26.Gabriel

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Il rumore delle voci e la musica assordante riempivano l'aria intorno al capannone. Il parcheggio era già pieno di auto, e le luci dei fari illuminavano i volti di persone che sembravano non vedere l'ora di assistere allo spettacolo. Parcheggiai il più vicino possibile e scesi dall'auto. L'adrenalina iniziava già a scorrermi nelle vene.
Mi sfilai la giacca di pelle, rimanendo con una canottiera nera che aderiva perfettamente al mio corpo. Sentivo gli sguardi di alcuni spettatori su di me mentre mi avvicinavo alla folla, ma non mi importava. In quel momento c'ero solo io e il match che mi aspettava.
«Amico, sei arrivato. È il momento.» mi salutò Marcus, battendomi una mano sulla spalla. Era uno dei miei amici più fidati, sempre presente nei momenti cruciali.
«Sei carico?» mi chiese con un sorriso complice.
«Carichissimo.» risposi, lasciando che la tensione e lo stress si trasformassero in pura determinazione.
La ragazza al microfono iniziò a chiamare i nomi dei combattenti, e la folla esplose in un boato. Marcus mi lanciò un'ultima occhiata, come per incoraggiarmi, e io annuii. Scrollai le spalle, cercando di liberarmi di ogni pensiero superfluo.
Avanzai verso il ring, sentendo il pavimento sotto i miei piedi vibrare per l'entusiasmo delle persone che urlavano intorno. Tutti gli occhi erano puntati su di noi, ma non mi lasciai distrarre. Salire sul ring non era solo una questione di forza fisica, era una questione di controllo. Controllo di me stesso, delle mie emozioni, della mia vita.
Presi posto al centro del ring, sentendo il respiro della folla che sembrava trattenersi per l'inizio del combattimento. Era ora di dimostrare chi ero veramente.
Lo osservai attentamente mentre si sporgeva verso il suo angolo con un ghigno provocatorio stampato in faccia. Il mio sfidante faceva parte della gang di Denny, uno stronzo che non riusciva a mandare giù la nostra ultima sfida, quando lo avevo messo al tappeto senza troppa fatica. A quanto pare, non aveva imparato la lezione.
Indossai i guanti da boxe con calma, mantenendo lo sguardo fisso su di lui. Volevo che capisse che non mi avrebbe intimorito.
«Facciamo senza, non credi?» disse con arroganza, togliendosi i guanti e gettandoli a terra. Il suo ghigno si fece più largo, come se già si vedesse vincitore.
«Sì, hai ragione.» risposi secco, togliendomi i guanti e lanciandoli verso l'angolo del ring. Non avevo intenzione di tirarmi indietro, non con uno come lui.
Marcus si avvicinò con il nastro bianco in mano, un'espressione seria sul volto. Me lo porse senza dire nulla. Presi il nastro e iniziai ad avvolgerlo saldamente intorno ai polsi, stringendo bene per garantirmi il massimo supporto. Sentivo il materiale aderire alla pelle mentre lo annodavo sul palmo della mano, preparandomi al contatto diretto.
Mi infilai il paradenti e mi avvicinai di nuovo al centro del ring, con i miei passi pesanti sul tappeto. Lo fissai negli occhi, sentendo crescere dentro di me la tensione e l'adrenalina. Non avrei dato a quel tipo il piacere di vedermi esitare neanche per un secondo.
Lui alzò le mani, pronto a combattere. Io feci lo stesso. Non c'era bisogno di parole. La folla intorno urlava, ma nella mia testa c'era solo silenzio. Era il momento di farlo finire al tappeto.
Prima che la ragazza desse il via, il mio sguardo venne catturato da due figure che si avvicinavano all'ingresso del capannone. Strizzai gli occhi per vederle meglio. Amanda e Sofia. Cazzo!
Il mio corpo si irrigidì all'istante. Che diavolo ci facevano lì? Sofia non avrebbe mai dovuto scoprire tutto questo, e ora era lì, con lo sguardo pieno di curiosità e una chiara determinazione a scoprire la verità. Mi persi per un attimo nei suoi occhi, ma quel momento di distrazione mi costò caro. Un pugno mi colpì in pieno volto. La testa mi girò per un istante, un dolore acuto si irradiò dal naso fino alla mascella. Stringendo i denti, tornai a concentrarmi, fissando il mio avversario con una rabbia che cresceva dentro di me.Non potevo permettere che un errore simile mi facesse perdere. Feci un passo indietro per riacquistare l'equilibrio, poi contrattaccai con un destro deciso diretto al suo costato. Il colpo lo fece vacillare leggermente, ma io non mi fermai. Sfogai tutta la mia frustrazione in una serie di colpi rapidi e precisi. La folla intorno a noi urlava, ma io non sentivo niente. La mia attenzione era divisa tra il mio avversario e Sofia. Non avrei mai dovuto portarla qui, anche indirettamente. E ora mi stava guardando, probabilmente giudicandomi.
Il mio avversario tentò di colpirmi con un gancio, ma lo evitai per un soffio. Contrattaccai con un pugno al fianco, facendolo indietreggiare di qualche passo. La folla intorno a noi urlava ancora più forte, ma il mio sguardo tornava sempre a Sofia. Lei mi fissava con una miscela di shock e rabbia evidente sul volto.
Era come se il suo sguardo mi tagliasse più dei colpi che ricevevo. Ma non potevo mollare. Questo match non riguardava solo i soldi o il mio orgoglio. Era un modo per sfogare tutto ciò che mi portavo dentro, quel caos che non riuscivo mai a controllare.
Il mio avversario si lanciò di nuovo verso di me con una carica aggressiva, ma lo anticipai con un pugno sul viso. Lo sentii grugnire per il dolore mentre barcollava indietro, portandosi una mano al naso. Avanzai verso di lui, non dandomi tregua nemmeno per un secondo.
Con un ultimo colpo ben piazzato al costato, lo vidi cadere a terra. La ragazza che arbitrava si avvicinò rapidamente per contare. «Uno, due, tre...»
Lui non si rialzò. Il match era finito.
La folla esplose in urla e applausi, ma io non ascoltavo nulla. Il mio sguardo tornò subito a Sofia, che incrociò il mio per un istante prima di distogliere lo sguardo. Mentre scendevo dal ring, sudato e con il fiato corto, Marcus si avvicinò per congratularsi con me.
«Grande, amico! Hai visto come l'hai steso? Sei stato incredibile!» Non gli risposi. Presi l'asciugamano che mi porgeva, asciugandomi il viso, poi mi diressi verso Sofia e Amanda. Dovevo parlare con lei, spiegarle perché mi trovavo lì. Ma appena mi avvicinai, Sofia fece un passo indietro. Il suo sguardo era gelido, e il suo tono ancora di più quando disse: «Non dire niente. Non voglio sentire ancora le tue cazzate , Gabriel.» Non risposi subito, cercando le parole giuste. « Non è come sembra.»
«Davvero? E cosa sembra allora?? Questo è quello che fai, vero? Metti a rischio la tua vita per qualche soldo sporco e un po' di adrenalina. Bravo, Gabriel. Complimenti.»
Le sue parole mi colpirono più di qualsiasi pugno ricevuto quella sera. Ma non mi mossi, non feci nulla per fermarla quando si girò verso Amanda, pronta ad andarsene.
«Sofia, aspetta.» La afferrai delicatamente per il polso, obbligandola a fermarsi. Si girò di scatto verso di me, il viso arrossato dalla rabbia e, forse, da qualcosa di più.
«Cosa vuoi, Gabriel? Potevano ammazzarti, cazzo! Lo capisci?!» La sua voce tremava, e i suoi occhi erano lucidi. «A te può anche non fregare nulla della tua vita, ma a me sì! Mi sono spaventata a morte.»
Le sue parole mi colpirono come un pugno allo stomaco. Prima che potessi dire qualcosa, iniziò a colpirmi al petto con i pugni, non con forza, ma abbastanza da lasciarmi senza parole.
«Sei un idiota!» esclamò, continuando a colpirmi. «Un maledetto idiota che pensa di poter fare tutto da solo, fregandosene di chi gli sta intorno.» Rimasi fermo, lasciandola sfogare. Ogni suo colpo, ogni sua parola, mi facevano capire quanto fossi stato cieco. Non era solo rabbia quella che vedevo nei suoi occhi, era paura. Paura per me. Quando si fermò, ansimando, le presi le mani tra le mie, obbligandola a guardarmi. «Sofia...» sussurrai, il nodo in gola mi impediva di parlare chiaramente.
«Non dirmi niente, Gabriel.» mi interruppe, cercando di liberarsi dalla mia presa. «Non voglio sentirti dire che è tutto sotto controllo, perché non lo è.»
«Hai ragione.» Le parole uscirono prima che potessi fermarle. «Hai ragione su tutto. Ho fatto una cazzata, ok? Ma non posso smettere. Questo è l'unico modo che conosco per liberarmi di tutto ciò che ho dentro.»
Lei scosse la testa, incredula. «E pensi che questo giustifichi quello che fai? Metti a rischio la tua vita, Gabriel! Non sei invincibile.» La sua voce si incrinò sull'ultima parola, e il mio cuore si strinse. Avrei voluto dirle qualcosa, qualsiasi cosa per rassicurarla, ma sapevo che aveva ragione.
«Sofia, io...» Mi fermai, incapace di trovare le parole. Non ero bravo a esprimere quello che provavo, ma in quel momento desideravo solo che lei capisse.
«Lasciami andare, Gabriel.» La sua voce era più calma, ma il dolore era evidente.
«Non posso.» La mia risposta fu istintiva. Appena capii a cosa mi stessi riferendo mollai la presa dai suoi polsi. Cosa diavolo mi stava succedendo? Fece un passo indietro mentre si voltava e si allontanava con Amanda. Rimasi lì, immobile, guardandola sparire tra la folla. Il mio petto si strinse in una morsa dolorosa.

𝐄𝐍𝐃𝐋𝐄𝐒𝐒 || 𝐕𝐎𝐋𝐔𝐌𝐄 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora