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                           Mason

E così nacque l'Amore. Cominciò a camminare per il mondo, e un giorno incontrò il Mare. Lui rimase incantato, e gli donò la sua tenacia. Incontrò l'Universo, e lui gli donò i suoi misteri. Poi incontrò il Tempo, e lui gli donò l'eternità. Infine incontrò la Morte. Era temibile, più grande del Mare, dell'Universo e del Tempo. Si preparò ad affrontarla, ma lei gli diede in dono una luce. «Che cos'è?» chiese allora l'Amore. «È la speranza» rispose la Morte. «Così io, vedendoti da lontano, saprò sempre che tu stai arrivando».

"Non tutti i veleni hanno un antidoto. Alcuni si infilano nella tua anima, ti stordiscono con il loro odore e hanno gli occhi più belli che tu abbia mai visto. E a loro non esiste cura. Nessuna.”
ERIN DOOM

Bip
Bip
Bip
Il rumore dei macchinari mi perfora le tempie. Schiudo le palpebre e la luce sopra di me mi abbaglia, aumentando le fitte alla testa.
Mi ritrovai ad aprire lentamente gli occhi, sentendo la testa pulsare dolorosamente. Il soffitto bianco sopra di me sembrava così lontano, quasi un miraggio. La stanza era tranquilla, illuminata da una tenue luce che filtrava attraverso le tende socchiuse.
Con sforzo tentai di sollevarmi, ma una leggera vertigine mi costrinse a ritornare giù sul cuscino. Il respiro affannoso riempiva la stanza silenziosa mentre lottavo per riacquistare lucidità. Alla fine, riuscii a spostarmi lentamente sul fianco, poggiando una mano alla fronte nel tentativo di lenire il persistente mal di testa.
Il letto scricchiolò appena sotto di me quando mi mossi. L'odore familiare del lenzuolo pulito e la leggera fragranza del sapone mi riempirono le narici. Chiusi gli occhi per un momento, cercando di raccogliere le forze prima di tentare di alzarmi di nuovo, quando alla fine ci riesco  d'improvviso la porta della stanza si spalanca di colpo e davanti a me appaiono gli occhi increduli di mireya.
“Sei sveglio!” la sua voce è incredula. Senza lasciarmi rispondere, lei corre, spalanca le braccia e mi abbraccia. Io ricambio l'abbraccio anche se ciò mi provoca delle fitte dolorose.
“Aspetta, dove Elisabeth? Sta bene? Dimmi dov'è, devo andare da lei” quando ci stacchiamo, le chiedo dove si trova lei, ma mireya fa finta di non ascoltarmi.
“Adesso vado subito ad avvisare i dottori che ti sei svegliato, tu rimani qua” ma quando lei si avvia per correre dai dottori, io la fermo, la volto verso di me e le prendo le spalle con forza.
“Mireya, dimmi dov'è Elisabeth” le dissi io con tono di autorità.
“…Non puoi andarci, devi ancora riposarti non ti sei rimesso del tut-”
“Mireya! Dimmi dove si trova!” le urlai io.
“non puoi andarci, prima rimettiti tu”
“Per favore, ti prego dimmi dove si trova”
“…Ma…Va bene, ti accompagno io” così usciamo dalla stanza e ci dirigiamo verso la camera di Elisabeth.
Mi sentivo come un automa mentre percorrevo i corridoi dell'ospedale, diretto verso la stanza di Elisabeth. Non mi ero nemmeno reso conto di quanto fossero diventati familiari quei corridoi freddi e asettici, con il loro odore pungente di disinfettante. Quando finalmente arrivai alla porta della sua stanza noto Asher che parla con un medico davanti alla sua camera. Vado da loro e sento che il medico gli sta dicendo che lei è entrata in coma e che per adesso non si poteva fare altro. Quando sono accanto a loro mi giro verso il medico.
“Per favore, ho bisogno di vederla, fatemi entrare” gli dissi io con tono di supplica.
“signore, mi scusi ma non posso farla entrare”
“La prego, devo vedere come sta, la supplico”
“Io non posso-”
“La prego!”
“…va bene, vedo che ci tieni a lei, puoi andare”
“Grazie mille” così con un grande sospiro, entrai a passo lento dentro la camera. Finalmente la vidi, distesa sul letto spoglio, intubata, l'elettrocardiogramma segnava i battiti del suo cuore, troppo lenti, quasi impercettibili. Poi, raccolsi tutto il coraggio che avevo e mi sedetti accanto al letto, mentre osservavo il suo viso pallido. Non sapevo cosa dire, era come se, alla sua vista, la gola mi si riempisse di spilli così dolorosi da non farmi parlare.
Gli afferrai la mano e la strinsi nella mia; per la prima volta nella vita ebbi davvero paura di perdere la persona a cui tenevo di più al mondo.
Mi sentivo come un automa mentre percorrevo i corridoi dell'ospedale, diretto verso la stanza di Elisabeth. Non mi ero nemmeno reso conto di quanto fossero diventati familiari quei corridoi freddi e asettici, con il loro odore pungente di disinfettante. Quando finalmente arrivai alla porta della sua stanza, presi un respiro profondo e bussai leggermente prima di entrare.
Elisabeth era distesa sul letto, pallida e fragile, con una serie di macchinari medici che monitoravano ogni suo battito, ogni respiro. Il suo volto sereno contrastava con l'angoscia che sentivo dentro di me. Mi avvicinai lentamente, cercando di non fare rumore, e mi sedetti sulla sedia accanto al suo letto.
"Elisabeth," sussurrai, prendendo una delle sue mani tra le mie.
"Sono qui. Mi dispiace tanto, mi dispiace per tutto. Non riesco a smettere di pensare a quel maledetto incidente. È tutta colpa mia."
La stanza piombò nel silenzio e il ronzio dell'elettrocardiogramma riecheggiò in modo assillante, ricordandomi che la sua vita era appesa a un sottile filo. Lanciai un'occhiata al tracciato che segnava i battiti del suo cuore: le onde erano deboli e non accennavano ad aumentare. Il petto mi si strinse in una morsa, risucchiandomi in una sofferenza mai provata finora.
“Non so se riesci a sentirmi, ma devi svegliarti”
“Hai ancora una vita davanti a te, non abbandonarci”
“Non abbandonarmi” dissi sottovoce e avvertii il cuore spezzarsi in due al pensiero di non rivederla più, di non sentirne più la sua voce, di non vederne più il sorriso.
“Avrei dovuto proteggerti come ho sempre fatto” Mi faceva male il petto.
“Perdonami” Strinsi ancora la sua mano fredda tra le mie.
“Tengo a te più che alla mia stessa vita. Resta con me” odiavo questa sensazione di impotenza.
“Questa notte resto qui con te. Non ti lascio, tu però devi svegliarti Elisabeth” mi alzai e gli posai un bacio sulla fronte.
Passai le ore successive parlandole a bassa voce, raccontandole tutto ciò che mi passava per la testa: ricordi felici, sogni per il futuro, preoccupazioni e paure. Ogni tanto le sue dita si muovevano leggermente, quasi come se mi stesse ascoltando e volesse rispondere. Continuai a parlare, sperando che la mia voce potesse raggiungerla in qualche modo.
"Quanto mi manca vedere il tuo sorriso. Non poterti aiutare fa schifo.     
Te lo ricordi il primo sguardo? La prima volta che i nostri sguardi si sono incontrati non avrei immaginato che quegli occhi sarebbero diventati i miei preferiti. Non avrei mai pensato che tu potessi rendermi così felice con la tua sola presenza. Una cosa così semplice eppure così importante. Hai un posto nel mio cuore che nessun altro potrebbe avere. Sei dappertutto tranne qui e fa male, quindi apri i tuoi occhi, avanti svegliati” sospirai e appoggiai la fronte sulle nostre mani unite.
“Se mi lasci, io non ce la faccio” ammisi con il fiato corto.
La notte avanzava lentamente, e la stanchezza cominciava a farsi sentire. Ma non mi importava. Non avevo intenzione di lasciare la sua stanza. Volevo essere lì per lei, nel caso si svegliasse e avesse bisogno di me.
All'alba, mi addormentai sulla sedia, la testa appoggiata sul bordo del letto di Elisabeth. Il suono dei macchinari e il lieve ronzio delle luci fluorescenti divennero un sottofondo costante nei miei sogni agitati.
Quando mi svegliai, vidi che Elisabeth stava cominciando a muoversi. I suoi occhi si aprirono lentamente e incontrarono i miei. Il cuore mi balzò nel petto.
In quell'esatto momento, la mia anima riprese a respirare.
"Mason..." sussurrò, la sua voce debole ma inconfondibile.
"Elisabeth! Sei sveglia!" esclamai, il sollievo e la gioia mescolati con le lacrime che mi riempivano gli occhi. "Come ti senti? Hai bisogno di qualcosa?"
Lei mi guardò per un momento, confusa. "Dove sono? Cos'è successo?"
Le spiegai tutto con calma, cercando di non sovraccaricarla con troppe informazioni. Le raccontai dell'incidente, del suo ricovero, e di come avevo passato ogni giorno sperando che si svegliasse. Lei annuì lentamente, assimilando le informazioni.
"Dove sono gli altri?" chiese infine.
"Sono qui fuori," risposi.
"Vado subito a chiamarli."
Mi alzai di scatto e corsi fuori dalla stanza, cercando i nostri amici. Li trovai nella sala d'attesa, esausti ma ansiosi di avere notizie.
"Si è svegliata!" gridai.
"Elisabeth si è svegliata!"
Mireya, Xavier, Asher ed Evelyn si alzarono in piedi di scatto, i loro volti illuminati dalla gioia e dal sollievo. Ci precipitammo tutti insieme verso la stanza di Elisabeth. Mireya fu la prima a entrare, seguita dagli altri, mentre io rimanevo un po' indietro, osservando la scena con il cuore colmo di gratitudine.
Elisabeth sorrise debolmente vedendo i suoi amici entrare, e un'ondata di emozioni attraversò la stanza. Mireya le prese una mano, singhiozzando di felicità, mentre gli altri la circondavano, esprimendo il loro sollievo e affetto.
"Grazie a tutti per essere qui," sussurrò Elisabeth, la sua voce ancora fragile ma piena di calore.
"Non ci saremmo mai mossi da qui," rispose Xavier con un sorriso.
"Siamo tutti qui per te."
Mi feci strada tra i miei amici e tornai a sedermi accanto al letto di Elisabeth. Le presi di nuovo la mano e le sorrisi.
"Siamo tutti qui per te," ripetei, stringendole la mano con dolcezza.
"E non andremo da nessuna parte.”

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