Alessandro

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3. Nessuno li guarda più i film

"Siamo i soli svegli in tutto l'universo
A gridare un po' di rabbia sopra un tetto
Che nessuno si sente così
Che nessuno li guarda più i film
I fiori nella tua camera
La mia maglia metallica"
Due vite - Marco Mengoni

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Alessandro vedeva il mondo con una lente ovattata, che gli rimandava un'immagine quasi pura e immacolata delle cose. I suoi pensieri erano spesso sconnessi, così come le parole che uscivano dalla sua bocca. Era come un bambino - che anche se cresciuto - conservava in sé il candore di un'innocenza che gli avevano strappato da troppo piccolo, e che ora era necessario rivivere nonostante non fosse più il tempo per comportamenti "infantili". Perché lui aveva dovuto imparare a crescere presto, quando da piccolo aveva dovuto fare i conti con la realtà. Si ricordava ancora quando era alto poco più di un metro e già sentiva il cuore spezzato nel vedere la donna che gli aveva dato la vita, nascondersi in bagno per piangere, perché davanti a lui non lo faceva mai. Davanti a lui appariva la persona più felice di questo pianeta e forse lo era solo per il fatto di aver avuto dalla vita in dono, un figlio come Alessandro. Quel bambino che non dava mai problemi, che nascondeva proprio come lei, tutto il dolore dietro un sorriso a 36 denti.

Quando era cresciuto non era cambiato per nulla, lui non voleva dare problemi nella sua vita, non voleva essere un peso per nessuno. E quindi non ci pensava mai alle cose che lo facevano soffrire, non pensava alle storie naufragate, alle difficoltà lavorative, alla cattiveria delle persone che vedeva solo le sue origini e il suo orientamento sessuale e sopratutto non pensava mai a suo padre - come avrebbe potuto anche solo perdere tempo nel pensare ad una persona che non c'era mai stata, in nessuno dei suoi traguardi e delle sue sconfitte.

Ogni tanto però si ritrovava a pensare a sua sorella, anche se aveva difficoltà a definirla in quel modo visto che non l'aveva mai vista, se non in foto. Si ritrovata a pensare a quanto odiasse l'idea che lei esistesse e che non l'avesse vista crescere e che se lei potesse sapere mille cose della sua vita, lui invece non poteva conoscere nulla di più di un paio di foto pubbliche sui social. Aveva imparato a convivere con questa cosa, anche se all'inizio quando aveva scoperto della sua esistenza era stato complicato, soprattutto quando si era ritrovato a urlare a pieni polmoni al telefono con suo padre, per poi da quel giorno non sentirlo più.

Tutta la delusione nei confronti di suo padre l'aveva buttata nelle canzoni, nella musica, nella voglia di urlare in faccia al mondo la sua sofferenza. Ma senza poi piangersi addosso quando non si trattava di cantare. Perché lui era così non avrebbe mai pesato i suoi pensieri sugli altri, ma in qualche modo aveva trovato il modo per buttare fuori le sue emozioni e nonostante fosse probabilmente un modo particolare per elaborare il tutto, era il suo modo. Sconnesso forse, ma rappresentava a pieno la sua vita e quello che era diventato grazie a questo.

Ogni sua mancanza era stata assopita dalla presenza di un gruppo solido e variopinto di amicizie e di parenti infiniti; che gli riempivano le giornate e anche la vita.

Ogni volta che voleva sentirsi compreso e a suo agio, bastava passare una serata con i suoi amici di sempre, per sentire di nuovo di avere un posto nel mondo. Avrebbe voluto vedersi almeno una volta nella vita nei loro occhi, e forse avrebbe capito che meritava molto più di ciò che credeva di dover avere.

Caffè al limone (contro l'hangover) - Marco Mengoni e Mahmood 🤍Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora