29.Sofia

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Non riuscivo a non pensare a quello che era successo la sera prima. Alex mi aveva minacciata. Me l'avrebbe fatta pagare, lo aveva detto chiaramente. Ma non mi preoccupavo per me ma per Gabriel. Se gli fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato. La paura mi stava tormentando.
«Tutto bene?» La voce di Marlene mi distolse dai miei pensieri.
«Come? Sì, sto bene.» risposi, guardandola confusa.
«Dopo colazione vai a prepararti, andiamo in centrale. Non accetto un no come risposta.» disse con fermezza.
Non cercai di oppormi, tanto sapevo che sarebbe stato inutile. Mangiai una brioche in silenzio, ma non avevo molta fame. Poi mi alzai controvoglia dallo sgabello e salii in camera. Entrai nel bagno e mi feci una doccia calda, cercando di rilassarmi. Tuttavia, appena chiudevo gli occhi, rivivevo quei momenti: le sue mani sul mio collo, la sua voce carica di rabbia. Sussultai leggermente, aprendo di nuovo gli occhi.
Dopo essermi lavata, mi asciugai e indossai un top bianco con dei jeans e una camicetta a quadri grigia, lasciandola aperta. Mi piastrai i capelli e scesi al piano di sotto, pronta ad affrontare quella giornata che, almeno in parte, mi avrebbe tenuta lontana da scuola.
«Dai, andiamo.» disse Marlene.
Uscimmo di casa, e con un tocco sul telecomando lei aprì la sua auto. Mi sistemai al posto del passeggero e mi allacciai la cintura. Sentivo un peso incredibile sul petto, una pressione che non mi lasciava in pace. Ogni volta che chiudevo gli occhi, Alex tornava nei miei pensieri, minaccioso e violento.
Mi feci coraggio. «Mar, posso chiederti una cosa?»
«Certo, tesoro. Dimmi pure.» rispose dolcemente, mentre avviava l'auto.
«Potrei andare da uno psicologo?» deglutii, cercando di controllare la voce. Non ero mai stata da uno psicologo, ma mi sembrava necessario. Non potevo vivere nel terrore.
Marlene mi guardò di sfuggita, sorpresa ma comprensiva. «Certo che sì. Conosco un mio amico, è uno psicologo bravissimo. Ti aiuterà molto volentieri. Sei davvero coraggiosa nel chiedermelo, lo sai? Gabriel non me lo aveva mai chiesto di sua spontanea volontà. Dovevo portarlo sempre con la forza.»
Quelle parole mi lasciarono paralizzata. Gabriel andava dallo psicologo?
«C-come? Gabriel ci andava?» chiesi esitante, fissandola con occhi sbarrati.
«Sì, per via di Jasmine.» disse con un tono più basso. «Non usciva mai di casa. Rimaneva in camera sua, al buio, rannicchiato nel letto.» L'immagine di Gabriel così distrutto mi spezzò il cuore. Potevo immaginare il dolore che doveva aver provato nel perdere sua sorella. Perdere qualcuno che ami non è mai facile, ma a quell'età doveva essere stato devastante. Restai in silenzio, guardando fuori dal finestrino. La città scorreva davanti a me, ma la mia mente era ferma su di lui. Forse c'era molto di Gabriel che non conoscevo, molto che lui non mostrava a nessuno. E quella consapevolezza mi lasciò con un senso di vuoto che non sapevo spiegare. Marlene continuò a guidare, mentre il silenzio si faceva sempre più pesante tra noi. Il pensiero di Gabriel chiuso in una stanza, intrappolato dal suo dolore, mi faceva venire voglia di piangere. Lui sembrava sempre così forte, quasi impenetrabile, ma quella facciata nascondeva molto più di quanto avessi mai immaginato.
«Non voleva mai parlarne con nessuno.» continuò Marlene, come se quel ricordo le facesse male tanto quanto a lui. «È stato uno dei periodi più difficili per tutta la famiglia. E anche adesso, nonostante sembri essersi ripreso, certe cose non le ha mai davvero superate.»
