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Non tutte le storie sono destinate al lieto fine, non tutti i destini trovano il loro disegno rispecchiato in una meravigliosa favola che si rispetti. Ci viene insegnato sin da piccoli che l'anima trascorre un'intera vita a compiere un lungo viaggio per ricongiungersi alla sua metà, al suo trecentosessanta gradi, e che questo cammino ci proietti a credere che ogni persona sia legata a un'altra da un lungo o breve filo rosso, talvolta rigido e talvolta elastico. Il filo ci spinge a compiere azioni istintive, perché è questo che succede quando l'emotività e i sentimenti entrano in gioco: la dopamina aumenta, il senso di spensieratezza emerge e tutto ci sembra bello, semplice e incredibile. Aggrappandoci alla leggerezza di questi sentimenti, plasmiamo il mondo che ci circonda: la giornata diventa più gradevole con quel buongiorno pronunciato, sentore di essere stati il primo pensiero dopo una lunga dormita, con una risata condivisa, la voglia reciproca di vedersi e di quasi non voler più lasciarsi andare. Quella persona diventa magicamente la ciliegina sulla torta, la pennellata di tempera che mancava in un già bel dipinto per trasformarlo in un capolavoro, e inizi a chiederti come la vita sia stata brava nel farla entrare nel tuo piccolo giardino di fiori.

Tutto assume un gusto diverso, perché ci si sente completi, ma non tutti hanno il lusso di poterlo mantenere nel tempo. Con lo spegnersi dell'adolescenza e l'inizio dell'età adulta impari a capire che quel filo rosso in cui hai tanto creduto non è accessibile a tutti, è per un'élite prescelta, e più il tempo scorre più questo pensiero inizia a porre le sue radici all'interno della mente.

Ho sempre creduto che la società si potesse suddividere in due grandi categorie, chi ci riesce e chi no, e così si può proiettare anche nell'amore: ci sono persone che riescono a vivere la loro più bella storia e chi invece non fa altro che collezionare delusioni, fino a consumare l'ultimo bagliore di speranza che mantiene vivo l'essere umano. L'amore è bellissimo fino a quando non ti riduce in mille pezzi non una, ma talmente tante volte da perderne il conto fino a quando smetti semplicemente di crederci.

E io ho smesso di crederci da molto tempo.

Sono entrata nel team dei giocattoli difettosi una sera d'estate. Il sole stava calando in piena tranquillità, tingendo il cielo d'arancio e le nuvole di un morbido rosa pallido. L'aria tiepida che rientrava dai finestrini abbassati mi accarezzava il viso mentre mi godevo gli ultimi ricordi della bella giornata appena trascorsa mentre Steven, l'ennesimo ragazzo x di cui ho perso il conto, prendeva ad accostare piano piano l'auto al ciglio della strada.

«Non provo più nulla, Amy»

Quelle parole, mormorate in un flebile sussurro, mi trafissero come un colpo netto allo stomaco e le lacrime che ne seguirono non furono poche. Steven era stato per me un principe azzurro mascherato: si presentò alla porta del mio cuore con un mazzo di rose bei gesti, peonie di comprensione, orchidee di sentimenti sinceri ma con giacinti di bugie che mi fecero vivere sia una delle relazioni più piene e sia delle più sofferte. Si era impegnato a cercare di essere il mio trecentosessanta gradi con tutto se stesso, nonostante sapesse che l'avrei accettato per quello che era realmente, perché credeva ciecamente che io fossi giusta per lui, peccato che al momento dei primi scogli le illusioni di cui mi aveva nutrita in modo premuroso crollarono come un castello di sabbia. Quel giorno mi liquidò con quella semplice frase, come se fosse la cosa più normale e ovvia al mondo, non provando alcun minimo dispiacere in volto. Più avanti scoprii di essere stata semplicemente una vittoria di relazione, un trofeo da sfoggiare perché ero stata difficile da cogliere, e che quella persona di cui avevo amato tanto la sua falsa immagine mi aveva solo usata, non amata. Di nuovo.

Avevo compiuto ancora lo stesso errore, donare me stessa ottenendo solo l'ennesima crepa da incidere su una superficie reduce da tre cadute dal ripiano più alto della stanza. Ero di nuovo in mille pezzi e ci vollero un anno e cinque mesi per ritornare con qualche coccio incollato.

Da quel giorno, per anni, decisi di chiudere il mio cuore e Melanie ancora oggi giudica questo mio comportamento privo di significato. Mi presentò Christopher a una serata casuale come tentativo per ripristinare la speranza di credere in qualcosa. Era carino, gentile, spiritoso. Gli concessi tre appuntamenti che si ridussero nel sesso più vuoto che potessi mai sperimentare e con un macigno di più al cuore, perché sapevo dentro di me che le cose non sarebbero andate oltre a quello. E in fondo avevo bisogno solo di sentirmi un po' amata, non soddisfatta, di non trovare ulteriori pretesti che mi facessero pensare di essere davvero un giocattolo difettoso per ogni uomo che si avvicinasse, ma ogni volta che tentavo di abbassare anche solo di qualche centimetro le difese mi rendevo sempre più conto di quanto l'amore fosse veleno per me.

Quando rincasai Melanie era ancora alzata, seduta sulla poltrona con le cuffie immerse in qualche serie Netflix del momento.

«Allora, come è andata?» chiese con voce squillante la bionda, premendo il tasto di pausa sul pc.

«La prossima volta ricordami di non darti ascolto» risposi incamminandomi verso il bagno, serrando la porta alle mie spalle come chiaro segnale di non voler parlare. Sentii le gambe cedere, scivolare lungo il freddo pavimento, e appoggiai il capo contro la porta. Le lacrime iniziarono a sgorgare più del dovuto, come se potessero cancellare tutte le scelte sbagliate intraprese nelle ultime settimane, come se potessero ripristinare l'equilibrio emotivamente freddo che avevo imparato a gestire per sopravvivenza perché i giocattoli difettosi non possono permettersi di cedere ai sentimenti o nel momento in cui verranno nuovamente gettati a terra il tempo di risalita sarà ancora più duro.

La speranza che si accende in loro è lo stesso organismo che li distrugge.

Se vogliono vivere, devono stare soli e Amy lo sapeva fin troppo bene.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 24 ⏰

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