Per Gwen sognare è sempre stato un grande problema, non riusciva a non passare una notte senza fare incubi; il suo psichiatra le aveva consigliato di tenere un quaderno su cui scriverli, in modo da poterli interpretare, "I sogni" diceva lui "I sogni sono un riflesso della nostra coscienza."
Lo psicologo non riuscì a cavarci un ragno dal buco: gli incubi di Gwen, una ragazzina di tredici anni, non avevano alcuna connessione con quello che le succedeva durante la vita di tutti i giorni e di conseguenza nessuna spiegazione, e non c'era neppure modo di fermarli questi incubi; quante sere passate a bere tisane e soluzioni calmanti, quante scenate sua madre faceva in farmacia per convincere il farmacista che quel giorno era di turno a far prendere sonniferi alla piccola, quante sedute psichiatriche con tanto di ipnosi per cercare di capirci qualcosa.
Però bisogna menzionare un fatto.
A Gwen questi incubi non disturbavano, anzi, le piacevano gli scenari spesso e volentieri catastrofici e i mostri che vedeva nei suoi incubi; sua madre non se ne sarebbe neanche accorta se Gwen non avesse fatto dei disegni raffiguranti gli incubi che faceva: dopotutto, una bambina non dovrebbe pensare a certe cose, ma alle principesse, agli unicorni, alle bambole; o, perlomeno, questo era il pensiero della madre, la quale non poteva assolutamente accettare che sua figlia fosse così diversa dalle sue coetanee.
Più gli anni passavano, più gli incubi si facevano frequenti.
Più gli anni passavano, più sembrava che non ci fosse proprio nulla da fare.
Più gli anni passavano, più Gwen si sentiva estranea a sua madre.
Più gli anni passavano, più la ragazza si appassionava al mondo del paranormale.
Però Gwen crebbe e finalmente iniziò decidere lei se preoccuparsi o meno degli incubi, cosa che non fece: li lasciò continuare, e non si preoccupò nemmeno così tanto quando si accorse che le morti che vedeva nei propri sogni successivamente si verificavano nella vita reale; anzi, utilizzò questo dono per diventare una detective nella polizia: voleva provare a salvare le vittime, ma non ci riusciva mai, però riusciva a vedere una caratteristica del colpevole che la aiutava sempre a risolvere il mistero.
Il frutto del discorso è che Gwen non passava una notte senza incubi, mai successo.
Almeno fino a quella notte.
Si era svegliata da un sonno senza alcuna apparizione di mostri, morti tragiche o scenari riguardanti la fine del mondo; si era addormentata scommettendo su quello che quella notte avrebbe visto e si era risvegliata la mattina dopo.
Il sole le illuminava la faccia magra e i capelli marroni e lunghi e gli occhi grigi, il pigiama largo e le lenzuola bianche, ed anche il suo gatto Dylan, il quale la guardava con il suo solito sguardo assonato, giudicante, saggio e comprensivo, come a dire:"Sta accadendo qualcosa di strano e pericoloso, lo sai?"
Lei ricambiò lo sguardo e disse ad alta voce:<<Sì, Dylan...>> guardò il vuoto <<Lo so.>>.
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Il mio nome è Nessuno
Mystery / ThrillerSe scruterai nell'abisso, anche l'abisso scruterà in te.