11.

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Manuel aveva pensato di portargli dei fiori.

Poi però ha cambiato idea, temendo che quel gesto risultasse forzato in quelle circostanze.

Ha capito che se vuole farsi perdonare, l'unica cosa che deve fare è dimostrarsi in grado di ascoltare, non di reagire impulsivamente come suo solito.

Così entra in casa di Simone come un cane con le orecchie basse, consapevole di essere la causa dei cocci di vetro sul tappeto.

"Ciao"

"Ciao."

Simone ha le braccia incrociate sul petto e Manuel si maledice quando nota le occhiaie che solcano il suo splendido volto.

È bello anche così, ma ha gli occhi tristi, e Manuel non se lo perdona.

"Posso- posso entrà?"

"Eh, entra."

In un'altra situazione riderebbe dell'atteggiamento di Simone, che sembra un bambino indifeso di due metri e al contempo non abbandona quel tono piccato che lo contraddistingue.

"So che non ho il diritto de chiedertelo, ma lo faccio lo stesso perché ce voglio provà a sistemà le cose, te lo giuro...te va de raccontamme cos'è successo co' Niccolò?"

Manuel sente una morsa nel petto nel gesto istintivo di Simone ti stringersi le braccia attorno al busto, come se avesse bisogno di conforto e nessuno a cui chiederlo.

Sembra così esausto.

"È venuto da me e voleva parlare. Io- io non sapevo che fare all'inizio," ammette Simone, abbassando lo sguardo perché le accuse che Manuel gli ha mosso bruciano come una ferita, e lui quella frase non riesce a dimenticarla.

È come se Manuel avesse tracciato i contorni di una vecchia cicatrice per riaprirla di nuovo, con precisione chirurgica.

"Poi Margherita mi ha detto che non lo voleva a casa, che io le sembravo triste," sbuffa una risata amara.

"Allora gli ho detto di andare via, e di non farsi né sentire né vedere. Ha detto una cosa, lui" tentenna Simone, che non sa se valga la pena di rivelare questo dettaglio.

"Che cosa?"

"Ha detto di non andare a piangere da lui quando m'avresti lasciato anche tu."

Riesce giusto a pronunciare quelle ultime parole prima di essere scosso da un singhiozzo e Manuel si sente morire.

Viene investito dalla verità: Simone non ha fatto nulla di male, e lui invece è stato un coglione.

Ha rischiato di rovinare tutto con le sue mani per nulla.

Non ci pensa due volte prima di annientare la distanza che li separa con due passi e avvolgere Simone in un abbraccio, lasciandolo libero di piangere sulla sua spalla mentre lo culla.

"Scusami, scusa, ti prego, perdonami," gli sussurra dieci, cento volte come una preghiera all'orecchio.

Appena riesce a ricomporsi quanto basta, Simone scioglie l'abbraccio e si mette a sedere sul divano, rannicchiato con le ginocchia al petto.

Manuel lo prende come un segno che l'altro abbia bisogno di spazio, così prende posto un po' più in là, nonostante frema per averlo di nuovo tra le braccia.

Simone tira su col naso e lo guarda attraverso le lunghe ciglia umide con lo sguardo di un animale ferito.

Manuel si detesta perché sa di esserne la causa.

Giura a sé stesso in quel momento che non lo renderà mai più triste, mai più.

"Potevi- se mi fossi stato a sentire..."

Daisies - SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora