chiamarlo tanto presto.

Per questa ragione quando rispose al telefono col solito «James» non si stupì di sentire la voce di Torres dire «Omicidio a Central Park». Per Tyler non era inusuale ricevere una telefonata del genere -erano la causa principale del perché fosse single da dopo il divorzio-, ma era inusuale il luogo in cui doveva recarsi. Era abituato a sentire la parola Omicidio seguita da indicazioni geografiche come «Union Square e Park Avenue», «Madison Square e 5th Avenue», diamine, persino «Greenwich, Connecticut» sarebbe stato più normale del cuore verde della Grande Mela.

Ma Tyler non era pagato per fare domande sulle preferenze dei luoghi di omicidio degli omicidi, ma era pagato per alzarsi, fare la doccia più veloce del mondo e scavalcare tutti gli altri newyorkesi in fila per un taxi a Chelsea e raggiungere il luogo incriminato.

Ormai era un automa, non ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva dormito almeno sei ore e gli sembrava quasi stupido aver usato tutti i soldi del suo fondo personale per arredare completamente un loft a Manhattan che ormai vedeva solo di sfuggita la sera.

Alle volte avrebbe voluto solo andare a fare la spesa come le persone normali, finire di lavorare alle sette di sera e guardare un film poliziesco, anziché farne davvero parte ed essere letteralmente diventato il migliore amico del fattorino dei ristoranti in fondo alla via di casa sua, Malcolm, un ventenne originario di Detroit che era arrivato a New York per la sua grande occasione.

Nei dieci minuti che impiegò quel giovedì mattina per raggiungere Central Park si impegnò a entrare in modalità spaventocalma, come era stato soprannominato ai tempi della scuola di addestramento, da parte di un compagno appassionato di libri fantasy. Ricorda che quando lo aveva sentito la prima volta aveva corrugato la fronte e aveva inclinato leggermente la testa, come suo solito, e ricordava ancora nitidamente quello che gli fu detto quando chiese spiegazioni su quel termine mai sentito «È quando sei talmente calmo da essere freddo, quasi glaciale. Lo fai per proteggerti, è comprensibile». All'inizio non lo aveva capito, poi quando vide il primo cadavere sul quale doveva indagare, capì da cosa si stava proteggendo.

Lo capiva ogni volta.

E lo capì di nuovo quando arrivò quella mattina sulla scena del crimine, dopo aver preso i soliti due caffè macchiati, uno alla nocciola e uno al caramello, per lui e Torres, la sua partner da ormai dieci anni.

Non l'avrebbe definita esattamente amica, però in quella città che per lui era estranea, il dipartimento di polizia era la cosa più vicina a una famiglia che avesse. E questo includeva anche Charlotte Elizabeth Torres.

Capì di essere arrivato quando iniziò a sentire l'odore di solventi chimici della scientifica, quando vide i flash della macchine fotografiche che scattavano le foto da attaccare alla lavagna del distretto, quando sentì la voce inconfondibile di Torres, della sua Torres, parlare col medico legale, Luke Riley, per chiedere se avesse scoperto qualcosa sulla causa del decesso.

Quando giunse in prossimità dei nastri rossi che servivano per separare i civili dalla scena del crimine la prima cose che vide fu il cappotto rosso della sua partner, seguito dai suoi immancabili tacchi e dai suoi capelli castano caramello con colpi di sole e acconciati, come sempre, in morbide onde che le cadevano morbide sulle spalle e con i ciuffi che le cadevano davanti gli occhi. Si chiedeva sempre come facesse vedere bene con quei capelli sul viso e perché se li legasse sempre al distretto e mai sulla scena del crimine, ma forse, riflettè Tyler, i capelli sul volto erano il modo di Charlotte di proteggersi, erano la sua modalità spaventocalma.

È difficile essere un detective della omicidi, vedere che qualcuno si era elevato a Dio per decretare le sorti del futuro di un'altra persona. Ricorda ancora che il suo primo mese, quando aveva partecipato alle ricerche di circa quattro omicidi , doveva prendere sempre dei sonniferi per dormire, perché servivano per allentare cadaveri , parenti in lacrime o vite spezzate.

Fu la voce di Luke che diceva «Non so stabilire ora la causa del decesso» che riportò Tyler alla realtà e lo ricondusse lì a Central Park. Si avvicinò a Charlotte porgendole il caffè salutandola col solito «Torres» a cui seguì il solito «James», era il loro modo di salutarsi da quando si conoscevano ormai.

Le chiese «Chi è la vittima?», come avveniva sempre. Ma quella era la giornata delle cose inusuali, perché Charlotte sembrava quasi reticente a dirglielo, come se avesse paura. Non era la solita e fredda Charlotte... sembrava quasi dispiaciuta o intimorita.

Quando, anziché rispondergli direttamente, gli disse «Vieni qui» conducendolo verso una barella dove c'era un cadavere coperto da un lenzuolo color morte -perchè no, quando sei un detective della omicidi e vedi almeno quattro cadaveri al mese, il lenzuolo con cui vengono coperti i cadaveri non è più solo bianco- e quando lo scostò per scoprire il volto dell'ennesima vita spezzata in un mondo ormai a pezzi, Tyler capì di doversi ricordare il nome del compagno che gli spiegò cosa fosse la spaventocalma. Doveva ricordarlo perché doveva ringraziarlo di avergli spiegato cosa fosse quella freddezza, perché quella volta era necessario mantenerla.

Eccome se lo era.


NDA: Ciao a tutti, io sono AD Lancaster, sì sono una dei tanti autori che usano uno pseudonimo. Mi è sempre piaciuto leggere e scrivere. So di non essere la Rowling o King, però nel mio piccolo voglio finalmente provare a condivider questa mia passione. 

A te che leggi: Grazie. Indipendentemente dal fatto che tu abbia votato o commentato, grazie anche solo per essere rimasto/rimasta a leggere fin qui. 

Ci leggiamo presto, ADL

Fino al colpo di graziaWhere stories live. Discover now