Annuii senza aggiungere altro. Gabriel era sempre così provocatorio, così sicuro di sé, che non avrei mai pensato potesse portarsi dietro un dolore così profondo.
«Hai fatto bene a chiedermi aiuto, Sofia. La prima volta che glielo proposi, Gabriel si arrabbiò tantissimo. Non aveva intenzione di andarci.Ma alla fine accettò, e quello psicologo lo aiutò tantissimo.» Quelle parole rimasero nella mia mente mentre Marlene parcheggiava l'auto davanti alla centrale di polizia. Mi tolsi la cintura e scesi lentamente, sentendo il peso della situazione. Avrei dovuto raccontare tutto quello che era successo con Alex, rivivere quei momenti. La sola idea mi faceva venire i brividi.
«Pronta?» mi chiese Marlene, accennandomi un sorriso rassicurante. Inspirai profondamente e annuii. Non potevo continuare a vivere nella paura. Questo era il primo passo per riprendermi la mia vita.
Appena entrammo nella centrale, un brivido di freddo mi percorse la schiena, facendomi rabbrividire. Il rumore delle voci basse e dei telefoni in sottofondo rendeva l'atmosfera ancora più tesa.
Marlene mi guidò verso un agente seduto alla sua postazione. Alzò lo sguardo appena ci vide, e il suo sguardo si fermò per un attimo sul mio collo. La sua espressione cambiò, passando dal professionale al preoccupato.
«Posso aiutarvi?» chiese con tono cortese, ma la sua voce tradiva un accenno di empatia.
Marlene annuì decisa. «Sì, vorremmo denunciare un'aggressione.» L'agente si alzò immediatamente, indicando una piccola stanza sul lato. «Venite con me. Possiamo parlare con calma lì dentro.» Lo seguii, sentendo gli occhi dei pochi presenti puntati su di noi. Appena ci sedemmo, l'agente prese un blocco di appunti e un registratore, pronto ad ascoltare.
«Puoi raccontarmi cosa è successo?» mi chiese con voce gentile, cercando di mettere a suo agio.
Guardai Marlene, che mi diede un piccolo cenno d'incoraggiamento. Inspirai di nuovo, cercando di mantenere la calma. Non era facile rivivere quei momenti, ma sapevo che parlare era l'unico modo per iniziare a liberarmi di questo peso.
«È successo ieri sera.» iniziai, la voce tremante, mentre le immagini di ciò che avevo vissuto mi si ripresentavano nella mente. «Ero a casa mia, stavo per addormentarmi quando Alex , il mio ex ragazzo mi chiede di scendere giù in giardino, era entrato dal retro.Abbiamo litigato, e lui... lui è diventato violento.» L'agente annuì lentamente, evitando di interrompermi. Marlene posò una mano leggera sulla mia spalla, silenziosa ma presente.
«Mi ha afferrata per il collo... ha iniziato a stringere. Non riuscivo a respirare.» Mi passai una mano nervosa sulla gola, quasi sentissi ancora la sua stretta. L'agente abbassò lo sguardo sul mio collo, osservando attentamente i segni visibili. «Hai avuto bisogno di assistenza medica?» chiese, mentre annotava qualcosa sul blocco.
«No, non sono andata in ospedale.» risposi con un filo di voce.
«Hai testimoni? Qualcuno che possa confermare l'accaduto?»
«Sì...in giardino dovrebbero esserci delle videocamere di sicurezza.» si intromise Marlene. L'agente annuì di nuovo, scrivendo. «Okay, prenderemo una tua dichiarazione completa. Dopodiché, dovrai firmare un modulo per procedere con la denuncia ufficiale.» Fece una pausa, guardandomi negli occhi. «Voglio rassicurarti: prenderemo sul serio questa situazione. Non devi sentirti sola in questo.» La sua calma mi tranquillizzò leggermente, ma la paura non era ancora svanita. «E se lui... se Alex cercasse di vendicarsi?»
