Crisi

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Avrei tanto voluto scrivere in questi giorni, ma tra l'Università, la febbre e tutto il resto non ne ho trovata la forza. Oggi sembrerebbe che stia un po' meglio, così eccomi ancora qui: a parlare ancora di me. Ma questo mio racconto durerà poco, non voglio annoiare.
Vorrei parlare di un fatto accadutomi qualche giorno fa, come sempre, per ricordare. Visto che spesso, ultimamente, mi capita di dimenticare. Sembra che invece di coltivare e realizzare sogni o speranze, io coltivi e realizzi paure. Una delle mie paure più grandi ha finito per realizzarsi proprio il 7 ottobre.
Ero a Castiglione, visto che era il fine settimana. Per tutta la mattina non mi ero sentita il massimo, avevo avuto per tutto il tempo quella sensazione addosso: quella che precede una crisi. Ma mi ero rifiutata di accettarlo. Pensavo fosse solo un poco di stanchezza o ansia; d'altronde avevo ricominciato l'Università da qualche giorno, dunque era plausibile che mi sentissi così.
Verso le 15:45, annoiata di stare chiusa in casa, mi ero messa in macchina con mamma e papà per accompagnare mamma dalla parrucchiera a Linguaglossa, visto che non poteva ancora guidare a causa del tutore, e poi andare a Fiumefreddo con papà per comprare il caffè.
Guidavo io, mamma accanto e papà dietro. Arrivata a Portella, la strada subito fuori Castiglione, che collega quest'ultimo a Linguaglossa, mi comparve una macchina
davanti, che mi aveva costretta a fare tutta la strada in terza, facendomi frenare di colpo nelle curve perché non conosceva la strada. Ma, non appena arrivammo al rettilineo di Cerro, misi la freccia e sorpassai. Tornai nella mia corsia e via con la quarta e subito dopo la quinta. La velocità aumentava, e vedevo scivolare via le campagne che vi erano intorno. Arrivata ad una cunetta dovetti scalare in terza. Ma non appena la passai inserì un'altra volta la quarta. Passarono pochi secondi, e, improvvisamente, una sensazione di nausea mi circondò, accompagnata da un giramento di testa.
Stava succedendo
Potevo fermarlo?
No.
Provai a frenare, ma ormai non avevo più il
controllo del mio corpo, della mia sinapsi, di me stessa... ero lì, ma non c'ero.
L'unica cosa che riuscì a fare è stata lasciare l'acceleratore e premere il piede sinistro sulla frizione. Piano piano cominciai ad avvicinarmi al muro, i rami sporgenti toccarono la macchina. Papà disse qualcosa. Qualcosa che non capì. Mia mamma stava per fare lo stesso. L'ultima cosa che avevo visto e ricordo è stato un cancello subito prima di una curva. Poi... il vuoto.
Quando ero tornata lucida, mi trovavo nei sedili posteriori, stava guidando mio papà adesso.
"Come stai?" chiedeva mia mamma.
"Che è successo?" avevo chiesto.
"Ti è venuta una crisi." aveva detto mamma.
Non ero ancora lucidissima, ma lo ero abbastanza da capire cosa stesse succedendo.
"E che è successo?" ero spaventata, e, dalle facce che avevano mamma e papà, capì che lo erano anche loro.
"Fortunatamente niente. C'era una curva e non hai sterzato, quindi siamo finiti su un muro, meno male che c'era una pietra in mezzo ai coglioni e la ruota ci ha sbattuto contro e la macchina si è fermata, poi si è spenta perché hai tolto il piede dalla frizione. Mamma è scesa dalla macchina e ha fatto scendere anche te." spiegava mio papà.
"Inizialmente pensavamo stessi scherzando. Infatti papà ti stava rimproverando. Stavo per farlo anche io, ma, quando mi sono girata a guardarti, ho visto che eri sbiancata e ho capito che stavi avendo una crisi. Ti ho detto di stare tranquilla e che andasse tutto bene. Siamo stati fortunati." mamma diceva questo girandosi verso di me e guardandomi
È stata diversa dalle altre volte. Perché di solito fai domande, stavolta non hai chiesto niente, eri in silenzio." aveva continuato papà.
Ecco!
Ho sempre avuto paura di guidare sola.
E, purtroppo, non era una paura infondata.
C'erano mamma e papà quel giorno. Cosa sarebbe successo se mi fosse successo mentre ero sola? Perché ci sono state volte in cui ho guidato sola, anche la notte.
Quella volta papà, non appena mi ero ripresa, mi ha fatto tornare a guidare, per tranquillizzarmi. Per farmi vedere che andasse tutto bene, per non farmi spaventare.
L'ho fatto. L'ho ascoltato. Ma al ritorno da Fiumefreddo ho lasciato fare a lui, perché io iniziavo ad avere sonnolenza e mal di testa: i postumi della mia crisi. E poi era rischioso, sarebbe potuta arrivarne un'altra da un momento all'altro. Come infatti è poi accadutola sera.
Il neurologo mi ha vietato di guidare per ora.
Lo ascolterò?
Non lo so.
Se non mi metto in macchina, rimarrò terrorizzata.
Ma...

Le prime crisi ho iniziato ad averle verso ottobre/novembre del duemilaventi. Inizialmente con mamma e papà pensavamo fosse qualcosa legato all'ansia, così anche in quel caso decisero di mandarmi dalla psicologa (non Roberta). Fin quando, un giorno di dicembre di quell'anno, successe qualcosa che ci allarmò tutti: prendendo mio nipote tra le braccia, che aveva appena sei mesi a quei tempi, non lo riconoscevo. Non ricordavo che mia sorella avesse un figlio, non ricordavo di essere diventata zia: avevo dimenticato l'esistenza dell'ometto più importante della mia vita.
"Ma chi è?" avevo chiesto a mia sorella.
"Giulio, tuo nipote."
"Impossibile."
"Si, Desi, è mio figlio."
Le avevo riso in faccia, "e quando lo hai avuto?"
"Ad agosto.'
Non le credetti, eppure... sapevo che fosse vero,
ma la mia mente non mi permetteva di rievocare quel ricordo.
Quando nei parlai con la psicologa consigliò di fare delle visite.
"Epilessia", aveva detto il neurologo che mi aveva presa in cura.

Dopo tre anni le crisi non sono ancora andate via, e, probabilmente, non andranno via mai. L'unica cosa che posso fare è tenerle sotto controllo seguendo la cura.
Il problema è che non è sempre facile.
Queste sono spesso causate anche dallo stress,
dal cambio di stagione e da mille altre cose.
A volte vanno via, magari anche per qualche
mesetto, ma, non appena tornano, sembrano
essere più aggressive.
Fortunatamente durano poco e quando passano non ricordo nulla e i pochi ricordi che ho di quei momenti sono spesso sfocati, come quando si sogna o come un ricordo lontano che comincia a sfumare col tempo
Ho imparato a conviverci, anche se continuo
ancora ad avere paura.
Ma la mia vita è adesso, vent'anni li ho adesso. E questi non sono gli anni della responsabilità: questi sono gli anni in cui si fanno minchiate. E
non ho voglia di farmi condizionare da questa
mia "malattia"
Voglio vivere, anche se significa rischiare.

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