«Sarà emesso un ordine restrittivo nei suoi confronti» spiegò con fermezza. «Non potrà avvicinarsi a te. E se lo farà, sarà arrestato immediatamente.» Annuii, anche se il terrore di vederlo ancora mi faceva rabbrividire. «Voglio solo che tutto questo finisca.»
«Lo faremo finire» intervenne Marlene con voce decisa, stringendomi la mano. «Non permetteremo mai più a nessuno di farti del male.» Seguì un lungo silenzio, interrotto solo dal rumore della penna dell'agente che continuava a scrivere. Poi mi passò un modulo da firmare. Mentre prendevo la penna, mi accorsi che le mani mi tremavano ancora.
«Fai un respiro profondo.» mi consigliò l'agente. Obbedii, e con un piccolo sforzo, apposi la mia firma.
Marlene mi sorrise, rassicurandomi con uno sguardo.
«Sei stata coraggiosa, Sofia. Questo è il primo passo.»
Anche l'agente mi guardò con approvazione. «Ora ci occuperemo noi di Alex. Puoi stare tranquilla.»
Non ero ancora convinta, ma volevo credergli. Mentre uscivamo dalla centrale, sentivo che, per la prima volta da tanto tempo, un peso enorme stava iniziando ad alleggerirsi. Era una sensazione nuova, un misto di sollievo e paura. Avevo finalmente denunciato Alex, ma sapevo che il percorso non era finito. Marlene camminava al mio fianco, il passo deciso come sempre. «Hai fatto la cosa giusta, Sofia.» disse, il suo tono era fermo ma rassicurante. Annuii, stringendomi le braccia.
«Non riesco a smettere di pensare a cosa potrebbe fare adesso. Se decide di...»
«Non farà nulla!» mi interruppe con sicurezza. «Abbiamo l'ordine restrittivo in arrivo, e se prova anche solo a guardarti, sarà nei guai fino al collo.» Non ero sicura che le sue parole bastassero a calmare l'ansia che mi divorava, ma apprezzavo il tentativo.
«Grazie, Mar» mormorai. Lei mi lanciò uno sguardo affettuoso. «Non devi ringraziarmi, tesoro. Sono qui per te, sempre.» Salimmo in macchina e rimasi in silenzio per tutto il tragitto verso casa, fissando il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino. Il mio stomaco si contorceva al pensiero di affrontare Gabriel. Sapevo che avrebbe voluto sapere ogni dettaglio, e non ero sicura di riuscire a gestire anche quello. Quando arrivammo, Marlene mi strinse il braccio leggermente prima che uscissi dall'auto. «Ricorda, sei più forte di quanto credi.» Un sorriso debole si fece strada sul mio volto. «Ci provo.»

Entrai in casa con un respiro di sollievo, ma la paura non svaniva. Continuavo a pensare a come avrebbe reagito Alex all'ordinanza, se si sarebbe fatto vivo, se avesse cercato di vendicarsi. Ogni pensiero che mi passava per la testa mi stringeva il cuore.
Gabriel era fuori, al lavoro, e io ero qui, in casa. Eppure il mio cuore non riusciva a trovare pace. Se lui fosse stato in pericolo? Se Alex lo avesse preso di mira per colpa mia? Il pensiero che potesse succedere qualcosa a Gabriel mi terrorizzava. Era la stessa paura che mi aveva accompagnato la notte scorsa, ma con una sensazione più forte, più concreta.
Mi sedetti sul divano, stringendomi le braccia, mentre la mente correva, immaginando tutte le possibili conseguenze. Non avevo il controllo su ciò che sarebbe successo. Guardai l'orologio, impaziente. Ogni secondo che passava sembrava un'eternità. Volevo sentire la sua voce, sapere che era al sicuro.

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